La contravvenzione di cui all’articolo 279, comma 1, d.lgs. numero 152/2006 per l’installazione o l’esercizio di uno stabilimento in assenza della prescritta autorizzazione, avendo natura permanente, giustifica il sequestro dello stabilimento stesso al fine di impedire la protezione della condotta illecita.
La vicenda. Il Tribunale di Salerno accoglieva il ricorso del Procuratore della Repubblica avverso il decreto del GIP e disponeva il sequestro preventivo di diversi beni presso un’azienda in relazione al reato di cui all’articolo 279 d.lgs. numero 152/2006 contestato al titolare per l’esercizio dell’attività in assenza dell’autorizzazione unica ambientale. L’imputato ricorre in Cassazione. Sequestro. L’articolo 279 d.lgs. numero 152/2006 ripropone sostanzialmente le sanzioni penali previste dagli articolo 24 e 25 d.P.R. numero 203/1988 e la sanzione amministrativa dell’abrogato articolo 4 l. numero 413/97. In particolare, al comma 1, a norma sanzione chi inizia ad installare o esercisce, in assenza della prescritta autorizzazione, uno stabilimento. Nel caso di specie, al ricorrente veniva contestato l’esercizio dell’attività in assenza dell’autorizzazione unica ambientale, nonostante le diverse richieste pervenute dalle competenti autorità. Tale elemento non è contestato dal ricorrente, che invece lamenta l’insussistenza del pericolum in mora. Correttamente però il Tribunale ha valutato gli elementi fattuali dedotti anche nel ricorso di legittimità riconoscendo la natura permanente del reato in parola. La giurisprudenza ha infatti avuto modo di precisare che la consumazione termina con il rilascio della necessaria autorizzazione o, in alternativa, con la cessazione dell’attività in quanto, trattandosi di una norma finalizzata alla tutela della qualità dell’aria, «l’autorizzazione medesima rappresenta il mezzo attraverso il quale la pubblica amministrazione procede alla preventiva veridica della rispondenza dell’impianto alle prescrizioni della legge». In conclusione, gli Ermellini cristallizzano il principio per cui «avendo la contravvenzione dell’articolo 279, comma 1, d.lgs. numero 152/2006 natura di reato permanente, l’esercizio in assenza della prescritta autorizzazione di uno stabilimento ne giustifica il sequestro finalizzato ad impedire la protezione della condotta illecita». Il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 – 29 gennaio 2019, numero 4250 Presidente Di Nicola – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Salerno, con ordinanza del 24/9/2018, in accoglimento dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica avverso il decreto di rigetto del GIP di quella città del 7/11/2017, ha ordinato il sequestro preventivo, presso l’azienda DECORIDEA di F.A. , dei seguenti beni area interna del capannone posteriore con due tavoli serigrafia, se ancora esistenti presso la ditta e un fusto contenente liquidi di risciacquo solventi area interna del capannone posteriore con due tavoli serigrafia, se ancora esistenti, presso la ditta e fusto liquidi solventi 4 fusti liquidi solventi 22 fusti liquidi solventi tre forni elettrici due forni a metano e un forno a muffola . La misura cautelare era adottata ipotizzandosi, nei confronti del F. , il reato di cui al D.Lgs. numero 152 del 2006, articolo 279, per l’esercizio di attività di produzione e cottura di argilla e realizzazione di manufatti in ceramica, con l’utilizzo di due forni alimentati a metano, tre forni elettrici ed uno a muffola, oltre che l’attività di serigrafia mediante 4 macchinari a ciò destinati e l’utilizzo di solventi, senza alcun sistema di captazione delle esalazioni prodotte ed in assenza di autorizzazione alle emissioni di fumi in atmosfera. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero . 2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge e l’assenza o mera apparenza della motivazione in relazione alla sussistenza del periculum in mora. Assume che, nell’ordinare il sequestro, il Tribunale non avrebbe considerato alcuni dati emergenti dalla documentazione prodotta dalla difesa e, segnatamente, l’applicazione di filtri non presenti presso la ditta indicata all’atto del controllo, l’effettuazione di analisi sui fumi in data successiva al montaggio dei filtri con valori al di sotto della soglia massima prevista per legge, la modifica del ciclo lavorativo di decorazione delle ceramiche, sostituendo la serigrafia con la meno inquinante decalcomania, nonché la presentazione di un’istanza al fine di ottenere l’autorizzazione unica ambientale. Osserva che il Tribunale avrebbe solo apparentemente motivato in ordine non soltanto alla mutata situazione opportunamente documentata, ma anche in relazione alle esigenze cautelari, limitandosi ad individuare la permanenza del reato come elemento determinante ai fini della sussistenza del periculum. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Come si ricava dal tenore del provvedimento impugnato, il reato oggetto di provvisoria incolpazione è quello di cui al D.Lgs. numero 152 del 2006, articolo 279, il quale ripropone, sostanzialmente, le sanzioni penali previste dal D.P.R. numero 203 del 1988, articolo 24 e 25 e la sanzione amministrativa prevista dall’ormai abrogata L. numero 413 del 1997, articolo 4 ed è stato modificato, rispetto all’originaria formulazione, da successivi interventi normativi. La disposizione richiamata, nel primo comma, prevede sanzioni per chi inizia ad installare o esercisce, in assenza della prescritta autorizzazione, uno stabilimento, che l’articolo 268, lett. h definisce come il complesso unitario e stabile, che si configura come un complessivo ciclo produttivo, sottoposto al potere decisionale di un unico gestore, in cui sono presenti uno o più impianti o sono effettuate una o più attività che producono emissioni attraverso, per esempio, dispositivi mobili, operazioni manuali, deposizioni e movimentazioni. Si considera stabilimento anche il luogo adibito in modo stabile all’esercizio di una o più attività e che ha sostituito l’originario riferimento all’impianto. 3. Tale è la condotta contestata all’odierno ricorrente, il quale, come evidenzia l’ordinanza impugnata, non è in possesso dell’autorizzazione unica ambientale, più volte richiesta ma mai concessa dalle competenti autorità. Tale stato di cose non è in discussione, poiché il difetto del titolo abilitativo è riconosciuto dallo stesso ricorrente, che, infatti, non contesta la sussistenza del fumus del reato, limitando le proprie censure alla insussistenza del periculum in mora. Nel far ciò, il ricorrente pone in evidenza alcuni dati fattuali, dei quali viene dato conto anche dai giudici dell’appello, ritenuti significativi ai fini della insussistenza del pericolo e non adeguatamente valutati dal Tribunale. 4. Va tuttavia rilevato come, in realtà, tali elementi valorizzati dal ricorrente siano stati ritenuti non determinanti dal Tribunale per il fatto che, in ogni caso, l’attività svolta dal ricorrente è tuttora priva del necessario titolo abilitativo. Tale circostanza è chiaramente evidenziata, nell’ordinanza impugnata, laddove si rileva come precedenti richieste siano state archiviate dall’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione per la mancata allegazione della documentazione necessaria, dandosi altresì atto del fatto che Io stesso Tribunale aveva concesso più rinvii al fine di consentire al ricorrente di dotarsi del titolo abilitativo mancante. I giudici dell’appello, pur a fronte di tale situazione, hanno del tutto correttamente rilevato come, pur in presenza delle iniziative poste in essere per migliorare la situazione accertata all’atto del primo sopralluogo, l’azienda continui a svolgere la propria attività senza l’autorizzazione richiesta dalla legge. Il Tribunale, inoltre, ha posto in rilevo la natura permanente della violazione oggetto di provvisoria incolpazione, ponendosi così perfettamente in linea con quanto evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte circa la natura del reato in esame. È infatti indubbia la natura permanente del reato di esercizio o istallazione di impianto in assenza di autorizzazione ed in più occasioni si è avuto modo di specificare che la sua consumazione termina col rilascio dell’autorizzazione o, in alternativa, con la cessazione dell’esercizio dell’impianto v. Sez. 3, numero 8678 del 13/11/2013 dep. 2014 , P.M. in proc. Vollero, Rv. 258840 , ciò in quanto, trattandosi di norma finalizzata alla tutela della qualità dell’aria, l’autorizzazione medesima rappresenta il mezzo attraverso il quale la pubblica amministrazione procede alla preventiva verifica della rispondenza dell’impianto alle prescrizioni della legge cfr. Sez. 3, numero 192 del 24/10/2012 dep. 2013 , Rando, Rv. 254335 . 5. La natura della violazione in esame rende evidente che, quando la permanenza è in atto, risultano pacificamente sussistenti i necessari requisiti della concretezza ed attualità del pericolo richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, dal momento che la mera utilizzazione dell’impianto in assenza di autorizzazione comporta, quanto meno, la prosecuzione della illecita condotta per cui si procede. Deve pertanto affermarsi che, avendo la contravvenzione prevista dal D.Lgs. 3 aprile 2006, numero 152, articolo 279, comma 1, natura di reato permanente, l’esercizio in assenza della prescritta autorizzazione di uno stabilimento ne giustifica il sequestro finalizzato ad impedire la protrazione della condotta illecita. 6. L’ordinanza impugnata risulta, pertanto del tutto immune da censure ed il ricorso deve dunque essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.