Il consulente tecnico che nomina un collaboratore e poi si avvale di un altro coadiutore, non reca danni allo Stato.
Non integra gli estremi della truffa l'indicazione, da parte del consulente del p.m. o del perito del giudice, del nominativo di un ausiliario, della cui collaborazione materiale chiede di essere autorizzato ad avvalersi, diverso da quello che in effetti lo coadiuverà nell'espletamento dell'attività peritale, purché la successiva richiesta di rimborso delle relative spese si riferisca a prestazioni d'opera realmente percepite nella misura ivi indicata . Questo il principio di diritto formulato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 36038/2011, depositata il 5 ottobre.Il caso. La Corte d'appello, in riforma della sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, condannava un consulente tecnico della Procura della Repubblica, per truffa aggravata ai danni dello Stato. Nello specifico, il consulente si era fatto autorizzare ad avvalersi di un coadiutore e, successivamente, aveva presentato, per il rimborso, presunte fatture false perché il nominato collaboratore non aveva prestato alcuna effettiva attività, essendo stato l'imputato coadiuvato da soggetti terzi, il cui nominativo non era mai stato comunicato al p.m Non si può parlare di truffa contrattuale . Il ricorso per cassazione viene presentato per molteplici motivi. In primis, il ricorrente afferma che la documentazione presentata per il rimborso è priva di rilievo fiscale, trattandosi di semplici note spese informali in merito agli artifizi e i raggiri, viene sottolineato che, questi, si collocano temporalmente nella fase esecutiva della liquidazione del compenso, ma non anche in quella di stipulazione del contratto, sì da non dar luogo alla cd. truffa contrattuale . Eppoi, secondo la difesa, al magistrato non interessa che l'attività di coadiutore sia stata svolta da persona diversa da quella indicata dal consulente tecnico semplicemente perché tra p.m. e consulente non viene stipulato un contratto. La Corte Suprema ritiene il ricorso fondato. In primo luogo perché il conferimento di un incarico peritale da parte dell'autorità giudiziaria non implica una stipulazione di un contratto di prestazione d'opera professionale, ma implica l'assunzione del pubblico ufficio di ausiliario del magistrato . Ma, supponendo che l'incarico peritale fosse equiparabile a un contratto d'opera professionale, precisa il Collegio, la condotta contestata non incide la validità - neppure dal punto di vista civilistico - del contratto, ma riguarda la fase esecutiva della determinazione della controprestazione dovuta .Il rapporto di fiducia intercorre solo tra pm e consulente e tra quest'ultimo e il suo collaboratore. Gli Ermellini rilevano che nessuna norma prevede espressamente l'obbligo, per il perito ed il consulente, di comunicare preventivamente al magistrato il nominativo dell'ausiliario da loro prescelto. Nel caso specifico, l'imputato aveva sì indicato un nome, ma non aveva alcun obbligo di servirsi proprio di quel collaboratore e non di altri.L'indicazione di un nome rispetto a un altro non è una truffa. La sentenza impugnata viene annullata con rinvio, visto che, ai fini della responsabilità penale, sarebbe stato decisivo l'accertamento della presentazione di una richiesta di rimborso spese non corrispondente all'effettivo esborso e non la semplice erronea indicazione del nominativo del collaboratore di cui il consulente si è avvalso .
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 13 luglio - 5 ottobre 2011, numero 36038Presidente Sirena - Relatore D'ArrigoOsserva1. - Con sentenza del 16 novembre 2010 la Corte d'appello di Milano - in parziale riforma della sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste pronunziata dal g.u.p. di Milano in sede di giudizio abbreviato - condannava M G. , per i reati di cui ai capi C ed E dell'imputazione, alla pena di mesi 10 e giorni 20 di reclusione ed Euro 600,00 di multa, oltre pene accessorie, dichiarava l'estinzione per prescrizione per i reati di cui ai capi A , B e D e confermava l'assoluzione limitatamente al capo F . Tutti gli episodi contestati - ad eccezione di quello sub F , per il quale è comunque intervenuta assoluzione con formula piena - presentano analoghe modalità d'azione e consistono in ipotesi di truffa aggravata ai danni dello Stato che il G. avrebbe perpetrato, nella qualità di consulente tecnico della Procura della Repubblica, facendosi autorizzare ad avvalersi di un coadiutore e poi presentando per il rimborso fatture apparentemente proveniente da tale coadiutore ma in realtà false perché di importo superiore a quello effettivamente corrisposto oppure perché il nominato collaboratore non aveva prestato alcuna effettiva attività, essendo stato l'imputato invece coadiuvato - nel corso della sua attività peritale - da soggetti terzi il cui nominativo non veniva mai neppure comunicato al pubblico ministero conferente l'incarico.Avverso tale sentenza il G. ha proposto ricorso allegando, in un unico ed articolato motivo, la falsa applicazione dell'articolo 640 c.p. articolo 606, lett. b, c.p.p. ed il vizio di motivazione articolo 606, lett. e, c.p.p. . Il contenuto del ricorso risulta poi integrato dalle ulteriori memorie difensive depositate il 27 giugno 2011.In particolare, l'imputato assume che non ricorrerebbero gli estremi del reato contestato in quanto - la documentazione presentata per il rimborso è priva di rilievo fiscale, poiché non di tratta di fatture false, ma di semplici note spese informali - i pretesti artifizi e raggiri si collocano, dal punto di vista temporale, solo nella fase esecutiva della liquidazione del compenso, ma non anche in quella genetica di stipulazione del contratto, ed in quanto susseguenti non danno luogo alla fattispecie criminosa - gli ipotizzati artifizi e raggiri cadrebbero su circostanze irrilevanti, essendo per il p.m. del tutto indifferente che l'attività di coadiutore sia stata svolta dal soggetto formalmente incaricato o da altro professionista parimenti qualificato che ha lo comunque effettivamente aiutato nello svolgimento dell'attività peritale - le notule per i rimborsi delle spese si riferiscono ad attività effettivamente compiute, benché da coadiutori diversi da quelli formalmente nominati - egli non avrebbe quindi conseguito alcun utile, in quanto si tratta di prestazioni che era comunque tenuto a rimborsare ai suoi collaboratori, peraltro spesso per importi in concreto addirittura superiori a quelli esposti nelle notule - non vi sarebbe stato alcun danno per lo Stato, dovendosi compensare l'esborso sostenuto per i coadiutori apparenti con i compensi che altrimenti si sarebbero dovuti corrispondere ai veri collaboratori del consulente d'ufficio, di pari o maggiore qualificazione professionale rispetto a quelli formalmente nominati - la presentazione delle notule non potrebbe essere qualificata come attività idonea all'induzione in errore, trattandosi al più di una mera falsa rappresentazione, piuttosto che di artifizi o raggiri.Il ricorso è fondato e deve essere accolto nei termini che seguono.2. - Innanzitutto va sgombrato il campo dall'erroneo inquadramento della vicenda nella figura della c.d. truffa contrattuale . Vi ostano una pluralità di ragioni. In primo luogo il conferimento di un incarico peritale da parte dell'autorità giudiziaria non è assimilabile alla stipulazione di un contratto di prestazione d'opera professionale, ma implica l'assunzione del pubblico ufficio di ausiliario del magistrato. Il p.m. conferente l'incarico non copie un atto di autonomia negoziale, per la considerazione assorbente che egli non ha disponibilità di diritti patrimoniali riferibili allo Stato. Si tratta, all'evidenza, di un'attività di rilievo eminentemente pubblicistico, regolata da norme procedurali anziché di diritto sostanziale. Il conferimento dell'incarico di ausiliario del giudice, anche in relazione alla natura dello stesso, non può quindi costituire oggetto di atti di autonomia negoziale.In ogni caso, quand'anche volesse accostarsi in via analogica il conferimento dell'incarico peritale ad un atto di autonomia negoziale, ricorre la c.d. truffa contrattuale quando mediante induzione in errore viene lesa o limitata l'autonomia negoziale della vittima qui, invece gli artifizi e di raggiri contestati non attengono alla fase genetica del rapporto di collaborazione fra il G. e la Procura della Repubblica, ma al momento della liquidazione dei compensi e, in particolare, del rimborso delle spese sostenute, in sostanza, pure l'incarico peritale fosse equiparabile ad un contratto d'opera professionale, la condotta contestata non incide la validità - neppure dal punto di vista civilistico - del contratto, ma riguarda la fase esecutiva della determinazione della controprestazione dovuta.Sulla base di queste considerazioni, non può trovare applicazione nella specie il principio giurisprudenziale - valevole solo per la truffa contrattuale - secondo cui è irrilevante se la parte lesa ha pagato il giusto, perché il danno è rappresentato dalla circostanza che è stata comunque fraudolentemente coartata la sua libera volontà negoziale.3. - Piuttosto, la facoltà per il p.m. di nominare consulenti tecnici nella fase delle indagini è prevista dagli articolo 359 ss. c.p.p Tali disposizioni regolano in modo più analitico, con riferimento alla sola pubblica accusa, la facoltà concessa dall'articolo 233 c.p.p. a tutte le parti di procedere alla nomina di consulenti fuori dai casi di perizia disposta dal giudice.Al consulente del p.m. si applica, in via analogica, l'articolo 228, secondo comma, c.p.p. - dettato per il perito del giudice - a mente del quale il perito può essere inoltre autorizzato [ .] a servirsi di ausiliari di sua fiducia per lo svolgimento di attività materiali non implicanti apprezzamenti e valutazioni .La liquidazione dei compensi del consulente del p.m. avviene, per l'espresso rinvio contenuto nell'articolo 73 disp. att. c.p.p., allo stesso modo previsto dall'articolo 232 c.p.p. per il perito del giudice, ossia secondo le disposizioni delle leggi speciali . Queste ultime vanno individuate negli articolo 49 ss. d.p.r. 30 maggio 2002 numero 115 Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, d'ora in poi T.U.S.G. e nel d.m. 30 maggio 2002 Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le prestazioni eseguite su disposizione dell'autorità giudiziaria in materia civile e penale .In particolare, il consulente del p.m. va ascritto, anche ai fini della liquidazione dei compensi ai sensi del T.U.S.G., nel più ampio genus degli ausiliari del magistrato , tali dovendosi intendere, secondo la definizione offerta dall'articolo 3 lett. n , il perito, il consulente tecnico, l'interprete, il traduttore e qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all'ufficio può nominare a norma di legge .Agli ausiliari del magistrato spetta fra l'altro, a norma dell'articolo 49 T.U.S.G., il rimborso delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico . A mente dell'articolo 56, terzo comma, T.U.S.G. fra le spese che possono essere sostenute dall'ausiliario per l'adempimento dell'incarico rientrano anche i compensi di altri prestatori d'opera per attività strumentale di cui sono stati autorizzati ad avvalersi .L'ultimo comma del medesimo articolo 56 T.U.S.G. aggiunge che se il prestatore d'opera - di cui l'ausiliario del magistrato è stato autorizzato ad avvalersi - deve svolgere, a sua volta, attività di carattere intellettuale o tecnico che ha propria autonomia rispetto all'incarico affidato, il magistrato conferisce un incarico autonomo. La previsione è coerente con quanto disposto dall'articolo 228, secondo comma, c.p.p., che consente al perito di servirsi di coadiutori solo per lo svolgimento di attività materiali non implicanti apprezzamenti e valutazioni.4. - Dal quadro normativo così delineato discende, innanzitutto, che il perito del giudice o il consulente del p.m. possono nominare, a loro volta, propri ausiliari, collaboratori o coadiutori, ma solo a condizione che l'attività demandata a questi ultimi sia di mero supporto materiale, pure qualora richieda comunque una specifica professionalità per ilo svolgimento, e non implichi in nessun caso la formulazione di apprezzamenti o valutazioni.Consegue che un rapporto fiduciario intuitu personae intercorre solamente fra il magistrato ed il perito o consulente da lui nominato, con esclusione dei coadiutori di quest'ultimo, la cui attività non è mai destinata a confluire o incidere direttamente nel parere di cui si servirà il magistrato nelle materie che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche articolo 220 c.p.p. . In altri termini, gli esiti dell'attività strumentale dei coadiutori saranno sempre filtrati dal giudizio valutativo del consulente o del perito a cui favore i primi hanno prestato servizio. Ciò spiega perché, mentre il perito o il consulente è professionista di fiducia del magistrato ancorché scelto, ove possibile, fra gli iscritti negli appositi albi articolo 221 c.p.p. , l'ausiliario del perito o del consulente è persona di fiducia di quest'ultimo e non deve essere neppure iscritto ad un albo , come chiaramente si evince dall'articolo 228, secondo comma, c.p.p Il rapporto fra il perito ed il collaboratore ha quindi un rilievo prevalentemente interno, come si ricava anche dalla constatazione che il secondo - benché autorizzato - non può rivolgersi per la liquidazione dei propri compensi direttamente al giudice, ma deve passare per il tramite del perito d'ufficio.5. - Occorre, a questo punto, verificare quale sia il rilievo giuridico dell'autorizzazione che il magistrato deve concedere alla nomina del coadiutore, ai sensi dell'articolo 228 c.p.p. più volte menzionato se detta autorizzazione, in particolare, involga anche la scelta del nominativo del coadiutore e si traduca quindi in un controllo di merito sulla designazione fatta dal perito o dal consulente ovvero se essa valga solo come generica verifica del modus operandi del perito o del consulente ed abbia rilievo solo ai fini della liquidazione dei relativi costi.La seconda interpretazione risulta preferibile, militando a suo favore due ordini di ragioni. Innanzitutto, sul piano testuale, va rilevato che nessuna norma prevede espressamente che il perito ed il consulente abbiano l'obbligo di comunicare in via preventiva il nominativo dell'ausiliario da loro prescelto al magistrato che ne deve autorizzare la nomina, potendo tale autorizzazione essere anche anteriore alla designazione del coadiutore medesimo. In secondo luogo, a ragionare diversamente l'ausiliario non sarebbe più collaboratore di fiducia del perito o del consulente, ma anche del giudice che, in ultima analisi, sarebbe chiamato a condividere o quantomeno avallare la scelta fatta. Una simile conclusione finirebbe quindi con l'introdurre un controllo di merito da parte del giudice sulla scelta del coadiutore controllo che sarebbe praeter legem, dal momento che - ai sensi dell'articolo 228, secondo comma, c.p.p. - il rapporto fiduciario deve intercorrere solo fra il perito o il consulente ed il suo collaboratore.Piuttosto, da una lettura coordinata dell'articolo 228, secondo comma, c.p.p. e degli articolo 49 e 56 T.U.S.G. si ricava che l'autorizzazione preventiva del magistrato alla nomina di un coadiutore del perito o del consulente ha essenzialmente la funzione di verificare l'effettiva necessità della prestazione d'opera strumentale richiesta dal perito o dal consulente, al fine solo di consentire il successivo rimborso delle relative spese.D'altronde, è pacifico che se il perito si avvalesse di un prestatore d'opera meramente strumentale, non autorizzato dal giudice e di cui però non richieda il rimborso dei compensi, l'attività peritale non sarebbe afflitta da alcun vizio, purché le conclusioni che implicano apprezzamenti o valutazioni siano interamente riferibili al perito medesimo e non al suo ausiliario.6. - Ai fini del rimborso, l'articolo 56 T.U.S.G. prevede che gli ausiliari del magistrato devono presentare una nota specifica delle spese sostenute per l'adempimento dell'incarico ed allegare la corrispondente documentazione. Nel caso di coadiutori, la relativa spesa è determinata sulla base delle tabelle di cui al d.m. 30 maggio 2002.Pertanto, una volta che il perito è stato autorizzato ad avvalersi di un collaboratore, la nota spese presentata per il rimborso dei relativi costi è idonea a trarre in inganno il magistrato nella determinazione delle spese da rimborsare solo nel caso di falsa attestazione della percezione di prestazioni d'opera strumentale in realtà mai ricevute - o comunque ricevute in misura minore a quanto attestato - poiché per il resto, cioè in relazione alla liquidazione del quantum debeatur, il giudice deve attenersi a parametri legali.7. - Facendo applicazioni di tali regole nel caso di specie, si deve quindi affermare che il G. non aveva alcun obbligo di indicare, nella richiesta di autorizzazione ad avvalersi di un coadiutore, il nominativo dello stesso e che, di conseguenza, l'indicazione fatta non vincolava il G. a servirsi davvero, nell'espletamento della sua attività di consulenza, proprio di quel collaboratore e non di altri, purché nei limiti di una prestazione d'opera meramente strumentale e senza che ciò escludesse il diritto al rimborso dei relativi costi.È quindi possibile formulare il seguente principio di diritto non integra gli estremi della truffa l'indicazione, da parte del consulente del p.m. o del perito del giudice, del nominativo di un ausiliario, della cui collaborazione materiale chiede di essere autorizzato ad avvalersi, diverso da quello che in effetti lo coadiuverà nell'espletamento dell'attività peritale, purché la successiva richiesta di rimborso delle relative spese si riferisca a prestazioni d'opera realmente percepite nella misura ivi indicata.Ciò in quanto l'autorizzazione del magistrato decisiva ai fini del rimborso - e dunque del profilo economico rilevante per la configurazione del delitto di truffa - non si sostanzia in un controllo di merito sulla scelta dell'ausiliario del perito o del consulente e neppure nella condivisione del suo nominativo, ma soltanto nella verifica dell'effettiva necessità o opportunità di ricorrere ad una prestazione d'opera sussidiaria e strumentale.Consegue che, nel caso di discordanza fra il nominativo del coadiutore indicato nella richiesta di autorizzazione e quello che ha davvero collaborato il perito d'ufficio, non vi è danno per lo Stato nel caso in cui il rimborso delle spese sia richiesto per costi effettivamente sostenuti e prestazioni realmente eseguite, giacché il magistrato è in ogni caso tenuto alla liquidazione dei compensi, anche qualora fosse reso edotto del cambio di ausiliario.8. - Ciò posto, in relazione al capo C dell'imputazione, deve rilevarsi che non costituisce violazione delle norme processuali penali la circostanza che l'autorizzazione ad avvalersi di un collaboratore fosse stata richiesta indicando come tale il Dott. S B. , laddove poi la prestazione d'opera ausiliaria sia stata materialmente resa dal Dott. G C. e che non risponde a diritto la tesi della pubblica accusa secondo cui il compenso del collaboratore occulto non si sarebbe dovuto liquidare, in quanto relativo ad una prestazione in violazione di legge.Quanto al capo E , la corte territoriale ha affermato la responsabilità del G. sulla base semplicemente affermando che il p.m. non avrebbe liquidato gli importi richiesti se fosse stato a conoscenza della falsità dei documenti prodotti per il rimborso, nonostante il giudice di primo grado avesse invece ritenuto l'effettività della prestazione ed anzi che il compenso effettivamente spettante al collaboratore fosse addirittura superiore a quello liquidato. Anche in questo caso, la sentenza impugnata non può essere confermata, dal momento che - per le ragioni già ampiamente esposte -decisivo ai fini della responsabilità penale sarebbe stato solamente l'accertamento della presentazione di una richiesta di rimborso spese non corrispondente all'effettivo esborso, non già la semplice erronea o, come dice la Corte d'appello, falsa indicazione del nominativo del collaboratore di cui il consulente si è avvalso.La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della medesima Corte d'appello, affinché si accerti se le richieste di rimborso che costituiscono oggetto di giudizio si riferiscano o meno ad esborsi effettivamente sostenuti dall'imputato.P.Q.M.annulla la sentenza impugnata in ordine ai reati di cui capi C ed E con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Milano per nuovo giudizio.