La sentenza consente una riflessione sul requisito della conformità all’ordine pubblico per l’efficacia delle sentenze straniere ed sull’assorbimento in esso dei principi fondamentali del processo, seppur con delle limitazioni.
Il sistema italiano del riconoscimento delle sentenze straniere. È stato riformato dalla famosa legge 31 maggio 1995, numero 218, con la quale si è passati all’efficacia automatica delle sentenze straniere, senza il ricorso ad alcun rito ad hoc. La giurisdizione viene solo interpellata in caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera ovvero quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata, secondo quanto stabilito dall’articolo 67 della citata legge. E’ quanto accaduto nel caso in esame, in cui i vincitori in una causa decisa dal Tribunale di Middlesex e confermata dalla Corte d’Appello del Massachussets chiedevano alla Corte d’Appello di Milano l’accertamento dei requisiti di riconoscimento, dal momento che la sentenza non era stata eseguita dai soccombenti. La Corte d’Appello meneghina ha riconosciuto l’efficacia della sentenza e la questione si è successivamente trasferita in sede di legittimità, in quanto i soccombenti hanno contestato la nullità della sentenza di riconoscimento della pronuncia statunitense, per violazione e falsa applicazione dell’articolo 64, lett. g , legge 218/1995 e degli articolo 24 e 111 Cost Il requisito della non contrarietà all’ordine pubblico. Il riconoscimento della sentenza straniera, come è noto, è subordinata alla sussistenza dei presupposti elencati all’articolo 64 del provvedimento legislativo in materia. Questi sono tutti di natura processuale, tranne uno che è quello che ha suscitato spesso dubbi interpretativi, anche perché si presenta come una sorta di valvola di sfogo attraverso cui convogliare agevolmente ogni opposizione al riconoscimento di una sentenza straniera che sembri in contrasto con la legge interna. Si tratta della lett. g dell’articolo 64, secondo cui la sentenza straniera è riconosciuta in Italia quando le sue disposizioni non producono effetti contrari all’ordine pubblico. La giurisprudenza di legittimità ha affermato che il concetto di ordine pubblico non si identifica con il cosiddetto ordine pubblico interno. Di conseguenza non rileverebbe che l’effetto della sentenza contrasti con una norma imperativa dell’ordinamento civile, ma piuttosto che la pronuncia sia contraria all’ordine pubblico internazionale, costituito dai soli principi fondamentali e caratterizzanti l’atteggiamento etico-giuridico dell’ordinamento giuridico in un determinato periodo storico 17349/2002 . La fattispecie. Tornando al caso di specie, i ricorrenti in cassazione soccombenti nel merito erano stati condannati dalla competente corte statunitense a risarcire i danni patiti dalle controparti a seguito della violazione di accordi tra soci nonché di patti parasociali. Quanto a questi ultimi, i ricorrenti affermano che la loro esistenza è stata accertata dal giudice statunitense sulla base delle sole affermazioni delle controparti, senza raccogliere altro mezzo di prova. Di conseguenza, una sentenza resa all’esito di tale convincimento non potrebbe avere efficacia nell’ordinamento giuridico italiano perché contrasterebbe con l’ordine pubblico e, più precisamente, con l’ordine pubblico processuale italiano, secondo il quale non è ammesso che il contenuto delle deposizioni delle parti possa costituire l’unica prova della dimostrazione di fatti favorevoli a chi le pone e sfavorevoli all’altra. La pronuncia della Cassazione. La questione va risolta, secondo i giudici della Cassazione, individuando i limiti dell’accertamento del giudice della delibazione quando è posto dinanzi ad esso una domanda sulla verifica dei presupposti di cui all’articolo 64 citato. Essi si sono richiamati all’insegnamento delle Sezioni Unite, che nel 2006 con sentenza numero 22663 ebbero a dire che nel giudizio di riconoscimento di cui sopra, la corte d'appello, attesa la natura ed i limiti di tale giudizio, deve limitarsi ad accertare la sussistenza dei soli requisiti per il riconoscimento automatico di cui all'articolo 64 della legge citata, rimanendo estranea a tale giudizio, anche quale oggetto di accertamento solo incidentale, ogni altra questione, non potendosi procedere ad una nuova statuizione sul rapporto sostanziale né ad accertamenti su questioni estranee alla mera verifica dei requisiti del riconoscimento. Tanto premesso sul metodo, il giudizio dei giudici di legittimità è negativo, ma esso si fonda sulla rilevanza di due carenze nella denuncia di violazione di legge. Non ci sarebbe coincidenza tra le affermazioni dei ricorrenti e la statuizione della Corte d’appello che farebbe riferimento anche alla sussistenza di altri mezzi di prova inoltre, il ricorso è stato giudicato privo di autosufficienza, in quanto non sono specificati i passaggi istruttori né gli argomenti utilizzati dal giudice straniero per giungere alla sentenza di cui si contesta la delibazione. Nondimeno, la Corte suprema aggiunge che se si volesse denunciare la violazione dell’ordine pubblico processuale italiano non rileverebbero gli articolo 24 e 111 Cost., bensì l’articolo 116 c.p.c. in quanto non si discute di diritto di difesa o giusto processo ma di libero convincimento del giudice e della possibilità di porre a suo fondamento anche le dichiarazioni delle parti. L’ordine pubblico e l’ordine pubblico processuale. L’articolo 64 stabilisce che le disposizioni della sentenza straniera non devono produrre effetti contrari all’ordine pubblico la disposizione, dunque, va interpretata in primo luogo nel senso che l’oggetto di un eventuale contrasto con l’ordine pubblico è il contenuto del provvedimento decisorio e non le modalità con cui la decisione è raggiunta. In tal senso depongono anche le Sezioni Unite richiamate dagli stessi giudici di legittimità, nonché altre importanti pronunce di merito, secondo le quali sono irrilevanti la matrice logica e valutativa ovvero l’attività processuale che hanno condotto alla decisione Corte d’appello di Milano, 28 dicembre 1999, in Riv. dir. int. pr. Proc, 2000, 1081 . Invero, i profili procedimentali non sono meno importanti, se non altro perché i presupposti indicati dalle lettere a-f dell’articolo 64 sono tutti di natura processuale. Tuttavia, tra questi, da considerarsi tassativi, non vi rientra la censura sollevata dai ricorrenti la disposizione normativa menziona la competenza del giudice secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano l'atto introduttivo del giudizio notificato al convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge del luogo dove si è svolto il processo senza violazione dei diritti essenziali della difesa la costituzione delle parti secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo e la dichiarazione di contumacia in conformità a tale legge il passaggio in giudicato della sentenza secondo la legge del luogo in cui è stata pronunziata non contrarietà ad altra sentenza pronunziata da un giudice italiano passata in giudicato insussistenza di altro giudizio pendente davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto inizio prima del processo straniero . In effetti, dalla pronuncia della Cassazione che qui si commenta si trae come solo punto fermo quello per cui nel concetto di ordine pubblico vi rientra anche l’ordine pubblico processuale la posizione è condivisibile nella misura in cui sia conciliabile con gli altri presupposti previsti dalla norma. Pertanto, i principi fondamentali del processo ben possono integrare la nozione di ordine pubblico, purché completino e non travalichino gli altri presupposti previsti dalla normativa e purché non inducano ad un’indagine che esorbiti dalla mera verifica dei presupposti per il riconoscimento. In tal senso si è espressa anche parte della dottrina, secondo la quale il rispetto dell’ordine pubblico processuale dovrebbe riguardare le ipotesi residue rispetto a quelle considerate dalla lettera b dell’articolo 64, ossia i casi in cui le regole sui limiti soggettivi di efficacia del giudicato straniero ledano il diritto di difesa dei terzi e le ipotesi in cui si tratti di salvaguardare un precedente giudicato estero D’Alessandro, Il riconoscimento delle sentenze straniere, Torino, 2007, 188 .
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 2 luglio - 11 settembre 2012, numero 15163 Presidente Luccioli – Relatore Di Palma Fatto e diritto Ritenuto che G P. e D L.P. , con citazione del 1 aprile 2009, chiesero alla Corte d'Appello di Milano, ai sensi dell'articolo 67 della legge 31 maggio 1995, numero 218, di dichiarare efficace nella Repubblica Italiana la sentenza del Tribunale Superiore di Middlesex Massachusetts - U.S.A. , pronunciata in data 27 luglio 2005 su ricorso degli attori nei confronti di A C. , della s.p.a. Telcom e della Società Telcom USA Inc. che gli attori, in particolare, esposero che a nel 1992, avevano costituito negli Stati Uniti una società - Pottery Collaborative Inc. - avente ad oggetto l'importazione e la distribuzione negli U.S.A. e nel Canada di contenitori per piante b nel 1994, il L.P. , per conto della Pottery Collaborative Inc., aveva concluso un accordo di distribuzione con la s.p.a. Telcom, operante nel medesimo settore, ottenendo il diritto di importare e di distribuire negli U.S.A. in esclusiva i vasi da fiori prodotti dalla s.p.a. Telcom c a seguito di accordi con il C. stipulati nel 1996, il capitale della già costituita dagli attori Società Telcom USA Inc., avente ad oggetto la produzione e la distribuzione dei prodotti Telcom già distribuiti dalla Pottery, era stato suddiviso tra la P. 49,5% e la s.p.a. Telcom 50,5% , con un consiglio di amministrazione composto dal C. e da entrambi gli attori, ai quali era stata affidata l'amministrazione ed il controllo gestionale della Società d il L.P. aveva assunto l'incarico di presidente e di generai manager della Società Telcom USA Inc., sottoscrivendo con questa un apposito contratto e tra la Pottery Collaborative Inc. e la Società Telcom USA Inc. era stato sottoscritto un accordo di esclusiva territoriale al fine di regolare i reciproci diritti di vendita dei prodotti eventualmente in concorrenza f nel 1997, la P. e la s.p.a. Telcom avevano stipulato patti parasociali di distribuzione degli utili della Società Telcom USA Inc., in forza dei quali gli azionisti di quest'ultima, salvo dissenso unanime, si sarebbero dovuti distribuire annualmente almeno il cinquanta per cento dei profitti netti e dei dividendi g a seguito di contrasti insorti tra gli attori ed il C. , quest'ultimo, nel 2001, aveva nominato unilateralmente altri due consiglieri di amministrazione ed istituito un comitato esecutivo, assumendone la presidenza h tra il 2001 ed il 2003, la Società Telcom USA Inc. aveva risolto l'incarico affidato al L.P. , senza corrispondergli alcunché in violazione dell'accordo cfr., supra, lettera e , si era rifiutata ripetutamente di fornire tutti i dati concernenti la Società alla P. , cui non era stato peraltro corrisposto alcun compenso per la carica rivestita h in violazione dei patti parasociali sottoscritti cfr., supra, lettera f , non era stato distribuito alcun dividendo della Telcom USA Inc. per l'anno 2002 i a seguito di tutto ciò, essi avevano adito il Tribunale di Middlesex Massachusetts - U,S.A. , chiedendo - il risarcimento dei danni causati dall'azionista di maggioranza s.p.a. Telcom e dal C. in violazione del dovere di fedeltà nei confronti dell'azionista di minoranza P. - l'accertamento della violazione, da parte della s.p.a. Telcom e del C. , del dovere di fedeltà verso gli attori, nascente dagli accordi del 1996 cfr., supra, lettera c - il risarcimento dei danni causati dalla violazione, da parte della s.p.a. Telcom e del C. , degli obblighi di buona fede e correttezza - il risarcimento dei danni subiti dal L.P. per la violazione, da parte della Telcom USA Inc., del contratto stipulato con la stessa - il risarcimento dei danni subiti dalla Pottery Collaborative Inc. per l'inadempimento della Telcom USA Inc. agli accordi stipulati dalle due Società - il risarcimento dei danni subiti dal L.P. per i comportamenti scorretti e decettivi della Telcom USA Inc. l in contraddittorio con tutti i convenuti, il Tribunale statunitense adito, con la su ricordata delibanda sentenza, aveva condannato la Telcom USA Inc. al pagamento, in favore della P. , della somma di Dollari 266.947,20r a titolo di risarcimento dei danni causati dall'azionista di maggioranza s.p.a. Telcom e dal C. in violazione del dovere di fedeltà nei confronti dell'azionista di minoranza P. , condannandola altresì al pagamento, in favore del L.P. , della somma di Dollari 26.264,02, ed aveva condannato la s.p.a. Telcom al pagamento, in favore degli attori, della somma di Dollari 2.436.041,47 m tale sentenza era stata integralmente confermata dalla Corte d'Appello del Massachussets, divenendo definitiva a séguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto alla Corte suprema del Massachussets n la stessa sentenza non era stata eseguita dai convenuti che, costituitasi, la s.p.a. Telcom chiese il rigetto della domanda, eccependo una serie di profili di asserita contrarietà della sentenza statunitense all'ordine pubblico che la Corte d'Appello di Milano, con la sentenza numero 714/11 del 10 marzo 2011, ha dichiarato efficace nella Repubblica Italiana la sentenza del Tribunale Superiore di Middlesex Massachusetts-U.S.A. , pronunciata in data 27 luglio 2005 dal Giudice R. J. B. nel contraddittorio tra gli attori e la s.p.a. Telcom, come successivamente aggiornata dal medesimo Tribunale con il provvedimento denominato Judgement after Rescript del 12 gennaio 2009 che avverso tale sentenza la s.p.a. Telcom ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura in via principale ed un unico motivo di censura in via subordinata che resistono, con controricorso, G P. e L.P.D. che il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso. Considerato che la sentenza impugnata - quanto al motivo di opposizione al riconoscimento della sentenza statunitense, concernente la sua contrarietà all'ordine pubblico, per violazione dell'articolo 24 Cost., nella parte in cui è stata accertata l'esistenza di patti parasociali sulla base delle sole dichiarazioni della P. e del L.P. - ha affermato che a con la nuova disciplina di cui alla legge numero 218 del 1995, la corte di appello, adita per la delibazione, deve limitarsi ad accertare l'esistenza dei requisiti del riconoscimento, indicati nell'articolo 64 della stessa legge numero 218 del 1995, non potendosi procedere né ad una nuova statuizione sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio dinanzi al giudice straniero, né ad accertamenti o statuizioni su questioni estranee al mero accertamento dei requisiti del riconoscimento jb la mera difformità rispetto all'ordinamento interno delle norme che nel sistema straniero disciplinano l'onere della prova ed il libero convincimento del giudice non comporta alcuna violazione dell'ordine pubblico processuale italiano, che si riferisce ai principi inviolabili posti nell'ordinamento a garanzia del diritto di difesa e nella specie, il libero convincimento del Giudice statunitense si è formato anche – “ma non solo” - sulle dichiarazioni delle parti d anche l'ordinamento processuale italiano consacra, nell'articolo 116, secondo comma, il principio del libero convincimento del giudice, “Né si vede come l'esercizio di tale potere - che implica la valutazione, in funzione probatoria, delle dichiarazioni e del contegno di entrambe le parti processuali e, quindi, su un piano di parità sostanziale delle stesse - possa, di per sé, tradursi i una violazione del diritto di difesa” che, con il primo motivo con cui deduce “Nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell'articolo 64, lett. g, Legge 218/1995 e degli articolo 24 e 111 Cost., nella parte in cui, in contrasto con l'ordine pubblico processuale, è stata data per accertata l’esistenza di un patto parasociale sulla base della sola dichiarazione di controparte” , la ricorrente - sulla premessa che, “Come confermato dai giudici della Corte di Appello di Milano, l'unico elemento su cui si basano i giudici statunitensi per asserire l'esistenza del suddetto patto è costituito dalle dichiarazioni dei sigg.ri L.P. e P. ” - critica tale parte della sentenza impugnata, sostenendo che nel giudizio statunitense “non è stata raccolta alcuna prova testimoniale, documentale, o di altro tipo se non le mere dichiarazioni di alcune delle parti interessate”, che la contrarietà all'ordine pubblico processuale italiano è costituita non dalla facoltà delle parti di deporre in giudizio, ma dalla circostanza che il contenuto delle deposizioni delle stesse “possa costituire l'unica prova della dimostrazione di fatti favorevoli a chi le pone e sfavorevoli all'altra”, e che non è evocabile, a sostegno della sentenza impugnata, l'istituto dell'interrogatorio libero delle parti previsto sia nel rito ordinario sia nel rito del lavoro, che non è mezzo di prova tipico ma strumento processuale in funzione non probatoria che tale motivo è inammissibile che le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza numero 22663 del 2006, hanno enunciato il principio di diritto secondo cui, nel giudizio di riconoscimento di sentenze straniere in Italia ai sensi dell'articolo 67 della legge 31 maggio 1995, numero 218, la corte d'appello, attesa la natura ed i limiti di tale giudizio, deve limitarsi ad accertare, al fine di pronunciare il riconoscimento, la sussistenza dei soli requisiti per il riconoscimento automatico di cui all'articolo 64 della legge citata, rimanendo estranea allo stesso giudizio, anche quale oggetto di accertamento solo incidentale, ogni altra questione di merito in particolare, hanno affermato “3.1. In siffatto procedimento, il controllo giudiziario viene ad assumere, con l'attuale normativa contrariamente a quanto avveniva precedentemente, articolo 796 e ss. c.p.c. abrogati una natura del tutto differente rispetto al passato e cioè puramente dichiarativa Cass. 25/06/2002, numero 9247 , risolvendosi nel mero accertamento della sussistenza dei requisiti prescritti perché l'atto straniero possa esplicare i propri effetti, a decorrere dal passaggio in giudicato se sentenza o dalla pubblicazione. Ne consegue che a maggior ragione con la nuova disciplina come peraltro già avveniva con la precedente Cass. 16.2.1999, numero 1301 la corte di appello, adita per la delibazione, deve limitarsi ad accertare l'esistenza dei requisiti del riconoscimento, indicati nella L. numero 218 del 1995, articolo 64, non potendosi procedere né ad una nuova statuizione sul rapporto sostanziale dedotto in giudizio dinanzi al giudice straniero, né ad accertamenti o statuizioni su questioni estranee al mero accertamento dei requisiti del riconoscimento” che il motivo in esame è inammissibile, sia perché la premessa da cui muove la ricorrente e su cui fonda la censura - essere, cioè, la sentenza della Corte dello Stato del Massachusetts basata esclusivamente sulle dichiarazioni degli odierni controricorrenti - non corrisponde a quanto affermato dalla Corte milanese che, invece, ha specificato che il convincimento del Giudice statunitense si è formato anche – “ma non solo” - su dette dichiarazioni delle parti, sia perché il ricorso, sul punto, è privo di autosufficienza, nella misura in cui non vi si specificano né i passaggi istruttori effettivamente seguiti da detto Giudice, secondo il rito dello Stato del Massachusetts, né gli argomenti dallo stesso utilizzati per giungere alla delibanda decisione tutto ciò, in ogni caso, a prescindere dalla considerazione dell'erronea evocazione, ai fini della denunciata violazione dell'ordine pubblico processuale italiano, degli articolo 24 e 111 della Costituzione, in quanto nella specie rileva non già l'esercizio dei diritti di difesa o i principi del giusto processo, bensì il diverso principio, d'ordine pubblico processuale, del libero convincimento del giudice sancito dall'articolo 116 cod. proc. civ., il cui secondo comma consente di ribadire, secondo la condivisa interpretazione datane da questa Corte, che le dichiarazioni rese dalle parti in sede di interrogatorio non formale, pur se prive di alcun valore confessorio, in quanto detto mezzo è diretto semplicemente a chiarire i termini della controversia, nondimeno ben possono costituire il fondamento del convincimento del giudice cfr., ex plurimis, la sentenza numero 6510 del 2004 che, inoltre, la sentenza impugnata - quanto al motivo di opposizione al riconoscimento della sentenza statunitense, per avere disposto il pagamento di somme a titolo di danni punitivi - ha affermato che, se è vero che, in linea di principio, l'idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno da responsabilità civile, quale disciplinata dall'ordinamento italiano, è altrettanto vero che, nella specie, il Giudice statunitense, con la statuizione di condanna,non ha affatto applicato l'istituto dei punitive damages, avendo invece inteso reintegrare completamente il danneggiato in relazione all'effettivo pregiudizio subito, “finalità perseguita dal giudice procedendo alla liquidazione dei danni con l'utilizzo, in parte, di criteri oggettivi, rappresentati dall'ammontare dei compensi e dei dividendi non versati, e, in parte, ricorrendo a criteri equitativi” che, con il secondo motivo con cui deduce “Nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell'articolo 64, lett. g, Legge 218/1995 con riferimento all'articolo 2043 c.c., nella parte in cui si dispone il risarcimento di danni qualificabili come danni punitivi” , il ricorrente critica tale parte della sentenza impugnata, sostenendo che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici a quibus, il tenore e il contenuto della condanna del Giudice statunitense attestano l'applicazione dell'istituto dei punitive damages che anche tale motivo è inammissibile che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l'istituto dei danni punitivi è incompatibile con l'ordinamento italiano, in quanto in tale ordinamento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive - restando estranea al sistema l'idea della punizione e della sanzione del ' responsabile civile ed indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta - ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso, non essendo previsto l'arricchimento, se non sussista una causa giustificatrice dello spostamento patrimoniale da un soggetto all'altro cfr. le sentenza nnumero 1781 del 2012, 15814 del 2008, 1183 del 2007 che tuttavia, nella specie, la ricorrente - a fronte della testuale, su riprodotta motivazione dei Giudici a quibus, i quali hanno escluso che il Giudice statunitense abbia inteso riconoscere agli odierni controricorrenti danni punitivi - si limita a contrapporre la propria valutazione a quella operata dalla Corte milanese con motivazione congrua e conforme a detto orientamento, finendo in tal modo con il sollecitare un inammissibile riesame del merito della decisione delibanda che, ancora, la sentenza impugnata - quanto al motivo di opposizione al riconoscimento della sentenza statunitense, per avere recepito un patto parasociale illegittimo, concernente la distribuzione degli utili, contrario all'ordine pubblico - ha affermato “Vanno in punto integralmente condivise le contrarie argomentazioni svolte dagli attori, ribadendosi che il patto non ha formato oggetto della pronuncia resa dal giudice americano, accordo che è stato solo utilizzato come uno dei criteri che hanno orientato la liquidazione del danno” che, con il terzo con cui deduce “Nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell'articolo 64, lett. g, Legge 218/1995, nella parte in cui vi è condanna del socio di maggioranza alla restituzione del prestito del 28 ottobre 1999 per complessivi Dollari 404.536,27 e alla corresponsione di utili non distribuiti alla data del 31 dicembre 2001 per complessivi Dollari 1.784.005,20, nonché nella parte in cui, nel pronunciare condanna del socio di maggioranza alla corresponsione di utili non distribuiti alla data del 31 dicembre 2001 per complessivi Dollari 1.784.005,20, recepisce il contenuto di patti parasociali illegittimi e contrari all'ordine pubblico italiano” e con il quarto motivo con cui deduce “Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio ex articolo 360, numero 5, c.p.c.” - i quali possono essere esaminati congiuntamente, avuto riguardo alla loro stretta connessione -, il ricorrente critica tale parte della sentenza impugnata, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che, contrariamente a quanto affermato dai Giudici a quibus, la condanna al risarcimento dei danni pronunciata dal Giudice statunitense per la mancata restituzione di un prestito personale effettuato dalla P. a Telcom USA Inc. e per la mancata distribuzione di utili da parte di quest'ultima”, sarebbe in contrasto con l'ordine pubblico italiano sia perché basata su canoni di responsabilità oggettiva, sia perché contenente la condanna al pagamento di interessi sulla somma capitale a tasso usurario, sia perché fondata su patto parasociale di distribuzione degli utili palesemente illegittimo che tali motivi sono parimenti inammissibili che, infatti, la ricorrente non censura specificamente la su riprodotta ratio decidendi della sentenza impugnata, limitandosi a contrapporre le proprie valutazioni a quelle congruamente motivate della Corte milanese, ed inoltre introduce questioni ad esempio, mancata restituzione del prestito, applicazione di tassi usurari del tutto nuove , senza peraltro specificare dove e quando tali questioni sono state poste e, soprattutto, se, dove e quando è stata dedotta la contrarietà all'ordine pubblico di eventuali patti sottostanti alle questioni medesime che, infine, la sentenza impugnata - quanto al motivo di opposizione al riconoscimento della sentenza statunitense, per avere disposto il pagamento di somme di danaro in assenza di causa giustificatrice - ha affermato che a tale motivo di opposizione è inammissibile, nella misura in cui “sembra in realtà sconfinare in ambito cognitivo - quello afferente il rapporto causale dedotto avanti il giudice statunitense - che non può formare oggetto di riesame in questa sede” b “In ogni caso la pretesa assenza di giustificazione causale dell'attribuzione patrimoniale [ .] non ha alcun plausibile riscontro”, perché, come emerge chiaramente dalla sentenza del Giudice statunitense, “la precisa ratio decidendi della statuizione di condanna adottata [è] da individuarsi nell'accertato diritto risarcitorio degli attori per i danni subiti e derivanti dall'inadempimento contrattuale di controparte” che, con l'unico motivo, dedotto in via subordinata con cui deduce “Nullità della sentenza ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. per violazione e falsa applicazione dell'articolo 64, lett. q, Legge 218/1995 e degli articolo 24 e 111 Cost., nella parte in cui si dispone il pagamento di somme di denaro privo di giustificazione causale” , il ricorrente - sulla premessa che, “Contrariamente a quanto sostenuto in maniera apodittica ed inconferente nella sentenza straniera, tra gli odierni attori e la società Telcom s.p.a. in persona del suo legale rappresentante pro tempore, non è mai stato stipulato alcun tipo di accordo o patto parasociale, dalla cui violazione far discendere gli obblighi di pagamento contenuti nella decisione statunitense” - critica anche tale parte della sentenza impugnata che anche tale motivo subordinato è inammissibile che, infatti - posto che la sentenza impugnata si fonda su una duplice ratio decidendi, processuale e sostanziale - la ricorrente si limita a censurare soltanto la ratio decidendi sostanziale , omettendo ogni censura alla distinta ed autonoma ratio decidendi processuale eccesso dai limiti del giudizio di delibazione che, pertanto, continua a sorreggere la sentenza impugnata Xciò a prescindere dall'ulteriore rilievo di inammissibilità che le censure formulate sono comunque rivolte alla decisione delibanda e non già alla sentenza impugnata che le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 13.200,00, ivi compresi Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.