In tema di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un’unica unità operativa o ad uno specifico settore dell’azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti di quel settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, nel rispetto del principio di buona fede e correttezza.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza 203/15, depositata il 12 gennaio. Il caso. La Corte di Appello di Catania, pronunciandosi sull’impugnazione del licenziamento collettivo, rigettava la domanda di alcuni lavoratori, accogliendo invece quella di altri colleghi di cui ordinava la reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. I giudici di merito fondano la propria decisione sulla circostanza per cui i lavoratori licenziati legittimamente risultavano addetti ad un reparto completamente dismesso dal datore di lavoro ed in questo caso dunque il licenziamento collettivo, correttamente, non ha considerato la posizione di tutti gli altri lavoratori facenti parte della complessiva struttura aziendale. Il licenziamento è stato invece ritenuto illegittimo dalla Corte in riferimento a quei lavoratori addetti a settori aziendali che non risultavano completamente dismessi. Avverso la sentenza d’appello propongono ricorso sia i lavoratori il cui licenziamento risulta confermato, che il datore di lavoro. I criteri di scelta in caso di licenziamento collettivo. I lavoratori ricorrenti in Cassazione propongono un unico motivo di ricorso e cioè la violazione del criterio di scelta dettato dall’articolo 5, legge numero 223/1991 che avrebbe portato i giudici di merito a valutare erroneamente le risultanze istruttorie e a trascurare il fatto che essi avevano svolto la propria attività lavorativa anche in altri settori aziendali, non interessati dal piano di ristrutturazione. In base a tale circostanza, sempre secondo il motivo di ricorso, il datore di lavoro nel procedere alla scelta dei lavoratori da licenziare avrebbe dovuto avere riguardo non ai soli addetti al settore soppresso ma a tutti i dipendenti. Le doglianze così sollevate dai lavoratori hanno trovato accoglimento da parte della S.C., la quale ha sviluppato le critiche mosse con il ricorso fino a riconfermare il costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale in caso di progetto di ristrutturazione aziendale che riguardi uno specifico settore, la platea dei lavoratori interessati dal licenziamento collettivo può essere limitata ai soli addetti a quello specifico settore esclusivamente in presenza di oggettive esigenze tecnico-produttive. La comparazione della posizione dei vari lavoratori deve comunque essere orientata ai principi di correttezza e buona fede. Inoltre il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da licenziare ai soli addetti del settore interessato dalla ristrutturazione se tali soggetti sono idonei ad occupare posizioni lavorative diverse in altri settori, dando così rilevanza al possesso di professionalità diverse acquisite con l’esperienza in altri settori aziendali appunto. Nel caso concreto la Cassazione sottolinea come la Corte di merito non abbia fatto corretta applicazione dei principi summenzionati, dando esclusivo rilievo all’abolizione del settore aziendale a cui erano addetti i ricorrenti e sancendo, sulla base di tali considerazioni, la legittimità del loro licenziamento. Per questi motivi la Corte di Cassazione accoglie il ricorso dei lavoratori, cassando la sentenza impugnata. Il risarcimento del danno per licenziamento illegittimo non può essere diminuito degli importi ricevuti a titolo di pensione. Il datore di lavoro, con controricorso, censura la sentenza di merito sottolineando l’erroneo rigetto da parte dei giudici dell’appello circa la domanda di riduzione del risarcimento del danno in misura pari alle somme percepite dai lavoratori a titolo di trattamento pensionistico. La censura così presentata è infondata. La Cassazione richiama infatti la costante giurisprudenza delle Sezioni Unite secondo la quale, in caso di illegittimo licenziamento, il risarcimento spettante al lavoratore deve essere commisurato alle retribuzioni perse a causa del licenziamento medesimo, senza che sia operata alcuna diminuzione per eventuali importi corrisposti all’interessato a titolo di pensione. Il diritto al pensionamento dipende infatti da specifici requisiti di età e contribuzione che, essendo rimessi all’esclusivo apprezzamento del legislatore, esulano dalla cognizione del datore di lavoro. Inoltre l’illegittimità del licenziamento travolge anche il diritto al pensionamento nel frattempo maturato e di conseguenza sottopone l’interessato ad azione di ripetizione dell’indebito da parte dell’ente erogatore della pensione. La Corte rigetta dunque la richiesta del datore di lavoro.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 5 novembre 2014 – 12 gennaio 2015, numero 203 Presidente Stile – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Catania, riformando in parte la sentenza del Tribunale di Catania, pronunciando sull'impugnativa del licenziamento collettivo proposto da L.P.A. , C.G. , A.C.S. e S.M. nei confronti del Consorzio Siciliano di Riabilitazione - CSR -, rigettava la domanda di C.G. e L.P.A. ed accoglieva quella degli altri lavoratori di cui ordinava al detto Consorzio Siciliano di Riabilitazione - CSR - la reintegrazione nel posto di lavoro con tutte le conseguenze di cui all'articolo 18 della legge numero 300 del 1970. A base del decisimi la Corte del merito, relativamente alla posizione dei lavoratori il cui licenziamento riteneva legittimo,poneva il fondante rilievo secondo il quale gli stessi erano risultati addetti al reparto manutenzione completamente dismesso dal datore di lavoro con la conseguenza che non doveva aversi riguardo alla posizione di tutti gli altri lavoratori facenti parte dell'intera organizzazione consortile. Circa gli altri lavoratori, il licenziamento dei quali veniva dichiarato illegittimo, la Corte territoriale sulla premessa che parte datoriale non aveva dimostrato la dismissione del reparto trasporti, cui gli stessi erano addetti, assumeva che non erano stati rispettati i criteri di scelta poiché l'individuazione dei dipendenti da licenziare non era stata effettuata avendo riguardo a tutto l'organico del Consorzio. Né, rilevava la Corte del merito, poteva detrarsi, agli effetti delle conseguenze economiche di cui all'articolo 18 della legge numero 300 del 1970, l'indennità di mobilità o la pensione. Avverso questa sentenza L.P.A. e C.G. propongono, sulla base di un unica censura, ricorso per cassazione integrato da separato ricorso. Il Consorzio Siciliano di Riabilitazione - CSR resiste con controricorso deducendo, tra l'altro, l'inammissibilità del ricorso integrativo. Con separato atto detto Consorzio ricorre in cassazione in ragione di tre censure. S.M. ed A.C.S. resistono con controricorso con il quale propongono ricorso incidentale sostenuto da un unica critica. CORESI AIAS non svolge attività difensiva. Motivi della decisione Preliminarmente i ricorsi vanno riuniti riguardando l'impugnazione della stessa sentenza. In via pregiudiziale, inoltre, va rilevato che il c.d. ricorso integrativo di L.P.A. e C.G. va dichiarato inammissibile alla luce del costante orientamento di questa Corte secondo il quale la rituale proposizione del ricorso per cassazione determina la consumazione del diritto di impugnare con la conseguenza che non solo non è possibile presentare motivi aggiunti, oltre a quelli già formulati, ma neppure è consentita la proposizione di un altro ricorso che pertanto è soggetto alla sanzione di inammissibilità nei sensi suddetti, tra le tante, S.U. 13358/08, S.S. 2309/07, 18756/05, 5207/05, 2704/05, 6165/03, 10998/01 . Sempre in via pregiudiziale va osservato che, non essendo, relativamente alla posizione di CORESI AIAS, configurabile una fattispecie di litisconsorzio necessario processuale, non rileva la mancata notifica dei ricorsi per cassazione a detto CORESI AIAS. Con l'unico motivo di ricorso L.P.A. e C.G. , deducendo violazione del criterio di scelta previsto dall'articolo 5 della legge numero 223 del 1991, sostengono che la Corte erroneamente valutando le emergenze istruttorie non ha tenuto conto che essi ricorrenti avevano svolto la propria attività oltre che nel settore trasporto anche in quello della manutenzione, sicché il datore di lavoro nel procedere al licenziamento collettivo doveva aver riguardo non ai dipendenti del solo settore soppresso ma a tutti dipendenti. La censura è fondata. È oramai acquisito alla giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale in tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad un'unità produttiva o ad uno specifico settore dell'azienda, la platea dei lavoratori interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore solo sulla base di oggettive esigenze aziendali, in relazione al progetto di ristrutturazione aziendale. Tuttavia poiché ai fini della corretta applicazione del criterio delle esigenze tecnico-produttive dell'azienda, previsto dall'articolo 5 della legge numero 223 del 1991 per l'individuazione dei lavoratori da licenziare, la comparazione delle diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto del principio di buona fede e correttezza di cui agli articolo 1175 e 1375 cc, il datore di lavoro non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti a tale reparto se detti lavoratori sono idonei - per pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda - ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative V. sostanzialmente in tal senso per tutte Cass.13783/2006, 22824/2009, 22825/2009, 9711/2011 . Nella specie la Corte del merito non si è attenuta a siffatto principio poiché, pur rilevando che i lavoratori di cui trattasi avevano svolto anche se solo saltuariamente mansioni di autisti, ha considerato il loro licenziamento legittimo solo sulla base dell'esclusivo rilievo della loro adibizione al reparto manutenzione soppresso senza valutare l'attività svolta presso il reparto trasporti al fine della necessità della comparazione della loro posizione con quella dei di colleghi addetti ad altri reparti. Con la prima censura il Consorzio, denunciando insufficiente ed incongrua motivazione nonché violazione di norme di diritto in relazione alla posizione del S. , critica la sentenza impugnata in punto di ritenuta non soppressione del servizio trasporti mal valutando le risultanze della consulenza d'ufficio, le convenzioni e le dichiarazioni dei lavoratori. La censura è infondata poiché il Consorzio omette del tutto, in violazione del principio di autosufficienza, di trascrivere nel ricorso i documenti e le dichiarazioni poste a base della critica. Con il secondo motivo il Consorzio, allegando - relativamente alla posizione di A.C.S. - falsa applicazione di norme di diritto e insufficiente motivazione, sostiene che la Corte territoriale ha erroneamente considerato la lavoratrice addetta anche al servizio assistenza disabili all'interno dell'azienda, mentre la stessa era addetta esclusivamente al servizio trasporti soppresso. La critica rimane assorbita dal rigetto del precedente motivo relativo alla soppressione del servizio trasporti. Con la terza censura il Consorzio denuncia che erroneamente la Corte del merito ha rigettato la domanda di riduzione del risarcimento del danno in misura pari alle somme incassate dai lavoratori a titolo di pensione. La critica è infondata. Le Sezioni Unite di questa Corte, infatti, hanno sancito, e qui va ribadito non essendovi valide ragioni giuridiche in senso contrario, che in caso di licenziamento illegittimo del lavoratore, il risarcimento del danno spettante a quest'ultimo a norma dell'articolo 18 legge numero 300 del 1970, commisurato alle retribuzioni perse a seguito del licenziamento fino alla riammissione in servizio, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della compensatici lucri cum damno. Tale compensatici, d'altra parte, non può configurarsi neanche allorché, eccezionalmente, la legge deroghi ai requisiti del pensionamento, anticipando, in relazione alla perdita del posto di lavoro, l'ammissione al trattamento previdenziale, sicché il rapporto fra la retribuzione e la pensione si ponga in termini di alternatività, né allorché il medesimo rapporto si ponga invece in termini di soggezione a divieti più o meno estesi di cumulo tra la pensione e la retribuzione, posto che in tali casi la sopravvenuta declaratoria di illegittimità del licenziamento travolge ex tunc il diritto al pensionamento e sottopone l'interessato all'azione di ripetizione di indebito da parte del soggetto erogatore della pensione, con la conseguenza che le relative somme non possono configurarsi come un lucro compensabile col danno, e cioè come un effettivo incremento patrimoniale del lavoratore Cass. S.U.12194/2002 . Con il ricorso incidentale S.M. ed A.C.S. denunciano che la Corte del merito ha proceduto alla compensazione delle spese del primo e del secondo grado del giudizio senza alcuna motivazione o giustificazione. Il ricorso è infondato poiché la Corte del merito ha motivato la disposta compensazione in ragione della complessità delle vicende trattate e dell'esito complessivo del giudizio. In conclusione il ricorso di L.P.A. e C.G. va accolto, mentre vanno rigettati il ricorso del nominato Consorzio e quello incidentale. La sentenza impugnata va in relazione al ricorso accolto cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Messina. P.Q.M. La Corte riuniti i ricorsi dichiara inammissibile il ricorso integrativo di L.P.A. e C.G. , accoglie il ricorso di questi ultimi, rigetta quello del Consorzio e quello incidentale di S.M. e A.C.S. . Cassa in relazione al ricorso accolto la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Messina.