L’immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l’interesse del datore di lavoro all’acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest’ultimo ad una pronta ed effettiva difesa sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l’esercizio del potere e la sanzione irrogata è invalida.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 21641, depositata il 23 ottobre 2015. Il caso. La Corte di Appello di Milano, confermando la pronuncia di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento comunicato da una nota società a partecipazione pubblica ad una propria dipendente in data 13 novembre 2009, in ragione della condanna penale emessa dal Tribunale di Milano il 1° ottobre 2009 per il reato di truffa aggravata commesso nel marzo 2007 per avere la lavoratrice, in concorso con una propria collega, indotto in errore la società in ordine all’orario della sua presenza in ufficio . Ad avviso dei Giudici di merito, la contestazione disciplinare consegnata alla lavoratrice in data 26 ottobre 2009 non aveva ad oggetto la condanna penale in sé, ma i comportamenti posti in essere dalla dipendente nel 2007. Di tali comportamenti, secondo l’avviso degli stessi Giudici, la società era venuta a conoscenza già nell’ottobre dello stesso anno, quando inviava alla lavoratrice un «questionario» ove riportava il capo di imputazione, recante non solo il fatto di aver fatto «timbrare» il proprio badge da un’altra collega ma anche l’asserito ingiusto profitto derivante dalla percezione della retribuzione per una prestazione mai resa. La Corte di Appello, pertanto, riteneva «che non poteva essere giustificata un’attesa di due anni circa, o anche solo di un anno se si considerava l’esito dell’indagine interna per elevare la formale contestazione, avendo l’azienda a disposizione elementi sufficienti per avviare anche formalmente il procedimento disciplinare». Contro tale sentenza la società ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Anche a fronte di fatti gravissimi, la contestazione non può mai essere tardiva. In particolare, ad avviso della ricorrente, i Giudici di merito avevano erroneamente applicato il principio della relativa immediatezza della contestazione, in quanto il datore di lavoro aveva dovuto attendere l’esito del giudizio penale promosso a carico della dipendente prima di avviare il procedimento disciplinare. A questi fini, ad avviso della società, nemmeno poteva avere alcun rilievo il questionario inviato dalla lavoratrice, che non costituiva contestazione disciplinare ma solo una richiesta di spiegazioni. Motivo che non viene tuttavia condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. Ed infatti, ad avviso della Corte, «la pendenza di un procedimento penale a carico del lavoratore non impedisce al datore di lavoro la contestazione immediata dell’illecito disciplinare, con eventuale sospensione del relativo procedimento fino all’esito del giudizio penale» nello stesso senso Cass. numero 15361 e numero 8914/2004 . La tempestività va valutata in relazione al tempo necessario per avere conoscenza dei fatti. Secondo il condivisibile avviso della Corte, inoltre, qualora sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l’esercizio del potere disciplinare, la tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza - «nelle sue linee essenziali» - della riferibilità del fatto al lavoratore medesimo, «senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento penale, considerata l’autonomia tra i due procedimenti, l’inapplicabilità al procedimento disciplinare del principio di non colpevolezza e la circostanza che l’eventuale accertamento dell’irrilevanza penale del fatto non determina di per sé l’assenza di analogo disvalore in sede disciplinare». La tardività è relativa, ma solo fino ad un certo punto. Inoltre, ad avviso della Corte, se è vero che il principio di immediatezza del procedimento disciplinare deve essere inteso in senso relativo, «poiché si deve tenere conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti e la complessità dell’organizzazione aziendale», è ancor più vero che tale regola «non può svuotare di efficacia il principio medesimo, dovendosi reputare che, tra l’interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini per acquisire ulteriori elementi a conforto della colpevolezza e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest’ultimo tutelata ex lege ».
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 2 luglio – 23 ottobre 2015, numero 21641 Presidente Stile – Relatore Tricomi Svolgimento del processo 1. La Corte d'Appello di Milano, con la sentenza numero 51222/12, depositata il 31 maggio 2012, ha rigettato l'impugnazione proposta da Poste italiane spa, nei confronti di O.A., in ordine alla sentenza numero 3041/2010 resa tra le parti dal Tribunale di Milano. 2. O.A., dipendente di Poste italiane spa dal 1982, da ultimo assegnata alla funzione Auditing Processi finanziari e di rete, veniva licenziata in tronco con lettera del 13 novembre 2009, con la quale, richiamato il contenuto della lettera di contestazione del 26 ottobre 2009, la datrice di lavoro le comunicava che i fatti addebitati valutati sia disgiuntamente che congiuntamente erano di tale gravità da non consentire, neppure provvisoriamente, la prosecuzione del rapporto di lavoro, richiamando gli articolo 55, 56, 57 e 76, lettera e , del CCNL dell'11 luglio 2007. La lettera di contestazione faceva riferimento alla condanna penale emessa dal Tribunale di Milano il 1 ottobre 2009 per il reato di truffa aggravata perché la O., in concorso con la dipendente M.M.G, inducendo in errore la società in ordine all'orario della sua presenza in ufficio, aveva procurato a sé l'ingiusto profitto corrispondente alla retribuzione giornaliera percepita e non dovuta per i giorni 8 e 9 marzo 2007, attraverso l'attestazione, da parte della suddetta M.M.G., della sua presenza sul posto di lavoro mediante strisciatura sul lettore ottico del suo badge personale, mentre in realtà era assente. 3. La O. impugnava il licenziamento chiedendo l'accertamento della sua nullità, illegittimità o inefficacia, con la conseguente condanna della datrice di lavoro alla propria reintegrazione e al risarcimento dei danni, ai sensi dell'articolo 18 della legge numero 300 del 1970. Poste italiane spa resisteva. 4. Il Tribunale di Milano, con la sentenza numero 3041 del 7 luglio 2010 accoglieva le domande, ritenendo illegittimo il licenziamento per la tardività della contestazione in quanto la datrice di lavoro era venuta a conoscenza completa dei fatti addebitabili alla lavoratrice dalla data di invio alla stessa del questionario il 24 ottobre 2007 o, quantomeno, dalla notifica del rinvio a giudizio dell'aprile 2008. 5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre Poste italiane spa, prospettando tre motivi di ricorso, e chiedendo, in subordine la conversione del licenziamento in licenziamento per giustificato motivo oggettivo. 6. Resiste la O. con controricorso. 7. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell'udienza pubblica. Motivi della decisione 1. È opportuno, in via preliminare, ripercorrere i punti salienti della motivazione della sentenza della Corte d'Appello. Il giudice di secondo grado ha ritenuto sussistente la tardività della contestazione e, dunque, l'illegittimità del licenziamento come affermato dal giudice di primo grado, esponendo le seguenti considerazioni. La contestazione in data 26 ottobre 2009 non aveva ad oggetto la condanna penale in sé il CCNL peraltro prevedeva - articolo 56, lettere h, ed i - il licenziamento solo per condanna passata in giudicato e per qualsiasi condanna che comporti interdizione perpetua dai pubblici uffici, con la conseguenza che il licenziamento irrogato per la condanna penale, nella specie non definitiva, né accompagnata dalle suddette misure accessorie, sarebbe stato illegittimo , ma i comportamenti posti in essere dalla lavoratrice nel marzo 2007. Di tali comportamenti la società datrice di lavoro era venuta a conoscenza nell'ottobre 2007, alla data 24 ottobre 2007 dell'invio del questionario alla stessa lavoratrice, avvenuta dopo un'approfondita indagine interna di cui si dava atto nel Fraud management report del 4 ottobre 2008 , dal momento che nel medesimo veniva riportato il capo di imputazione il rinvio a giudizio veniva chiesto il 18 ottobre 2007 in relazione al reato, in concorso con M.M.G., di truffa aggravata perché in concorso tra loro procuravano alla O. l'ingiusto profitto corrispondente alla retribuzione giornaliera percepita e non dovuta per 7 ore e 12 minuti, pari a Euro 130,00, con l'artificio della strisciatura sul lettore magnetico, effettuato dalla M., del badge personale della O., commesso l’8 marzo 2007 alle h. 7,49 e per Io stesso reato commesso con le stesse modalità il 9 marzo 2007, alle h. 7,51, con avviso del 5 novembre 2007, notificato a Poste italiane come parte offesa e fissazione udienza preliminare per il 18 febbraio 2008, alla quale Poste italiane era presente con il proprio difensore , recante non solo il fatto di aver fatto timbrare il badge da un'altra dipendente, ma anche l'asserito ingiusto profitto consistente nella percezione di una retribuzione non dovuta per la mancanza di attività lavorativa. Comunque, al più i fatti si potevano ritenere conosciuti dalla società al momento del rinvio a giudizio della lavoratrice. La Corte d'Appello, quindi, ha ritenuto, che non poteva essere giustificata un'attesa di due anni circa, o anche solo di un anno se si considerava l'esito dell'indagine interna , per elevare la formale contestazione, avendo l'azienda a disposizione elementi sufficienti per avviare anche formalmente il procedimento disciplinare. 2. Tanto premesso può passarsi all'esame dei motivi di ricorso. 3. Il primo motivo di ricorso, ampiamente articolato in numerosi punti che si intrecciano, di seguito riportato in sintesi, verte sulla immediatezza della contestazione ed ha per oggetto le censure di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360, numero 5, cpc violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 della legge numero 300 del 1970. La Corte d'Appello avrebbe erroneamente applicato il principio di immediatezza della contestazione avendo trascurato elementi decisivi tali da giustificare il lasso di tempo intercorso fra il mero verificarsi dei fatti e la contestazione disciplinare in concomitanza con la sentenza penale che aveva acclarato la responsabilità della O. La società Poste italiane spa aveva dovuto attendere il giudicato penale perché solo all'esito dello stesso, non essendo sufficiente l'esito del Fraud management e/o del rinvio a giudizio, aveva potuto conseguire la certezza sulla effettiva assenza dal servizio dell'O. nei giorni e nei minuti oggetto di contestazione. Ciò valeva anche per la disamina delle giustificazioni anch'essa legata all'esito del giudizio penale. Erroneamente, la Corte d'Appello riteneva che oggetto della contestazione erano proprio i comportamenti/fatti posti in essere dalla lavoratrice nel 2007 e non aveva considerato la relatività della immediatezza della contestazione. La società Poste italiane era consapevole di quanto previsto dal CCNL all'articolo 56 lettere h e i , ma aveva dovuto necessariamente attendere l'esito del procedimento penale, né aveva fatto riferimento a comportamenti/fatti posti in essere dalla lavoratrice. Alla data di invio del questionario essa datrice di lavoro aveva solo avuto notizia della fissazione dell'udienza preliminare, questionario che non costituiva contestazione ma solo richiesta di spiegazioni, e il Fraud management report rimetteva all'esito del giudizio penale la possibilità di elevare contestazione disciplinare, come si evinceva da stralci dello stesso. La stessa datrice di lavoro aveva effettuato riserva in merito. La ricorrente intendeva contestare alla O. non l'uso in sé e per sé del badge da parte della collega, ma che non fosse presente sul luogo di lavoro, avendo contestato non l'aver provveduto a strisciare personalmente il badge, ma l'aver indotto in errore la società avendo fatto risultare la sua presenza sul posto di lavoro. La società Poste italiane aveva usato l'espressione giudicato penale in senso tecnico. 3.1. Il motivo non è fondato. Come affermato con giurisprudenza consolidata da questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l'immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l'interesse del datore di lavoro all'acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non può pregiudicare il diritto di quest'ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicché, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l'esercizio del potere e la sanzione irrogata è invalida Cass., numero 2902 del 2015, numero 19115 del 2013 , né la pendenza di un procedimento penale a carico del lavoratore impedisce al datore di lavoro la contestazione immediata dell'illecito disciplinare, con eventuale sospensione del relativo procedimento fino all'esito del giudizio penale Cass., numero 8914 del 2004, numero 15361 del 2004 . Con riguardo a tale ultimo profilo la giurisprudenza di legittimità ha precisato che ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l'esercizio del potere disciplinare, la tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo, la cui prova è a carico del datore di lavoro, senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento penale, considerata l'autonomia tra i due procedimenti, l'inapplicabilità, al procedimento disciplinare, del principio di non colpevolezza, stabilito dall'articolo 27 Cost. soltanto in relazione al potere punitivo pubblico, e la circostanza che l'eventuale accertamento dell'irrilevanza penale del fatto non determina di per sé l'assenza di analogo disvalore in sede disciplinare Cass., numero 7410 del 2010, numero 4724 del 2014 Il principio dell'immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall'altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore - in relazione al carattere facoltativo dell'esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede - sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile Cass., numero 13167 del 2009 . Senza dubbio, come più volte pure ha avuto occasione di affermare la giurisprudenza di questa Corte, ed è stato dedotto dalla odierna ricorrente, il criterio dell'immediatezza va inteso in senso relativo, poiché si deve tener conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l'espletamento delle indagini dirette all'accertamento dei fatti, la complessità dell'organizzazione aziendale, e la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici. Ma non può ritenersi che l'applicazione in senso relativo del principio di immediatezza possa svuotare di efficacia il principio medesimo, dovendosi reputare che, tra l'interesse del datore di lavoro a prolungare le indagini per acquisire ulteriori elementi a conforto della colpevolezza e il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa, prevalga la posizione di quest'ultimo, tutelata ex lege citata Cass. numero 13167 del 2009 . Preliminarmente, occorre rilevare che a fronte della statuizione circa l'uso non tecnico da parte della datrice di lavoro dell'espressione passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, utilizzata con riguardo alla necessità di aspettare l'esito del procedimento penale per poter elevare la contestazione, la ricorrente si limita a contestare l'affermazione, ma non introduce argomenti che mettano in evidenza la sottoposizione al giudice di merito di acclarazioni del passaggio in giudicato, né offre dati circostanziati in merito. Pertanto, con congrua motivazione la Corte d'Appello ha affermato che, nella specie, il licenziamento se irrogato per l'intervento della sentenza penale, non risultando le condizioni di cui all'articolo 56, lettere h ed i , del CCNL di settore sarebbe stato, comunque, illegittimo Qui, la sentenza impugnata, dopo aver escluso le suddette ipotesi contrattuali, alla luce della documentazione ritualmente acquisita al giudizio di primo grado, effettua un ragionato riepilogo circostanziato della scansione temporale degli eventi procedimentali e processuali, pagg. 15 e 16 sentenza appello - che non è contestato tout court dalla società Poste italiane, che piuttosto offre una propria rilettura degli eventi, contrapposta a quella della Corte d'Appello. Il giudice di secondo grado pone in evidenza il lungo periodo intercorso tra la conoscenza da parte della datrice di lavoro dei fatti oggetto del procedimento penale utilizzo del badge da parte di una collega della lavoratrice titolare , poi concluso con sentenza di condanna che, peraltro, riteneva raggiunta la piena prova solo per parte della condotta, vale a dire dell'assenza dall'ufficio limitatamente al tempo trascorso tra la registrazione di presenze della M. per conto della O., 7,49 dell'8 marzo e 7,51 del 9 marzo, sino alla ore 8,30, cioè al momento in cui veniva interrotta l'attività di video ripresa , e la contestazione disciplinare. La Corte d'Appello con congrua motivazione, nel ritenere la tardività della contestazione del 26 ottobre 2009, ha affermato che il contenuto articolato e dettagliato del questionario inviato alla lavoratrice 24 ottobre 2007 con riportato il capo d'imputazione relativo alla strisciatura del badge da parte di altra lavoratrice e all'ingiusto profitto in relazione al mancato rendimento della prestazione lavorativa , questionario al quale l'odierna ricorrente non attribuisce inerenza a vicende diverse da quelle che davano luogo al procedimento penale, ha posto in luce come si fosse già ritenuta la valenza disciplinare del comportamento e la gravità dello stesso, anche per il risalto che la vicenda aveva avuto e per l'incidenza sull'immagine aziendale e tenuto conto del ruolo rivestito dalla lavoratrice, cui era demandato il controllo sulla conformità del comportamento del personale. Nella specie, quindi, si evidenzia che le censure della ricorrente non pongono in evidenza la sussistenza del vizio di motivazione circa punti decisivi della controversia, quanto piuttosto una complessiva diversa rilettura delle vicende di causa, con riguardo alla immediatezza della contestazione, peraltro fondata sulla prospettata necessità di attendere l'esito del procedimento penale in ragione di una interconnessione tra quest'ultimo ed il procedimento disciplinare che, come si è rilevato, la giurisprudenza di legittimità ha escluso. Come questa Corte ha già affermato, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al proprio vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. 4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell'articolo 56 del CCNL di settore in relazione all'articolo 2119 cc. Omessa e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360, numero 5 cpc . Espone la ricorrente che la Corte d'Appello, dopo avere escluso l'applicabilità dell'articolo 56, lettere h ed l , del CCNL di settore, avrebbe potuto vagliare la gravità del comportamento della O. ai sensi dell'articolo 2119 cc, a prescindere dal fatto che la disciplina contrattuale in relazione all'ipotesi di condanna dovesse intendersi tassativa. 4.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della statuizione censurata. Occorre precisare che la Corte d'Appello affermava la non riconducibilità del licenziamento all'articolo 56 lettere h, ed i , del CCNL sempre nel vagliare l'immediatezza della contestazione, nel senso che la immediatezza della stessa sarebbe stata salvaguardata qualora si fosse stati in presenza delle ipotesi di cui all'articolo 56 lettere h ed i , passaggio in giudicato, sanzioni accessorie . Rilevava, quindi, che la disciplina contrattuale dettata per il caso di condanna penale doveva intendersi tassativa, non potendo il giudice effettuare un vaglio autonomo ex articolo 2119 cc. Nella specie, quindi, l'illegittimità del licenziamento era ricondotta dalla Corte d'Appello alla violazione del principio di immediatezza della contestazione disciplinare, accertamento che, logicamente e giuridicamente, precede e preclude il vaglio della gravità del comportamento del lavoratore, della cui mancanza la ricorrente si duole. 5. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 7, commi 3 e 4, della legge numero 300 del 1970, in relazione alla proporzionalità della sanzione e dell'articolo 2106 cc. Errata e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360, numero 5, cpc . Non sarebbe conferente il richiamo effettuato dalla Corte d'Appello ai principi enunciati da Cass. numero 13167 del 2009, con riguardo alla mancata sospensione della lavoratrice, atteso che gli stessi non attengono a fattispecie rapportabile al caso in esame. 5.1. Il motivo non è fondato. I principi enunciati dalla suddetta sentenza di questa Corte, già richiamati nell'esame del primo motivo, delineano la ratio della immediatezza della contestazione degli stessi la Corte d'Appello, nel ritenere la mancata sospensione della dipendente ex articolo 58 CCNL, tra l'altro, significativa, con riguardo alla buona fede e al principio di affidamento del lavoratore che il fatto possa non avere rivestito una connotazione disciplinare, dato che l'esercizio del potere disciplinare non è, per il datore di lavoro, un obbligo, bensì una facoltà, ha fatto corretta applicazione nella fattispecie per cui è causa, con congrua e logica motivazione. 6. L'istanza proposta in subordine di conversione del licenziamento in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, che non si connota quale motivo di ricorso di legittimità, ma quale istanza di merito, è inammissibile. 7. Il ricorso deve essere rigettato. 8. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro tremila per compensi professionali, oltre Euro cento per esborsi, spese generali e accessori di legge.