Il principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva, sancito dall’articolo 27, comma 2, Cost., non può applicarsi all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa integrare gli estremi del reato.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione – Sez. Lavoro, con la sentenza numero 13955, depositata il 19 giugno 2014. Tra sospensione cautelare e licenziamento passa troppo tempo il recesso è legittimo? La pronuncia in commento trae origine dal giudizio promosso dal dipendente delle Poste avverso il licenziamento in tronco intimatogli a seguito del procedimento penale avviato a suo carico per i reati di associazione a delinquere e rapina aggravata continuata ai danni di alcuni uffici postali. Nel primo mese successivo all’emissione delle ordinanze di custodia cautelare e di rinvio a giudizio del dipendente, la società datrice aveva adottato un provvedimento di sospensione cautelare, seguito, a distanza di sette anni, dal licenziamento in tronco. All’esito dei primi due gradi di giudizio, il giudice di merito ha spiegato che non risultava violato il principio della tempestività della contestazione stante la concomitanza di vari fattori, quali il perdurare della sospensione cautelare del lavoratore dal servizio adottata a seguito del suo arresto, il processo di trasformazione aziendale della datrice di lavoro ed i tempi di attesa del procedimento penale pendente a carico del dipendente. Con ricorso per cassazione, il lavoratore lamenta il considerevole lasso di tempo 7 anni intercorso tra il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio ed il licenziamento, arco temporale a suo avviso ingiustificato in considerazione del fatto che il recesso era basato sugli stessi addebiti che avevano determinato l’avvio del procedimento disciplinare nei suoi confronti. Il principio di non colpevolezza non vale per il lavoratore. La pronuncia in commento ha ritenuto esente da censure la decisione di merito nella parte in cui ha rilevato che il principio di non colpevolezza valido fino alla condanna definitiva, sancito dall’articolo 27, comma 2, Cost., concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato e non può, quindi, applicarsi, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna, non essendo a ciò di ostacolo neppure la circostanza che il contratto collettivo di lavoro preveda la più grave sanzione disciplinare solo qualora intervenga una sentenza definitiva di condanna Cass., numero 29825/2008 . Per il licenziamento in tronco non occorre una sentenza penale definitiva. Nella fattispecie, la gravità dei fatti posti a base della contestazione disciplinare e del successivo licenziamento è stata attentamente valutata dalla Corte territoriale con motivazione indenne da rilievi di legittimità. Infatti, la Corte d’appello ha constatato che già all’epoca di emissione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere esistevano indizi di responsabilità a carico del dipendente in merito all’organizzazione di numerose rapine in danno di uffici postali e che, per gli stessi fatti, il medesimo era stato successivamente rinviato a giudizio per subire, infine, una condanna a pena detentiva. In effetti, i giudici d’appello hanno valutato la gravità dei fatti che rendevano non più proseguibile il rapporto di lavoro alla luce degli accertamenti che avevano determinato l’adozione del provvedimento restrittivo della libertà personale del dipendente, tanto che nel primo mese successivo a tale evento anche la datrice di lavoro aveva provveduto a sospendere in via cautelare il dipendente dal servizio. D’altra parte, la stessa Corte di merito ha spiegato che il riferimento alla sentenza penale di condanna rappresentava una semplice conferma del quadro probatorio della responsabilità del dipendente infedele. Sospensione cautelare troppo lunga? Il licenziamento è comunque tempestivo. La pronuncia in commento, poi, ritiene infondata la doglianza concernente la mancanza di tempestività del recesso, atteso che la Corte territoriale ha evidenziato che si era trattato di un lasso di tempo di appena due mesi tra la contestazione disciplinare ed il provvedimento di recesso che si inseriva nel contesto di una perdurante sospensione cautelare dal servizio. A tale riguardo, si osserva che, fin quando perduravano, come nella fattispecie, gli effetti del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio – periodo durante il quale proseguiva anche il giudizio penale a carico del dipendente – persisteva una situazione in cui permaneva un concreto interesse della datrice di lavoro ad accertare con sicurezza i fatti incompatibili con la prosecuzione del rapporto, tali da minare in radice, per la loro gravità, il rapporto fiduciario col dipendente. L’adozione di misure cautelari, come la sospensione dal servizio, dimostra la permanente volontà datoriale di irrogare eventualmente la sanzione del licenziamento, con la precisazione che il requisito dell’immediatezza della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo cfr. Cass., numero 2580/2009 .
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 marzo – 19 giugno 2014, numero 13955 Presidente Roselli – Relatore Berrino Svolgimento del processo Con sentenza del 15/4/10 - 7/6/2011 la Corte d'appello di Napoli ha accolto il gravame proposto dalla società Poste Italiane avverso la sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che l'aveva condannata a reintegrare D.C.G. nel posto di lavoro, a seguito della ritenuta illegittimità del licenziamento intimato l'11/11/1998, con corresponsione dell'indennità risarcitoria, e di conseguenza ha respinto la domanda formulata in primo grado dal lavoratore. La Corte territoriale ha spiegato che non risultava violato il principio della tempestività della contestazione stante la concomitanza di vari fattori, quali il perdurare della sospensione cautelare del lavoratore dal servizio adottata a seguito del suo arresto, il processo di trasformazione aziendale della datrice di lavoro ed i tempi di attesa del procedimento penale pendente a carico del D.C. Inoltre, il licenziamento doveva ritenersi giustificato, atteso che i profili soggettivi ed oggettivi che integravano i gravi fatti costituenti reato, per i quali quest'ultimo era stato rinviato a giudizio e condannato in sede penale, rappresentavano anche in sede civile i requisiti materiali e psicologici integranti gli illeciti disciplinari posti a base dell'atto di recesso. Per la cassazione della sentenza propone ricorso D.C.G. con due motivi. Resiste con controricorso la società Poste Italiane s.p.a. Motivi della decisione 1. Coi primo motivo il D.C. denunzia la violazione del principio dell'immediatezza della contestazione e della tempestività del recesso, oltre che dell'articolo 34 del contratto collettivo nazionale del suo settore lavorativo ponendo in evidenza che era stato sospeso in via cautelare dal servizio in data 3/10/1991 e che solo sette anni dopo, vale a dire in data 26/10/1998, gli era stata comunicata la contestazione disciplinare. A tal riguardo il ricorrente precisa che la tardiva contestazione disciplinare faceva riferimento a fatti oggetto di addebiti penali concernenti reati commessi in danno degli uffici postali di Caserta risalenti al periodo dicembre 1990 - giugno 1991, reati, questi, che sebbene posti a base di un'ordinanza cautelare in carcere del 20.9.1991 e di un'ordinanza di rinvio a giudizio del 3.10.1994, emesse entrambe nei suoi confronti ad opera del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, non erano stati però accertati con sentenza all'epoca dei licenziamento. Tale licenziamento gli era stato intimato senza preavviso in data 11/11/1998, ai sensi dell'articolo 32 del CCNL di settore, sulla base degli stessi fatti penali indicati nella suddetta nota di contestazione disciplinare. In definitiva, il ricorrente si duole del considerevole lasso di tempo di sette anni intercorso tra il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio ed il licenziamento, arco temporale a suo avviso ingiustificato in considerazione del fatto che il recesso era basato sugli stessi addebiti che avevano determinato l'avvio del procedimento disciplinare nei suoi confronti. In ogni caso, secondo il ricorrente, l'esistenza di un procedimento penale a suo carico non poteva configurare un'ipotesi di giusta causa di licenziamento, senza contare che l'articolo 34 del CCNL di settore prevedeva come possibile causa di licenziamento senza preavviso l'esistenza di una condanna passata in giudicato allorquando i fatti costituenti reato potevano assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario. 2. Col secondo motivo il ricorrente si duole dell'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in quanto la Corte d'appello di Napoli ha ritenuto integrati i presupposti di legittimità del licenziamento sulla base della motivazione della sentenza penale del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, riportandosi, in tal modo, a valutazioni rese molto tempo dopo l'adozione del provvedimento di licenziamento e trascurando di considerare che la legittimità dello stesso doveva essere verificata con riferimento all'epoca della sua intimazione. Per ragioni di connessione si reputa opportuno trattare congiuntamente i suddetti motivi. il ricorso è infondato. Invero, correttamente la Corte di merito ha rilevato che il principio di non colpevolezza valido fino alla condanna definitiva, sancito dall'articolo 27, secondo comma, della Costituzione, concerne le garanzie relative all'attuazione della pretesa punitiva dello Stato e non può, quindi, applicarsi, in via analogica o estensiva, all'esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa altresì integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna, non essendo a ciò di ostacolo neppure la circostanza che il contratto collettivo di lavoro preveda la più grave sanzione disciplinare solo qualora intervenga una sentenza definitiva di condanna in tal senso v. Cass. Sez. lav. numero 29825/2008 . Nella fattispecie la gravità dei fatti posti a base della contestazione disciplinare e del successivo licenziamento è stata attentamente valutata dalla Corte territoriale con motivazione indenne da rilievi di legittimità. Infatti, la Corte d'appello di Napoli ha avuto modo di constatare che già all'epoca di emissione dell'ordinanza di custodia cautelare in carcere esistevano indizi di responsabilità a carico del D.C. in merito all'organizzazione di numerose rapine in danno di uffici postali e che per gli stessi fatti il medesimo era stato successivamente rinviato a giudizio per subire, infine, una condanna a pena detentiva. In effetti, dalla lettura della motivazione della sentenza si deduce che i giudici d'appello hanno valutato la gravità dei fatti che rendevano non più proseguibile il rapporto di lavoro alla luce degli accertamenti che avevano determinato l'adozione dei provvedimento restrittivo della libertà personale dei D.C. per i reati di associazione a delinquere, rapina aggravata continuata e tentata ai danni degli uffici postali di Caserta, tanto che nel primo mese successivo a tale evento anche la datrice di lavoro provvedeva a sospendere in via cautelare il dipendente dal servizio. D'altra parte, la stessa Corte di merito ha spiegato che il riferimento alla sentenza penale di condanna rappresentava una semplice conferma del quadro probatorio della responsabilità del dipendente infedele. Quanto alla specifica doglianza concernente l'eccepita mancanza di tempestività del recesso si osserva che la stessa è infondata, atteso che la Corte territoriale ha evidenziato che si era trattato di un lasso di tempo di appena due mesi tra la contestazione disciplinare ed il provvedimento di recesso che si inseriva nel contesto di una perdurante sospensione cautelare dal servizio. Egualmente, per quel che riguarda la lamentata mancanza di immediatezza della contestazione disciplinare è agevole rilevare l'infondatezza della relativa censura, atteso che fin quando perduravano, come nella fattispecie, gli effetti del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio, periodo durante il quale proseguiva anche il giudizio penale a carico del D.C., persisteva una situazione in cui permaneva un concreto interesse della datrice di lavoro ad accertare con sicurezza i fatti incompatibili con la prosecuzione dei rapporto, tali da minare in radice, per la loro gravità, il rapporto fiduciario col dipendente. In effetti, l'intervallo temporale fra l'intimazione del licenziamento disciplinare e il fatto contestato al lavoratore assume rilievo in quanto rivelatore di una mancanza di interesse del datore di lavoro all'esercizio della facoltà di recesso, situazione, questa, non riscontrabile nella fattispecie per le ragioni appena esposte. Infatti, la ritenuta incompatibilità degli addebiti con la prosecuzione del rapporto può essere desunta da misure cautelari, come nel caso di specie la sospensione dal servizio, adottate in detto intervallo dal datore di lavoro, giacché tali misure - specialmente se l'adozione di esse sia prevista dalla disciplina collettiva del rapporto - dimostrano la permanente volontà datoriale di irrogare eventualmente la sanzione del licenziamento, con la precisazione che il requisito dell'immediatezza della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo v. ad es. Cass. Sez. lav. numero 2580 del 2.2.2009 . Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.