L’esito del procedimento amministrativo favorevole all’assicurato non comporta preclusione per l’INPS di agire in giudizio per chiedere al giudice un accertamento negativo della sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, ritenuta dal comitato regionale in sede di contenzioso amministrativo. In tal caso grava sul lavoratore assicurato l’onere della prova in merito all’esistenza del requisito della subordinazione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza numero 16501, pubblicata il 2 luglio 2013. Il caso domanda di accertamento di rapporto di lavoro subordinato promossa da datore di lavoro e lavoratore nei confronti dell’INPS. Con domanda congiunta datore di lavoro e lavoratore agivano in giudizio al fine di vedere accertata la sussistenza di rapporto lavorativo subordinato, con conseguenti obblighi contributivi a carico dell’INPS. Rapporto di lavoro peraltro già riconosciuto dal comitato regionale Inps in sede amministrativa, ma negato dall’Istituto. Il Tribunale del lavoro accoglieva la domanda. Proponeva appello INPS e la Corte d’Appello, in accoglimento del gravame, respingeva la domanda originaria. Ricorrevano in Cassazione azienda e lavoratore per la riforma della sentenza d’appello. La pronuncia in sede amministrativa non equivale a giudicato L’esito del procedimento contenzioso amministrativo non impedisce all’Istituto previdenziale di agire o resistere in giudizio in materia di accertamento della sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato, in applicazione del potere di autotutela spettante all’ente stesso. Pertanto, un esito favorevole all’assicurato del contenzioso amministrativo non comporta per l’istituto una preclusione analoga ad un giudicato, rimanendo sempre aperta la via dell’azione giudiziaria di accertamento negativo proposta dall’INPS, che vada a sovrapporsi alla decisione del comitato regionale. e dunque l’Inps può agire in giudizio per l’accertamento del rapporto. Oggetto di tale giudizio non sarà l’impugnativa dell’atto amministrativo dell’istituto né della decisione del comitato regionale ma l’accertamento da parte del giudice dell’esistenza dei requisiti necessari per l’erogazione della prestazione previdenziale, cioè dei requisiti del lavoro subordinato. Soltanto nel caso in cui l’istituto non dovesse esercitare tale potere in autotutela, omettendo di promuovere il giudizio di accertamento, sarà tenuto a sottostare alla decisione del comitato regionale. L’onere della prova è a carico di chi invoca l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato. Solitamente è l’istituto previdenziale a ritenere esistente un rapporto di lavoro subordinato e nell’eventuale giudizio promosso dall’opponente asserito datore di lavoro l’onere della prova in merito ai requisiti della subordinazione ricade sull’istituto convenuto. Nel caso in esame è l’ente che nega la sussistenza del rapporto subordinato, già riconosciuto dal comitato regionale in ambito amministrativo, non promuovendo il giudizio di accertamento negativo avanti il giudice del lavoro, ma semplicemente disattendendo la decisione del comitato regionale, negando la pretesa dei ricorrente. Esercitando comunque il proprio potere di autotutela, anche se non conformemente alla procedure previste. Osserva allora la Suprema Corte che anche in questo caso deve trovare applicazione il principio più volte affermato, secondo il quale chi intenda far valere l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato e, di conseguenza, la valida attivazione del rapporto previdenziale assicurativo, deve provare l’elemento tipico qualificante del requisito della subordinazione. E dunque tale onere probatorio ricade integralmente sui ricorrenti, interessati al riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato. Onere non assolto nel presente giudizio, avendo la Corte d’Appello ravvisato che dal materiale probatorio acquisito emergeva al contrario l’insussistenza del rapporto subordinato. Accertamento della corte di merito corretto, logicamente motivato e dunque esente da possibilità di censure in sede di legittimità.
Corte di Cassazione, sez. L avoro, sentenza 5 marzo - 2 luglio 2013, numero 16501 Presidente Vidiri – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 3.8.07 la Corte d'appello di Bologna, in riforma della pronuncia emessa in prime cure dal Tribunale felsineo, rigettava la domanda proposta da Zincatura Persicetana S.r.l. e da A M. intesa ad ottenere nei confronti dell'INPS l'accertamento dell'esistenza fra loro d'un rapporto di lavoro subordinato. In proposito la Corte territoriale, all'esito dell'istruttoria di causa, riteneva che gli elementi acquisiti, lungi dal provare l'esistenza d'un rapporto di lavoro subordinato fra il M. e la S.r.l. Zincatura Persicetana prova gravante su costoro , avvalorassero, invece, l'inesistenza di detto rapporto lavorativo, atteso che la società era amministrata da G P. , moglie convivente del M. che, a differenza del marito, non aveva alcuna precedente esperienza imprenditoriale, che i due coniugi erano proprietari - ciascuno per il 50% - della predetta società e che non era emerso dalle acquisite deposizioni testimoniali che la P. avesse mai impartito direttive di lavoro al proprio consorte. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono la S.r.l. Zincatura Persicetana e il M. affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex articolo 378 c.p.c L'INPS ha depositato procura in calce alla copia notificata del ricorso e ha poi partecipato alla discussione. Motivi della decisione 1 - Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli articolo 43, 46 e 47 legge numero 88/1989 nel caso di specie, premesso che il comitato regionale per l'Emilia Romagna aveva accolto il ricorso contro il verbale ispettivo che aveva negato l'esistenza d'un rapporto di lavoro subordinato fra il M. e la S.r.l. Zincatura Persicetana, erroneamente - sostengono i ricorrenti - la Corte territoriale ha ritenuto che il direttore della sede INPS potesse sospendere anche decisioni assunte dai comitati regionali dell'istituto medesimo e, comunque, potesse non darvi esecuzione, nonostante che tale provvedimento del direttore non fosse stato assunto entro cinque giorni dalla suddetta decisione del comitato regionale e sottoposto al vaglio del comitato amministratore e sebbene la decisione del comitato regionale non fosse stata annullata entro novanta giorni. Con il secondo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell'articolo 2697 c.c. per avere l'impugnata sentenza affermato che l'onere di provare la sussistenza del rapporto di lavoro de quo incombe sugli odierni ricorrenti, dovendosi - invece - ritenere gravato l’INPS della dimostrazione dell'insussistenza del rapporto medesimo. 2 - I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente perché connessi, sono infondati. L'esito del procedimento amministrativo contenzioso e la sua regolarità od irregolarità non impediscono all'istituto previdenziale di agire o come nel caso di specie di resistere in giudizio in tema di accertamento della inesistenza di rapporti di lavoro subordinato e di conseguenti obblighi contributivi, trattandosi di materia in cui l'esercizio corretto o meno del potere di autotutela da parte dell'INPS incide su situazione giuridiche indisponibili da parte dell'ente medesimo. In altre parole, neppure un esito favorevole all'assicurato del contenzioso amministrativo comporta per l'istituto una preclusione analoga ad un giudicato, rimanendo pur sempre la possibilità dell'azione giudiziaria cfr. Cass. 22.7.96 numero 6548 Cass. 20.11.97 numero 11594 . E, infatti, questa Corte ha più volte statuito che oggetto del giudizio innanzi al giudice ordinario non è l'impugnativa di un atto amministrativo dell'istituto né di una decisione del comitato regionale il piano dell'accertamento giudiziale è distinto da quello dell'accertamento in sede di contenzioso amministrativo, di guisa che il giudice deve verificare l'esistenza dei requisiti necessari per l'erogazione della prestazione, anche nel caso in cui in sede amministrativa sia stato già emanato un provvedimento ricognitivo del diritto fatto valere dall'assicurato cfr. Cass. 19.4.01 numero 5744 Cass. 7.4.98 numero 3592 . Quindi, pur nell'ipotesi in cui l'esito del contenzioso amministrativo sia stato favorevole all'assicurato, non sussiste preclusione alcuna per l'INPS, che può chiedere al giudice un accertamento negativo che si sovrapponga alla decisione a sé sfavorevole del comitato regionale. Soltanto ove ciò non faccia e si limiti a resistere alla domanda dell'assicurato , la delibera del comitato regionale, che è organo dell'INPS, deve intendersi riferita all'Istituto stesso in termini di riconoscimento della situazione accertata dal comitato, con conseguente esonero per l'assicurato di provare quanto gli è già stato riconosciuto in sede di contenzioso amministrativo in tal senso v. Cass. 17.1.05 numero 789, precedente menzionato anche in ricorso . Pertanto, ove sia mancato l'esercizio dell'autotutela, l'effetto che si determina in favore dell'assicurato vittorioso in sede di contenzioso amministrativo è che l'istituto deve sì stare alla decisione del comitato regionale, ma non gli è precluso di chiedere al giudice un accertamento di segno opposto che si sovrapponga alla decisione stessa. In sostanza è la situazione simmetrica, a parti invertite, che si determina per l'assicurato in caso di decisione del comitato regionale a lui sfavorevole in tal caso può adire il giudice e chiedere che venga riconosciuta, ad esempio, la sussistenza del rapporto di lavoro negata dalla decisione suddetta. Analogamente, nella medesima fattispecie, ma in caso di decisione del comitato favorevole all'assicurato, è l'INPS che ha l'onere di chiedere al giudice l'accertamento negativo della sussistenza del rapporto di lavoro ritenuta dal comitato regionale e, nondimeno, negata dall'istituto, sul quale grava quindi l'onere della prova della simulazione del rapporto cfr., ancora, Cass. 17.1.05 numero 789, cit. . Applicando alla vicenda in esame i principi sopra ribaditi, si ricava che correttamente l'impugnata sentenza ha attribuito agli odierni ricorrenti l'onere della prova dell'esistenza del rapporto di lavoro de quo, atteso che nel caso di specie un provvedimento di autotutela dell'ente è stato comunque adottato non importa, alla stregua delle osservazioni che precedono, se nel pieno rispetto delle procedure di legge, dal momento che - come s'è ricordato - il giudizio in questione non ha natura impugnatoria . Di conseguenza, visto l'avvenuto esercizio da parte dell'INPS del proprio potere di autotutela in senso sfavorevole agli odierni ricorrenti, continua a trovare applicazione il noto insegnamento di questa S.C. secondo cui chi intenda far valere l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato e, per l'effetto, la valida attivazione del rapporto previdenziale/assicurativo deve provare l'elemento tipico qualificante del requisito della subordinazione cfr. Cass. 9.5.2003 numero 7139 Cass. 8.2.2000 numero 1399 Cass. 28.10.89 numero 4547 Cass. 25.3.87 numero 2920 . 3 - Con il terzo motivo si deduce violazione dell'articolo 112 c.p.c. per avere l'impugnata sentenza rigettato la domanda del M. e della S.r.l. Zincatura Persicetana e, quindi, sostanzialmente dichiarato la natura non subordinata del rapporto fra loro intercorso, nonostante che l'INPS non avesse proposto domanda riconvenzionale in tal senso la doglianza muove - proseguono i ricorrenti - dal rilievo che, ai sensi della cit. sentenza numero 789/05 di questa S.C., sarebbe stato onere dell'INPS adire il giudice per far accertare l'insussistenza del rapporto in questione. Il motivo è infondato. Come sopra chiarito, il principio espresso da Cass. numero 789/05 nei sensi pretesi dagli odierni ricorrenti presuppone che in sede di amministrativa sia stata infine adottata una decisione favorevole all'assicurato, presupposto che invece - come si è sopra ricordato - nel caso in esame non sussiste. Dunque, a fronte di una decisione ad essi sfavorevole, gli odierni ricorrenti avevano l'onere di adire il giudice per far valere il preteso rapporto previdenziale e il giudice aveva l'obbligo di accertarne l'esistenza o meno a prescindere da riconvenzionali dell'INPS , il che è correttamente avvenuto in sede di merito, senza vizio alcuno di extrapetizione. 4 - Con il quarto motivo si fa valere un vizio di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che i documenti relativi alle dimissioni di A M. si riferiscano all'odierno ricorrente, mentre essi - in realtà - riguardano suo fratello G. . Il motivo è inammissibile perché, deducendo un travisamento della prova, avrebbe dovuto essere accompagnato - in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione - dalla trascrizione dei documenti de quibus o, almeno, dalla precisa indicazione della loro collocazione in atti, il che non è avvenuto. A ciò si aggiunga, ad ogni modo, che nell'economia della motivazione dell'impugnata sentenza i documenti predetti risultano sostanzialmente irrilevanti, poiché la Corte territoriale ha escluso la prova dell'esistenza d'un reale rapporto di lavoro tra M.A. e la S.r.l. Zincatura Persicetana in base a differenti rilievi, ossia perché la società era amministrata da P.G. , moglie convivente del M. che, a differenza del marito, non aveva alcuna precedente esperienza imprenditoriale, che i due coniugi erano proprietari - ciascuno per il 50% - della predetta società e che non era emerso dalle acquisite deposizioni testimoniali che la P. avesse mai impartito direttive di lavoro al proprio consorte. 5 - Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso si lamenta vizio di motivazione per avere l'impugnata sentenza omesso di valutare la concorde volontà delle parti A M. e Zincatura Persicetana S.r.l. di dare vita ad un rapporto di lavoro subordinato e di avere, invece, valutato contro gli odierni ricorrenti dati di fatto irrilevanti, come - ad esempio - la partecipazione paritaria di entrambi i coniugi al capitale sociale, il regime di comunione legale dei beni fra loro intercorrente e la cointestazione ad entrambi del c/c su cui veniva accreditato lo stipendio del M. . Il motivo va disatteso perché si colloca all'esterno dell'area di cui all'articolo 360 c.p.c, atteso che, per costante giurisprudenza di questa Corte Suprema - da cui non si ravvisa motivo alcuno di discostarsi - il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex articolo 360 numero 5 c.p.c., sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di un fatto decisivo della controversia, potendosi in sede di legittimità controllare unicamente sotto il profilo logico - formale la valutazione operata dal giudice del merito, soltanto al quale spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all'uopo, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione cfr., ex aliis , Cass. S.U. 11.6.98 numero 5802 e innumerevoli successive pronunce conformi . Né il ricorso isola come invece avrebbe dovuto singoli passaggi argomentativi per evidenziarne l'illogicità o la contraddittorietà intrinseche e manifeste vale a dire tali da poter essere percepite in maniera oggettiva e a prescindere dalla lettura del materiale di causa , ma ritiene di poter enucleare vizi di motivazione dal mero confronto con documenti e deposizioni, vale a dire attraverso un'operazione che suppone un accesso diretto agli atti ed una loro delibazione non consentiti in sede di legittimità. Per il resto, il motivo ricorso si dilunga in difformi valutazioni delle risultanze del processo, che l'impugnata sentenza ha esaminato in maniera completa e con motivazione immune di vizi logico-giuridici. 6 - In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 50,00 per esborsi e in Euro 1.500,00 Euro millecinquecento/00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.