Dipendenti parastatali: l’indennità di anzianità si calcola solo sullo stipendio

La disciplina legislativa del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici parastatali, in base alla quale deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare, non è derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con la sentenza numero 12857, depositata il 22 giugno 2015. Indennità di anzianità nella base di calcolo rientrano anche gli emolumenti diversi dallo stipendio? La pronuncia in commento trae origine dalla decisione del giudice di merito che, in accoglimento del ricorso proposto dal dipendente dell’INPS contro il proprio datore di lavoro, ha condannato quest’ultimo a riliquidare l’indennità di buonuscita, tenendo conto dell’indennità di funzione, del salario di professionalità e dell’anticipazione mensile dei compensi incentivanti. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’istituto di previdenza, lamentando che, a differenza di quanto ritenuto dal giudice di merito, la disciplina sulla c.d. omnicomprensività dell’indennità di anzianità di cui al regolamento INPS del 12 giugno 1970, approvato con decreto interministeriale del 22 febbraio 1971, non era più operante a seguito dell’entrata in vigore della l. numero 70/1975, il cui articolo 13 continuava ancora a disciplinare la medesima indennità prima dell’entrata in vigore della l. numero 144/1999 , stabilendo che in essa rientrano solo la retribuzione base e gli scatti di anzianità, con esclusione di altri emolumenti. Dipendenti degli enti parastatali l’indennità di anzianità va calcolata in base al solo stipendio. La decisione in esame richiama le precedenti pronunce delle Sezioni Unite secondo le quali, in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici c.d. parastatali, l’articolo 13 l. numero 70/1975 di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all’articolo 2120 c.c. non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un’indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all’autonomia regolamentare dei singoli enti solo l’eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio cfr. Cass., SS.UU., numero 7154/2010 e numero 7158/2010 . Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari nella specie, l’indennità di funzione ex articolo 15, comma 2, l. numero 88/1989, il salario di professionalità o l’assegno di garanzia retribuzione e l’indennità particolari compiti di vigilanza per i dipendenti dell’INPS e INAIL . Conseguentemente, devono ritenersi abrogate o illegittime e, comunque, non applicabili, le disposizioni di regolamenti, come quello dell’INPS, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo cfr., altresì, Cass., ord. numero 4749/2011 e, da ultimo, sent. numero 21826/2014 . Trattamento di quiescenza le disposizioni regolamentari non sono più operanti. La pronuncia in commento ricorda, altresì, che, l’articolo 1 l. numero 70/1975 ha disposto che lo stato giuridico ed il trattamento economico di attività e di fine servizio del personale dipendente degli enti pubblici parastatali «sono regolati in conformità alla presente legge». L’articolo 25 della citata legge ha imposto, poi, a ciascun ente di provvedere a modificare i regolamenti organici vigenti in conformità della medesima legge entro sei mesi dall’approvazione degli accordi sindacali che avrebbero dovuto determinare il trattamento economico, mentre l’articolo 26 ha vietato di attribuire al personale trattamenti economici accessori o integrativi. La nuova disciplina ha previsto, quindi, un trattamento retributivo omogeneo per i dipendenti di tutti gli enti interessati e, quanto al trattamento di quiescenza, ha disposto, all’articolo 13, che «all’atto della cessazione del servizio spetta al personale un’indennità di anzianità, a totale carico dell’ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato». Conseguentemente, tali previsioni legislative hanno costituito, per tutti i dipendenti del parastato, la disciplina applicabile per la quiescenza, con conseguente abolizione di quelle, diversamente stabilite, dalle molteplici delibere dai consigli di amministrazione dei relativi enti pubblici. Quanto alla quiescenza, inoltre, non vi è alcuna norma che sancisca l’ultrattività delle disposizioni regolamentari per il periodo successivo all’entrata in vigore della l. numero 70/1975. Al contrario, la perdurante operatività dei trattamenti previsti dalle singole delibere degli enti si porrebbe in insanabile contrasto con la lettera e la finalità della legge di razionalizzazione ed omogeneizzazione diversamente opinando, la legge in questione sarebbe completamente inutile.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 febbraio – 22 giugno 2015, numero 12857 Presidente Coletti De Cesare – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con sentenza del 24.4.2008, il Tribunale di Torino, in accoglimento del ricorso proposto da M.G. nei confronti dell'INPS, di cui fu dipendente dal 1968 al 1998, condannò l’Istituto a riliquidare l'indennità di buonuscita tenendo conto dell'indennità di funzione, del salario di professionalità e dell'anticipazione mensile compensi incentivanti, con corresponsione, su tali differenze, degli interessi legali maturati dalla data di cessazione del rapporto al saldo. Avverso tale pronuncia proponeva appello l’INPS resisteva la M. . Con sentenza depositata il 4 giugno 2009, la Corte d'appello di Torino respingeva il gravame, condannando l’Istituto al pagamento delle spese. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INPS, affidato ad unico motivo. Resiste la M. con controricorso, poi illustrato con memoria. Motivi della decisione 1.- L’INPS denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 13 L. 20.3.75 numero 70, e degli articolo 5 e 34 del Regolamento per il trattamento di previdenza e quiescenza del personale a rapporto di impiego dell'INPS articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta che, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito, la disciplina sulla c.d. omnicomprensività dell'indennità di anzianità di cui al Regolamento Inps del 12 giugno 1970, approvato con decreto interministeriale del 22.2.71, non era più operante a seguito dell'entrata in vigore della L. numero 70/75, il cui articolo 13 continuava ancora a disciplinare la medesima indennità prima dell'entrata in vigore della L. numero 144/99 , stabilendo che in essa rientrano solo la retribuzione base e gli scatti di anzianità un'indennità di anzianità, a totale carico dell'ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento , con esclusione di altri emolumenti. 2.- Il ricorso è fondato. Le Sezioni Unite di questa Corte sentenze numero 7154 del 25/03/2010 e numero 7158 dello stesso 25/3/2010 hanno affermato che in tema di base di calcolo del trattamento di quiescenza o di fine rapporto spettante ai dipendenti degli enti pubblici del c.d. parastato, l'articolo 13 della legge 20 marzo 1975 numero 70, di riordinamento di tali enti e del rapporto di lavoro del relativo personale, detta una disciplina del trattamento di quiescenza o di fine rapporto rimasta in vigore, pur dopo la contrattualizzazione dei rapporti di pubblico impiego, per i dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995 che non abbiano optato per il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 cod. civ. , non derogabile neanche in senso più favorevole ai dipendenti, costituita dalla previsione di un'indennità di anzianità pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato, lasciando all'autonomia regolamentare dei singoli enti solo l'eventuale disciplina della facoltà per il dipendente di riscattare, a totale suo carico, periodi diversi da quelli di effettivo servizio. Il riferimento quale base di calcolo allo stipendio complessivo annuo ha valenza tecnico-giuridica, sicché deve ritenersi esclusa la computabilità di voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e dalla sua integrazione mediante scatti di anzianità o componenti retributive similari nella specie, l'indennità di funzione ex articolo 15, secondo comma, della legge numero 88 del 1989, il salario di professionalità o assegno di garanzia retribuzione e l'indennità particolari compiti di vigilanza per i dipendenti dell'INPS e INAIL e devono ritenersi abrogate o illegittime, e comunque non applicabili, le disposizioni di regolamenti come quello dell'Inps, prevedenti, ai fini del trattamento di fine rapporto o di quiescenza comunque denominato, il computo in genere delle competenze a carattere fisso e continuativo. Il principio è stato successivamente ribadito da questa Corte con l'ordinanza numero 4749/11 ove sono stati peraltro esclusi dubbi di legittimità costituzionale, atteso che, in caso di trattamento globale costituito da più componenti, qual'è l'indennità di buonuscita rispetto al trattamento dei lavoratori pubblici privatizzati, il rispetto dell'articolo 36 Cost. deve essere valutato in relazione alla totalità dell'emolumento , nonché, ampiamente, con sentenze numero 3755/12 e 21826/14 quest’ultima, in particolare su esclusione compenso incentivante . 2.1- Né può essere seguita la tesi svolta dalla M. nel controricorso, secondo cui il divieto in parola riguarderebbe solo i dipendenti INPS ancora in servizio dopo l'entrata in vigore della L. numero 144/99. Ed invero le citate sentenze rese a sezioni unite riguardavano dipendenti in servizio alla data del 31 dicembre 1995, restando comunque ininfluente, per i fini in questione, l'articolo 64 della legge 17 maggio 1999 numero 144, che abolì i Fondi integrativi, senza alcuna conseguenza sull'erogazione del trattamento di quiescenza per il personale dell'INPS, per il quale - a differenza della pensione integrativa - tale trattamento è posto a carico direttamente dell'ente come spese generali di amministrazione dell’Istituto e dunque non erogato dal Fondo Cass. numero 11603/08, da ultimo Cass. numero 3755/12 . Come osservato da Cass. numero 11603/08, la fonte che legittimava l'adozione da parte dell'Inps del regolamento disciplinante il trattamento di quiescenza, era il d.P.R. 30 aprile 1970 numero 639, articolo 11, emanato sulla base della delega conferita dalla L. numero 153 del 30 aprile 1969, articolo 27 e 29. Detta legge aveva infatti rimesso al d.P.R. di disciplinare, con norme aventi valore di legge, il riordinamento degli organi di amministrazione dell'Inps. L'articolo 11 del Regolamento delegato numero 639/70, a sua volta, rimetteva la determinazione del trattamento economico di attività e di fine servizio alle delibere del consiglio di amministrazione dell'Istituto. L'articolo 5 del Regolamento deliberazioni del 12.6.1970 e del 18.3.1971 , prevedeva che Agli effetti del presente Regolamento si intende per retribuzione la somma delle seguenti competenze lo stipendio lordo calcolato per 15 mensilità annue eventuali assegni ed altre competenze di carattere fisso e continuativo, con esclusione delle quote di aggiunta di famiglia, che siano riconosciuti utili ai fini del trattamento di previdenza e di quiescenza con delibera del Consiglio di amministrazione approvata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale di concerto con quello del Tesoro . Con la sentenza numero 120/1980, il Consiglio di Stato aveva però annullato tale disposizione nella parte in cui subordina a delibera del c.d.a. la selezione degli elementi utili agli effetti dei trattamenti di fine rapporto indennità di buonuscita e pensione , dichiarando che L'articolo 5 del regolamento per il trattamento di previdenza e di quiescenza del personale dell'Inps, nella parte in cui subordina a deliberazione del consiglio di amministrazione dell'ente l'utilità degli assegni e delle altre competenze ivi indicati ai fini del trattamento anzidetto, confligge irrimediabilmente con la sostanzialità dell'indagine circa il carattere che tali competenze devono avere, ai sensi dell'articolo 2121 cod. civ. e dei principi generali della materia, i quali prevedono che l'utilità di un certo assegno o competenza ai fini del trattamento di previdenza e quiescenza derivi ex se dalle intrinseche ed obbiettive caratteristiche dell'emolumento in relazione alla normazione legislativa primaria, senza essere subordinata alla emanazione di un provvedimento dell'ente pubblico interessato . Pertanto, in base all'articolo 5 del Regolamento, a seguito della decisione del Consiglio di Stato numero 120/80, per retribuzione doveva intendersi la somma dello stipendio lordo calcolato per 15 mensilità annue e di eventuali assegni personali ed altre competenze di carattere fisso e continuativo, con esclusione delle quote di aggiunta di famiglia , connessi a tale previsione risultano gli articolo 27 in tema di pensione integrativa e 34 in tema di indennità di buonuscita, denominata trattamento di quiescenza , che fanno rispettivamente riferimento air'ultima retribuzione spettante e all' ultima retribuzione annua spettante . 2.2-L’INPS adottava pertanto la Delibera numero 99 del 1982, secondo cui la base di calcolo dell'indennità di buonuscita era costituita dallo stipendio lordo per quindici mensilità, oltre che da eventuali assegni personali ed altre competenze di carattere fisso e continuativo. Tale disciplina non può tuttavia ritenersi operante. Ed invero la L. numero 70/75, articolo 1, aveva già disposto che Lo stato giuridico e il trattamento economico di attività e di fine servizio del personale dipendente degli enti pubblici individuati ai sensi dei seguenti commi sono regolati in conformità alla presente legge . L'articolo 25 della citata legge imponeva poi a ciascun ente di provvedere a modificare i regolamenti organici vigenti in conformità della medesima legge entro sei mesi dall'approvazione degli accordi sindacali, che avrebbero dovuto determinare il trattamento economico, mentre l'articolo 26 faceva divieto di attribuire al personale trattamenti economici accessori o integrativi. La nuova disciplina recava quindi un trattamento retributivo omogeneo per i dipendenti di tutti gli enti interessati tramite accordi sindacali, come già avveniva per i dipendenti statali e, quanto al trattamento di quiescenza, si disponeva all'articolo 13 che all'atto della cessazione del servizio spetta al personale un'indennità di anzianità, a totale carico dell'ente, pari a tanti dodicesimi dello stipendio annuo complessivo in godimento quanti sono gli anni di servizio prestato . Pertanto, questa divenne ormai, per tutti i dipendenti del parastato, la disciplina applicabile per la quiescenza, con conseguente abolizione di quelle, diversamente stabilite, dalle varie, molteplici delibere dai consigli di amministrazione. Né, quanto alla quiescenza, vi è alcuna norma che sancisca la ultrattività delle disposizioni regolamentari per il periodo successivo alla entrata in vigore della L. numero 70 del 1975 al contrario, la perdurante operatività dei trattamenti previsti dalle singole delibere degli enti, si porrebbe in insanabile contrasto con la lettera e la finalità della legge di razionalizzazione ed omogeneizzazione, pena, contrariamente opinando, la completa inutilità della legge medesima. 3.- Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata conseguentemente cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa viene decisa nel merito direttamente da questa Corte con il rigetto dell'originaria domanda. Il consolidamento dell'orientamento di legittimità in epoca successiva al giudizio di merito, giustifica la compensazione delle spese dell'intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dalla M. . Compensa le spese dell'intero processo.