Cessione del credito di una P.A.: il ritardato collaudo dell’opera vale come assenso alla cessione

In tema di opere pubbliche, ai fini del riconoscimento dell’operatività del divieto di cessione di credito, non è sufficiente che tale cessione, in mancanza di accettazione da parte dell’amministrazione committente, sia intervenuta prima del limite temporale rappresentato dall’avvenuta effettuazione del collaudo, occorrendo piuttosto apprezzare se la cessione risalga o meno ad una data posteriore alla scadenza del termine normativo, per il collaudo.

Con la pronuncia numero 12504 del 17 giugno 2015, il S.C. interviene sull’interessante questione dell’efficacia del divieto di cessione del credito di una pubblica amministrazione, qualora il credito ceduto sia relativo ad un’opera pubblica il cui collaudo sia stato effettuato oltre il decorso dei 6 mesi previsti, ex lege, per l’effettuazione del collaudo stesso. Il caso. La vicenda affrontata dalla Cassazione riguarda un’interessante questione relativa alla cessione di un credito di un ente locale il Comune nei confronti di un’impresa, successivamente fallita. Secondo l’impresa cessionaria, il fallimento della cedente non sarebbe stato rilevante, dovendo il Comune procedere al pagamento dell’ultima rata prima del fallimento. In appello detta pronuncia viene riformata, con conseguente obbligo di restituzione in capo all’appaltatrice delle somme in precedenza corrisposte. Tale pronuncia viene impugnata in Cassazione dalla cessionaria, sul rilievo che la cessione del credito non si è perfezionata con il collaudo dei lavori avvenuto dopo il fallimento ma al decorso del termine di 6 mesi ai sensi dell’articolo 4 della l. numero 741/81 ossia prima del fallimento , così equiparando il decorso del termini all’effettiva realizzazione del collaudo, anche per quanto concerne la spettanza del relativo compenso e, quindi, il concreto determinarsi della somma in capo alla cessionaria. Il problema quando è efficace la cessione del credito di una pubblica amministrazione? Nel caso di specie, la Cassazione era chiamata a risolvere l’interrogativo se il divieto di cessione del credito di una pubblica comporti una sorta di inefficacia provvisoria della cessione solo nei confronti della p.a o se tale divieto fosse anche efficace tra il cedente ed il cessionario. Il S.C., sul punto, precisa che la suddetta inefficacia opera solo nei confronti della pubblica amministrazione ma, in ogni caso, cessa alla scadenza dei 6 mesi previsti dalla legge per la realizzazione del collaudo dell’opera pubblica, e con riferimento alla parte, per la parte del corrispettivo non ancora corrisposto. Cessione dei crediti degli enti locali si applica la disciplina codicistica. Il S.C., in primo luogo, ricorda che per la cessione dei crediti da corrispettivo di appalto vantati nei confronti degli enti locali, effettuata prima dell’entrata in vigore del d.p.r. 21 dicembre 1999 numero 554, l’articolo 115 del testo unico degli enti locali prevede espressamente la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata e la notifica alle P.A. debitrici ai fini dell’efficacia ed opponibilità alle stesse. Non trova invece applicazione l’articolo 69, 3º comma, r.d. numero 2440/1923, che pure richiede la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata e la notificazione alla P.A. della cessione del credito, in quanto tale norma riguarda la sola amministrazione statale, stante il mancato esplicito richiamo nell’ordinamento degli enti locali, e non può essere applicata in via analogica, in ragione del carattere eccezionale rispetto al regime generale della cessione dei crediti articolo 1260 e ss. c.c. . Cessione del credito di una P.A. sì alla apposizione di una condizione. Come regola generale, in particolare, per quanto concerne le modalità di attuazione della cessione, va osservato che la titolarità del credito si trasferisce dal cedente appaltatore al cessionario subappaltatore nei limiti e con le modalità del consenso alla cessione prestato dalla P.A., quale debitore ceduto, solo con l'accettazione della cessione da parte della stessa. In tale contesto, è legittima l'apposizione di una condizione alla cessione qualora funzionale alla salvaguardia dell'interesse pubblico perseguito dalla P.A. in ipotesi di operatività della cessione nel momento in cui l'appalto è ancora in corso ed il credito dell'appaltatore, oggetto di cessione non è ancora maturato e, quindi, venuto ad esistenza. Cessione del credito in pendenza del rapporto contrattuale inefficace fino alla conclusione del contratto. Da ultimo, può osservarsi come, secondo la giurisprudenza di legittimità, la mancata adesione dell'Amministrazione alla cessione del credito stipulata e notificata durante lo svolgimento del rapporto contrattuale costituisce una causa estrinseca di inefficacia della cessione, la quale cessa con la conclusione del rapporto contrattuale, anche se la notificazione della cessione sia avvenuta allorché il rapporto era ancora in corso. L'operatività della cessione dopo l'esecuzione del contratto concerne esclusivamente i crediti non ancora estinti, perché pagati o compensati, durante il periodo di sospensione della efficacia della cessione, nel quale l'Amministrazione debitrice, proprio perché non vincolata dalla cessione, conserva la facoltà di pagamento al creditore originario con effetti liberatori.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 19 maggio – 17 giugno 2015, numero 12504 Presidente Salvago – Relatore Genovese Svolgimento del processo 1.1. L’impresa edile geom. E. R. aveva stipulato, l'11 novembre 1988, un contratto quadro di factoring con la Sud Factoring spa. 1.2. Il 19 marzo 1992, il Comune di Torino assegnò all'impresa R. l'esecuzione dei lavori di R.uro di un edificio comunale ed altri lavori, per l'importo di £ 259.938.212. 1.3. L'impresa cedette pro solvendo alla Ifitalia spa, succeduta alla Sud Factoring, il 29 giugno 1994, l'intero ammontare dei crediti vantati nei confronti del Comune appaltante, di cui una parte già fatturati. 1.4. In data 28 luglio 1994, Ifitalia spa notificò al Comune il contratto di cessione il 15 dicembre successivo venne redatto lo stato finale dei lavori e il 13 agosto 1998 la Giunta comunale deliberò l'approvazione del collaudo delle opere appaltate all'impresa R 1.5. Nel frattempo, e precisamente il 18 luglio 1996, il Tribunale di Bari aveva dichiarato il fallimento dell'impresa R 2. A seguito di citazione, il Tribunale di Torino ha accolto la domanda proposta dalla cessionaria International Factors Italia spa più semplicemente Ifitalia ed ha condannato il Comune di Torino, debitore dell'appaltatore, che pure aveva chiamato in giudizio la Curatela del fallimento dell'impresa edile geom. E. R. d'ora in avanti solo la Curatela fallimentare o la Curatela , al pagamento dell'ultima fattura da quest'ultima emessa prima della dichiarazione di fallimento, oltre accessori e spese di lite, in favore della società di factoring, reputando irrilevante il sopravvenuto fallimento dell'appaltatore. 2.1. la Curatela ha proposto appello principale e il Comune di Torino appello incidentale International Factors Italia spa si è costituita contro gli appellanti. 3. La Corte territoriale, ha accolto i due appelli a quello principale, proposto dalla Curatela fallimentare, condannando il Comune di Torino al pagamento del debito verso l'appaltatrice in favore della Curatela b quello incidentale, proposto dal Comune per il recupero di quanto corrisposto alla società di factoring, condannando quest'ultima alla restituzione di quanto già incassato c regolato le spese del giudizio. 3.1. Secondo il giudice distrettuale, il credito dell'impresa appaltatrice sarebbe venuto ad esistenza solo in data 13 agosto 1998, ossia quando il Comune ebbe ad approvare il collaudo dei lavori eseguiti dall'impresa e a liquidare, in via definitiva, l'intera spettanza dell'impresa , ormai anche dichiarata fallita. Infatti, il credito dell'appaltatore pubblico, in linea generale, costituirebbe un credito futuro, e la sua cessione avrebbe natura obbligatoria mentre l'effetto traslativo si realizzerebbe solo nel momento in cui esso viene ad esistenza, ossia con l'esecuzione del collaudo. 3.2. Perciò, la cessione dei crediti da parte dell'impresa appaltatrice alla società di factoring sarebbe inopponibile al Fallimento. 3.3. Inoltre, sarebbe priva di pregio l'invocazione della legge numero 52 del 1991, sul factoring, atteso che essa potrebbe essere applicata solo da giorno 12 marzo 1991, cioè dopo la sua entrata in vigore mentre, nel caso esaminato, il contratto sarebbe stato stipulato ben prima, ossia nel corso dell'anno 1988. Né l'estensione del factoring agli appalti pubblici, di cui all'articolo 26, co. 5, della legge numero 109 del 1994, potrebbe influire atteso che tale disposizione presuppone l'applicabilità al caso concreto della legge sulla cessione dei crediti d'impresa, nella specie inapplicabile. 3.4. Né rileverebbe la previsione di cui all'articolo 5 della legge numero 741 del 1981, atteso che la norma si limiterebbe ad anticipare gli effetti economici favorevoli all'appaltatore ad es., l'indennizzo del ritardo con gli interessi ma non inciderebbe sul principio secondo cui la definitività del credito dell'appaltatore decorre dal collaudo. 4. Avverso tale pronuncia ricorre la soccombente cessionaria, con ricorso affidato a tre mezzi, illustrati anche con memoria. 5. Il Comune resiste con controricorso. 6. La Curatela non ha svolto difese. Motivi della decisione 1. Con il primo mezzo Violazione e falsa applicazione degli articolo 1260, 1264, 1265 e 2914 c.c. e 70 RD numero 2440/1923 e 9 All. E e 351 e 355 All. F L. numero 2248/1865, in relazione alla L. numero 741 del 1981 e 5 d.P.R. numero 1063 del 1962, quando si afferma che l'inefficacia provvisoria della cessione del credito derivante dall'appalto pubblico perduri dopo il decorso dei sei mesi previsti dalla citata legge 1981, quale termine entro cui il collaudo va realizzato e che essa inefficacia provvisoria viene a cessare soltanto quando detto collaudo viene effettivamente realizzato, così rendendo inopponibile la cessione stessa al fallimento dell'appaltatore cedente dichiarato prima dell'assunzione della delibera di collaudo, pur essendo la cessione intervenuta in epoca non sospetta ed essendo già scaduto il termine entro cui il collaudo deve essere eseguito viene posta alla Corte il seguente quesito multiplo “- se in presenza di credito riveniente da SAL relativo ad opere realizzate nel contesto di un contratto di appalto con un Ente pubblico o di diritto pubblico, il divieto di cessione previsto dall'articolo 10 RD numero 2440 del 1923 e dell'obbligo di adesione alla eventuale cessione da parte della PA previsto dall'articolo 9 All. E L. numero 2248/1865 e dagli articolo 351 e 355 All. F della medesima legge, determina una inefficacia della cessione del credito solo nei confronti della PA, provvisoria e sino a quando il contratto di appalto cessa di essere in corso e se tale inefficacia provvisoria ha effetti preclusivi alla efficacia della cessione stessa tra il cedente ed il cessionario se tale inefficacia provvisoria viene a cessare successivamente al decorso del termine di sei mesi entro cui deve essere eseguito ed approvato il collaudo delle opere o se essa persiste sino alla materiale emissione di un provvedimento da parte della PA di approvazione del collaudo e ciò anche se tale provvedimento è stato emesso dopo il decorso del termine di legge - se la stazione appaltante pubblica, al fine di evitare gli effetti dell'onere incombente sul creditore nel quadro dell'esecuzione di buona fede del contratto, deve dimostrare che il ritardo non solo non è ad essa imputabile ma è conseguenza di comportamenti defatigatori messi in atto dall'appaltatore - se gli effetti di tale ritardo, oltre ad obbligare la stazione appaltante a corrispondere gli interessi maturati successivamente al decorso del predetto termine di sei mesi incidono anche sulla disponibilità patrimoniale del credito da parte dell'appaltatore con riferimento sia ai crediti conseguenti a SAL realizzati e certificati ed il cui pagamento è già scaduto che ai crediti derivanti dal saldo del prezzo dell'appalto”. 1.1. Premette la ricorrente che la Corte distrettuale avrebbe trascurato di tenere in considerazione che il credito si sarebbe riferito non già al saldo del prezzo ma ad una rata corrispondente all'8 SAL , il cui termine di scadenza era fissato per il 15 aprile 1995. 1.2. Il giudice distrettuale avrebbe errato non considerando che il termine per l'esecuzione e l'approvazione del collaudo delle opere appaltate è stabilito dalla legge in sei mesi dalla consegna dei lavori, derivando dalla sua omissione alcune conseguenze oltre a quelle previste dalla legge ossia l'inefficacia delle polizze assicurative il diritto al pagamento degli interessi maturandi il diritto di instaurazione del giudizio arbitrale dovrebbe prevedersi anche la caducazione del “divieto di cedere crediti maturati con l'esecuzione dell'appalto”. 2. Con il secondo mezzo Violazione e falsa applicazione degli articolo 1260, 1264, 1265 e 2914 c.c., in relazione alla L. numero 142 del 1990, allorquando si afferma che la cessione dei crediti verso l'ente pubblico territoriale necessita dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata oltre che dell'accettazione da parte del debitore ceduto viene posta alla Corte il seguente quesito di diritto “se l'articolo 69, comma 3, RD numero 2240/1923 ha a riferimento solo le spese inerenti il patrimonio dello Stato e previste dalla contabilità generale dello Stato e non anche a quelle degli enti pubblici territoriali, cosi come nessun riferimento a tale obbligo è contenuto nella l. numero 142/90, ratione materiae applicabile alla fattispecie concreta”. 2.1. Premette la ricorrente che “nel corso del giudizio di primo e secondo grado è sempre stata ritenuta certa la necessità che la cessione del credito verso il Comune di Torino . fosse effettuata a mezzo di atto pubblico o scrittura autenticata e che la cessione stessa venisse accettata dall'ente territoriale”. 2.2. Ma in realtà l'articolo 69, co. 3, RD numero 2240 del 1923 disciplinerebbe solo l'attività contrattuale dello Stato, non quella dei Comuni, allora disciplinata dalla legge numero 142 del 1990, onde la mancanza di obbligo di rispettare le forme previste dalla prima disposizione riferimento a Cass. numero 17496 del 2008 . 3. Con il terzo mezzo Violazione e falsa applicazione degli articolo 1 e 5 L. numero 52 del 1991 e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia nel momento in cui viene esclusa l'applicabilità di tale norma alla cessione dei crediti d'impresa realizzati tra l'imprenditore esercente attività commerciale e banca o impresa finanziaria avente ad oggetto l'esercizio di attività di acquisto di crediti in cessione e nel momento in cui, in forza di tale esclusione, viene dichiarata la inopponibilità della cessione al fallimento del cedente nonostante che tale cessione si avvenuta in epoca antecedente alla dichiarazione di insolvenza ed in un momento di inscientia decoctionis da parte del cessionario viene posta alla Corte il seguente quesito multiplo di diritto “- se il Giudice di merito, in presenza di cessione di credito sorta da attività d'impresa e realizzata tra una banca o un ente finanziario esercente attività di cessione dei crediti ed un imprenditore commerciale, oltre che in presenza di pagamento da parte del cessionario del relativo corrispettivo in tutto o in parte, può escludere l'applicabilità della legge numero 52 del 1991 solo perché sussiste tra le parti un contratto di factoring stipulato in data antecedente e cioè se in presenza di cessione di crediti avente i requisiti soggettivi ed oggettivi da tale legge previsti, le relative norme vanno sempre applicate indipendentemente dalla sussistenza o meno di un rapporto contrattuale di factoring tra le parti preesistente - se il Giudice di merito, verificata la presenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi di cui sopra e l'assenza di attività revocatoria da parte della Curatela fallimentare interessata, deve dichiarare la opponibilità ad essa della cessione di credito in questione e ciò indipendentemente dall'opponibilità della cessione medesima nei confronti del debitore ceduto a causa della mancata notifica dell'evento traslativo allo stesso o a causa di impedimenti legislativi che esentano il debitore ceduto a dar corso al pagamento del proprio debito a mani del cessionario ed in assenza di suo riconoscimento della cessione - se al Giudice di merito è consentito escludere l'opponibilità di una cessione di credito avente i requisiti di cui alla legge numero 52 del 1991 alla Curatela del fallimento del cedente sul presupposto che il cessionario ha inteso rendere tale cessione opponibile ai terzi soltanto a mezzo del pagamento del corrispettivo e non anche a mezzo della notifica della cessione di credito al debitore ceduto ai sensi del codice civile e che tale possibilità è dalla legge numero 52 del 1991 prevista con ipotesi alternativa e non necessaria”. 3.1. Sostiene la ricorrente che la legge numero 52 del 1991 non disciplinerebbe il contratto di factoring, che resterebbe sempre una convenzione atipica, con prevalenza della figura della cessione dei crediti. La legge, infatti, si limiterebbe a prevedere i requisiti oggettivi e soggettivi, in presenza dei quali una cessione possa essere disciplinata da tale legge e comporterebbe l'opponibilità della cessione a tutti gli altri aventi causa del cedente e al fallimento di quest'ultimo, quando il cessionario abbia pagato il corrispettivo, con atto avente data certa. 3.2. Il giudice distrettuale avrebbe errato nell'escludere tale opponibilità sul presupposto della stipulazione del contratto di factoring in data antecedente al 12 marzo 1991 data di entrata in vigore della legge anche perché la cessione come ammesso dalla stessa sentenza sarebbe in ogni caso valida nei rapporti interni tra cedente e cessionario . 3.3. Nella specie, poi, la cessione sarebbe stata effettuata dall'impresa creditrice in bonis alla società avente i requisiti di legge che avrebbe versato il corrispettivo, con atto avente data certa, assai prima della dichiarazione di fallimento della creditrice come risulterebbe dall'accertamento compiuto dal giudice di prime cure, mai impugnato dalle parti appellanti . 4. Il primo motivo di ricorso è fondato. 4.1. La ricorrente, infatti, chiede l'applicazione dei principi che regolano, sulla base della 1. numero 741 del 1981, la disciplina del collaudo e, quindi, in conseguenza di tale interpretazione e dell'affermazione del principio dell'avvenuto compimento ex lege del collaudo dopo il decorso del termine di sei mesi dall'avvenuta consegna dei lavori della concreta affermazione del momento di maturazione del credito ceduto, avvenuto anteriormente al fallimento dell'impresa cedente. 4.2. Secondo la cessionaria ricorrente, l'inefficacia provvisoria della cessione del credito derivante dall'appalto pubblico sarebbe cessata già dopo il decorso dei sei mesi previsti dall'articolo 5 della citata legge numero 741, ossia del termine entro cui il collaudo, anche se non sia stato effettivamente eseguito, avrebbe dovuto esserlo, così rendendo inopponibile la cessione stessa al fallimento dell'appaltatore cedente, insolvenza dichiarata prima dell'assunzione della delibera di collaudo. 4.3. In sostanza, il motivo di ricorso suppone come errata l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata e secondo la quale il credito dell'impresa appaltatrice sarebbe venuto ad esistenza solo in data 13 agosto 1998, ossia quando il Comune ebbe ad approvare il collaudo dei lavori eseguiti dall'impresa, quando la stessa era stata ormai dichiarata fallita. E ciò in quanto il credito dell'appaltatore costituirebbe un credito futuro e la sua cessione avrebbe natura obbligatoria mentre l'effetto traslativo si realizzerebbe solo nel momento in cui tale credito viene ad esistenza, con l'esecuzione ed il completamento delle operazioni e delle attività di collaudo. 4.4. La ricorrente, perciò, chiede a questa Corte - con il presente mezzo - di affermare l'anticipazione degli effetti del collaudo in una data anteriore al fallimento dell'impresa cedente, sulla base di una corretta lettura degli effetti ricollegabili alla previsione di cui alla legge numero 741 menzionata. 4.4.1. Da essa, infatti, si potrebbero ricavare, con riferimento alla scadenza del termine semestrale stabilito per il compimento del collaudo articolo 5, comma 1, l. numero 741 del 1981 , oltre a quanto espressamente disposto dalla legge l'inefficacia delle polizze assicurative, il diritto al pagamento degli interessi maturandi, il diritto di instaurazione del giudizio arbitrale articolo 4 e 5 l. numero 741 del 1981 , anche la caducazione del “divieto di cedere crediti maturati con l'esecuzione dell'appalto”. 4.4.2. In altri termini, anche l'effetto di far maturare anticipatamente e, nella specie, utilmente, atteso che in tal modo la cessione diventerebbe opponibile al fallimento , l'effetto traslativo, con una sorta di equipollente dell'esecuzione del collaudo. 4.5. Un tale quesito è già stato affrontato e risolto da questa stessa sezione, con la pronuncia Sez. 1, Sentenza numero 13223 del 2003 con cui è stato enunciato il seguente principio di diritto In tema di opere pubbliche, ai fini del riconoscimento dell’operatività del divieto di cessione di credito, previsto dall'articolo 339 della legge 20 marzo 1865, numero 2248, allegato F nel testo risultante dalla modifica introdotta dall'articolo 22, comma 2-ter, del decreto-legge 13 maggio 1991, numero 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, numero 203 , non è sufficiente che tale cessione, in mancanza di accettazione da parte dell’amministrazione committente, sia intervenuta prima del limite temporale rappresentato dall'avvenuta effettuazione delle operazioni di collaudo, e segnatamente dall'approvazione del corrispondente certificato, occorrendo piuttosto apprezzare se la cessione stessa risalga o meno ad una data posteriore alla scadenza del termine, fissato dall'articolo 5, quarto comma, della legge 10 dicembre 1981, numero 741, per l'approvazione sopra indicata, dal momento che l'inutile decorso di siffatto termine, senza che la medesima amministrazione abbia fornito la prova che la relativa omissione o il relativo ritardo siano dipesi da fatto imputabile all'impresa, determina il venir meno dell'efficacia del divieto anzidetto. 4.5.1. A tale principio deve essere data, in questa sede piena continuità, essendo del tutto condiviso, onde l'erroneità dell'opposta regula iuris affermata dalla Corte territoriale alla p. 27, primo cpv., della motivazione. 5. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto. 5.1. Infatti, con riguardo alla forma della cessione dei crediti da parte dell'appaltatore, questa stessa sezione Sez. 1, Sentenza numero 17496 del 2008 ha stabilito il principio di diritto secondo cui Alla cessione dei crediti da corrispettivo di appalto vantati nei confronti degli enti locali, effettuata prima dell'entrata in vigore del d.P.R. 21 dicembre 1999, numero 554 - che all'articolo 115 prevede espressamente la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata e la notifica alle Amministrazioni pubbliche debitrici ai fini dell'efficacia ed opponibilità alle stesse - non si applica l'articolo 69, terzo comma, del r.d. 18 novembre 1923, numero 2440, che pure richiede la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata e la notificazione alla P.A. della cessione del credito, in quanto tale norma riguarda la sola Amministrazione statale, stante il mancato esplicito richiamo nell'ordinamento degli enti locali, e non può essere applicata in via analogica, in ragione del carattere eccezionale rispetto al regime generale della cessione dei crediti articolo 1260 e segg. cod. civ. . 5.2. Tale principio, poi, è stato di recente ribadito da questa sezione Sez. 1, Sentenza numero 23273 del 2014 , con riferimento al diritto applicabile, ratione temporis, in una data come nella specie anteriore all'anno 1999 Alla cessione dei crediti da corrispettivo di appalto vantati nei confronti degli enti locali, effettuata prima dell'entrata in vigore del d.P.R. 21 dicembre 1999, numero 554, che, all'articolo 115, prevede espressamente la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata e la notifica alle P.A. debitrici ai fini dell'efficacia ed opponibilità alle stesse - non si applica l'articolo 69, terzo comma, del r.d. 18 novembre 1923, numero 2440, che pure richiede la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata e la notificazione alla P.A. della cessione del credito, in quanto tale norma riguarda la sola Amministrazione statale, stante il mancato esplicito richiamo nell'ordinamento degli enti locali, e non può essere applicata in via analogica, in ragione del carattere eccezionale rispetto al regime generale della cessione dei crediti articolo 1260 e segg. cod. civ. . 5.3. In ossequio a tali enunciati, deve concludersi per la ritualità della cessione dei crediti oggetto della presente controversia e, di conseguenza, deve accogliersi anche il secondo mezzo di cassazione. 6. Il terzo motivo di ricorso è assorbito. 6.1. Infatti, con esso si censura l'affermazione contenuta nella sentenza impugnata a p. 21 riguardante l'inapplicabilità a caso in esame, ratione temporis, della legge numero 52 del 1991, relativa alla cessione dei crediti d'impresa c.d. factoring in quanto il contratto intercorso tra la società cessionaria e l'impresa sarebbe datato al 1988, cioè prima dell'approvazione della legge e della sua entrata in vigore . 6.2. Ma, in realtà, avendo il giudice distrettuale altresì affermato che “la cessione è regolata unicamente dalle norme contrattuali e generali del codice civile” e questa Corte accolto i primi due mezzi di cassazione, l'esame di tale ulteriore questione è del tutto superflua e comunque assorbita dall'accoglimento dei detti primi due motivi. 7. In conclusione, i primi due mezzi del ricorso devono essere accolti assorbito il terzo , la sentenza impugnata deve essere cassata, in accoglimento dei principi richiamati, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione. P.Q.M. Accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d'appello di Torino in diversa composizione.