Utili modesti e costi elevati: legittimo l’accertamento induttivo

E’ legittimo l’utilizzo dell’accertamento induttivo, anche in presenza di contabilità regolare, nei confronti di un contribuente che presenta una dichiarazione dei redditi con un utile modesto a fronte di costi elevati.

Il comportamento antieconomico di una SRL giustifica l’applicabilità degli standard previsti dall’accertamento induttivo, anche in presenza di contabilità regolare. La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 12167 del 30 maggio 2014, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che aveva rideterminato il reddito di una SRL, sulla base dell’utilizzo di standard previsti dal fisco, sul presupposto che dalla dichiarazione dei redditi vi era una sproporzione tra i costi indicati e l’utile dichiarato. Il contenzioso tributario. La controversia trae origine da un avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate ha proceduto alla rideterminazione, tramite l’emissione di un avviso di accertamento, dei ricavi dichiarati di una SRL. La rideterminazione si basava sull’utilizzo dell’accertamento induttivo con il quale i funzionari dell’Agenzia delle Entrate evidenziavano l’anomalia della situazione reddituale della società la quale, per cinque annualità consecutive dal 1994 al 1998 aveva realizzato un risultato di esercizio negativo e, in alcuni casi, un utile di modesta entità, pur continuando a movimentare una notevole entità di risorse economiche, finanziarie ed umane, avvalendosi di molteplici lavoratori dipendenti e di collaboratori autonomi. La CTR, tuttavia, accoglieva il ricorso della SRL in particolare i giudici del merito di secondo grado riteneva illegittimo l’accertamento attuato, pur in presenza di contabilità regolarmente tenuta, con automatica applicazione dei parametri senza il supporto di altri elementi oggettivamente valutabili ai fini della determinazione della capacità contributiva. Avverso la sentenza sfavorevole, l’Agenzia delle Entrate è ricorsa in Cassazione. L’accertamento induttivo. Con l’accertamento analitico-induttivo, l’Amministrazione finanziaria può rettificare il reddito dichiarato dai contribuenti, avvalendosi anche solo parzialmente delle scritture contabili, ma essenzialmente sulla base di presunzioni, purché queste siano gravi, precise e concordanti. La differenza tra un metodo e l’altro risiede sostanzialmente nella diversa forza delle presunzioni richieste per il loro utilizzo l’accertamento analitico-induttivo, infatti, può essere esperito soltanto attraverso l’impiego di presunzioni c.d. “qualificate”, ovvero dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza l’accertamento induttivo tout court, invece, può essere fondato anche su presunzioni sprovviste dei predetti requisiti, ovvero su quelle che vengono generalmente indicate come presunzioni “semplicissime” o “ipersemplici”, proprio per connotare la loro minore qualificazione la gravità ridotta, l’inferiore precisione e la non stretta concordanza . Così, l’adozione dell’accertamento induttivo richiede innegabilmente una presunzione molto più “leggera” di quella necessaria per l’accertamento analitico-induttivo. Ed è probabilmente questo il motivo per cui il legislatore ne ha relegato l’utilizzo soltanto ai casi di omessa contabilità o di scritture contabili formalmente inattendibili, ovvero di altre gravissime inadempienze del contribuente. Accertamento induttivo legittimo, anche in presenza di contabilità regolare. I giudici di legittimità osservano, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell'accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi dell'articolo 39, comma 1, lett. d , DPR 29 settembre 1973, numero 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto in contrasto con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. Nel caso in esame, rilevano i giudici di legittimità, la società ha mantenuto elevati costi per personale dipendente ed autonomo, e l'accertamento compiuto dall'Agenzia delle Entrate appare legittimo laddove, al contrario, le circostanze dedotte dalla contribuente appaiono inidonee al fine di escludere l'applicabilità alla fattispecie dei superiori principi, i quali sono stati completamente disattesi dalla Commissione Tributaria Regionale.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 13 marzo - 30 maggio 2014, numero 12167 Presidente Cappabianca – Relatore Crucitti Svolgimento del processo La controversia trae origine da avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate ha proceduto alla rideterminazione dei ricavi dichiarati nell'anno 1997 dalla Biorama 77 s.r.l., esercente l'attività di laboratorio di analisi cliniche. A fondamento dell'accertamento induttivo veniva posta la anomala situazione reddituale della società la quale, per cinque annualità consecutive dal 1994 al 1998 aveva realizzato un risultato di esercizio negativo, o al più modestamente positivo, continuando, tuttavia, a movimentare una notevole entità di risorse economiche, finanziarie ed umane, avvalendosi di molteplici lavoratori dipendenti e di collaboratori autonomi. Il ricorso proposto dalla Società avverso l'atto impositivo veniva dichiarato inammissibile perché tardivo. La sentenza, appellata dalla Società, veniva riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio la quale, esclusa la tardività del ricorso introduttivo, statuiva l'illegittimità dell'accertamento siccome attuato, pur in presenza di contabilità regolarmente tenuta, con automatica applicazione dei parametri senza il supporto di altri elementi oggettivamente valutabili ai fini della determinazione della capacità contributiva. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, l'Agenzia delle Entrate la quale ha, inoltre, depositato memoria ex articolo 378 c.p.c Resiste con controricorso la contribuente. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo, rubricato violazione e falsa applicazione dell'articolo 39 lett. d DPR 600/73, nonché dell'articolo 62 sexies DL 331/1993, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. - la ricorrente deduce l'errore nell'applicazione di dette norme commesso dalla Commissione laziale laddove aveva affermato che l'accertamento era stato eseguito in assenza di elementi idonei a far presumere l'inaffidabilità delle registrazioni contabili della contribuente. Secondo la prospettazione difensiva detta decisione era del tutto erronea, tenuto conto della giurisprudenza di questa Corte la quale aveva statuito che, in mancanza di documentate spiegazioni, l'irragionevolezza economica del comportamento del contribuente che affermi per più anni di essere finito in perdita o di avere sostenuto costi sproporzionati ai ricavi rappresenta un fatto sintomatico di possibili violazioni all'obbligo della dichiarazione. 2. Con il secondo motivo - prospettante ai sensi del numero 3 dell'articolo 360 c.p.c. violazione degli artt.2697 c.c., 39 lett.d dpr 600/73 e 362 sexies d.l. 331/1993 - l'Agenzia delle Entrate censura il passo motivazionale con cui la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto che le circostanze addotte dall'Ufficio non erano idonee a concretizzare presunzioni gravi, precise e concordanti. In particolare, secondo la ricorrente, la C.T.R. avrebbe violato i principi di riparto dell'onere probatorio laddove le norme indicate in rubrica, in presenza di una condotta antieconomica dell'impresa commerciale, costituiscono in favore dell'Ufficio una presunzione iuris tantum di esistenza di attività non dichiarate ponendo l'onere di provare il contrario sul contribuente. 3. Con il terzo motivo si censura, sempre ai sensi del numero 3 dell'articolo 360 c.p.c., il capo della sentenza con cui il Giudice di appello ha affermato che l'accertamento era illegittimo perché attuato con un'automatica applicazione dei parametri senza il supporto di altri elementi oggettivamente valutabili ai fini della determinazione della capacità contributiva . Secondo la ricorrente il Giudice di appello aveva erroneamente applicato i principi di diritto affermati da questa Corte, ma con riferimento a fattispecie che non erano assimilabili all'odierna. Nel caso in esame, infatti, l'Ufficio non si era limitato a riscontrare lo scostamento dalle medie del settore ma aveva rilevato l'anomalia gestionale della Società la quale, per cinque annualità consecutive dal 1994 al 1998, aveva realizzato un risultato di esercizio negativo, o al più modestamente positivo, continuando, tuttavia, a movimentare una notevole entità di risorse. 4. I motivi, congiuntamente trattati, sono fondati. 4.1. Questa Corte ha, da tempo, affermato il principio per cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la presenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell'accertamento analitico-induttivo del reddito d'impresa, ai sensi dell'articolo 39, primo comma, lett. d , del d.P.R. 29 settembre 1973, numero 600, qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confligente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente. In tali casi, pertanto, è consentito all'Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell'onere della prova a carico del contribuente, di recente Cass. numero 14941/2013 id numero 6929/2013 id numero 7871/2012 id numero 2616/2011 ed, in termini, Cass. numero 21536/2007 la quale ha puntualizzato che la circostanza che una impresa commerciale dichiari, ai fini dell'imposta sul reddito, per più anni di seguito rilevanti perdite, nonché una ampia divaricazione tra costi e ricavi, costituisce una condotta commerciale anomala, di per sé sufficiente a giustificare da parte dell'erario una rettifica della dichiarazione, ai sensi dell'articolo 39 del d.P.R. numero 660 del 1973, a meno che il contribuente non dimostri concretamente la effettiva sussistenza delle perdite dichiarate” . 4.2. Nella specie -in un contesto fattuale, non contestato, in cui, malgrado i risultati reddituali mediamente negativi, la Società ha mantenuto elevati costi per personale dipendente ed autonomo-l'accertamento compiuto dall'Ufficio appare legittimo laddove, al contrario, le circostanze dedotte dalla contribuente ovvero che, nella specie, l'antieconomicità sarebbe data esclusivamente da una redditività negativa non significativa appaiono inidonee al fine di escludere l'applicabilità alla fattispecie dei superiori principi, i quali sono stati completamente disattesi dalla Commissione Regionale. 5. Ne consegue, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio a diversa Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, la quale provvederà ad un nuovo esame, alla luce dei principi sopra esposti, oltre che a regolare le spese processuali. P.Q.M. La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale del Lazio.