E’ fondamentale qualificare la finalità della violenza sulle cose poiché se questa è esercitata per meri scopi di dispetto e di disturbo si realizza la fattispecie di violenza privata mentre se è per difendere il diritto di possesso, in presenza di un atto di turbativa nel godimento della res, si tratta di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.
Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 23047/16, depositata il 31 maggio. La qualificazione del fatto e la fattispecie contestata. Alla attenzione della Corte di Cassazione veniva portata una sentenza emessa dalla Corte d’appello di Trieste che aveva confermato il provvedimento di primo grado con cui l'imputato era stato condannato alla pena di giustizia per il reato di violenza privata perché, con violenza consistita nel parcheggiare la propria vettura davanti a un cancello sulla sua proprietà ma con diritto di transito dei dimoranti, impediva ogni forma di passaggio, costringendo questi ultimi a rimanere sul posto in attesa che spostassero la suddetta autovettura per uscire con la propria motocicletta. La Corte territoriale aveva, infatti, ritenuto la illiceità della condotta dell'imputato sul rilievo che la persona offesa avesse un diritto di transitare sul fondo dello stesso e ciò in quanto il giudice civile aveva rigettato l'azione negatoria servitutis proposta dal ricorrente e finalizzata ad escludere il transito dei vicini sulla sua area, ritenendo, invece, fondata l'eccezione di usucapione della servitù di passaggio sollevata dalla compagna della persona offesa, titolare del fondo vicino. In ogni caso, la Corte di merito aveva ritenuto sussistente, in capo alla proprietaria del fondo vicino, uno ius possidendi del diritto di transito corrispondente alla relativa servitù. Tuttavia, sulla scorta dei motivi di impugnazione del ricorrente, il Collegio degli Ermellini non condivide tale impostazione. L’accertamento preliminare ed indispensabile sulla titolarità del diritto di passaggio. Osserva la Cassazione che emerge dalla stessa sentenza impugnata che l'accertamento compiuto dal giudice civile, in ordine alla sussistenza della servitù di passaggio della compagna della persona offesa sul fondo dell'imputato, oltre a non essere sfociato nell'espresso riconoscimento di tale diritto non è, comunque, ancora consacrato in una sentenza irrevocabile. Con la conseguenza che, allo stato, non può ancora rivendicarsi la titolarità di un diritto di transito. Né tantomeno risulta che in sede penale sia stato accertato in capo alla compagna della persona offesa uno ius possidendi del diritto di transito relativo alla stessa servitù. Significativo, in proposito, è che né il capo di imputazione né la sentenza di primo grado contengono alcun riferimento ad una eventuale situazione possessoria. Pertanto, posto che non può ritenersi, allo stato, sussistente in capo ai vicini dell'imputato la titolarità di un diritto o, quantomeno di uno ius possidendi corrispondente allo stesso a transitare sul suo fondo, deve valutarsi se la condotta dell'imputato di parcheggiare la propria vettura sul proprio immobile, in corrispondenza del portone del vicino, abbia costituito una mera manifestazione del diritto di proprietà eventualmente esercitata con modalità arbitrarie poiché, parcheggiando in quel modo, aveva impedito alla motocicletta della persona offesa di avere diritto accesso alla via pubblica tramite l'attraversamento del fondo al ricorrente. Oppure se si ha, invece, espressione dell'intendimento dell'imputato di guardare la volontà della persona offesa e di limitarne la sfera di azione e determinazione. Violenza privata ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni. La Cassazione, infine, richiama la differenza sostanziale tra la fattispecie contestata della violenza privata ed il delitto meno grave dell'esercizio arbitrario delle proprie ragioni. Secondo l'orientamento della Corte il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che ugualmente contiene l'elemento della violenza o della minaccia alla persona, si differenzia non nella materialità del fatto che può essere identica in entrambe le fattispecie bensì nell'elemento intenzionale. Tanto in quanto nel reato ex articolo 392 c.p. l'agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con coscienza che l'oggetto della pretesa gli compete giuridicamente, pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata. Inoltre, ai fini dell'integrazione del reato in parola occorre accertare che la condotta rivesta i connotati della arbitrarietà, la quale non sussiste qualora la violenza sulle cose sia esercitata al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di turbativa nel godimento della res , sempre che l'azione reattiva avvenga nella immediatezza di quella lesiva del diritto, non si tratti di compossesso e sia impossibile il ricorso immediato al Giudice sussistendo la necessità impellente di ripristinare il possesso perduto e/o il pacifico esercizio del diritto di godimento del bene. Osserva oltretutto la Cassazione che il giudice di primo grado ha argomentato che l'imputato ha agito per meri scopi di disturbo assumendo che per valutare la sussistenza dell'elemento psicologico della violenza privata deve reputarsi sufficiente il dolo generico insorto quando il prevenuto ha perseverato nel comportamento una volta che gli era stato richiesto di rimuovere il veicolo. Tuttavia, il Collegio manifesta di non condividere tale impostazione giuridica anche sulla base del brocardo latino dolus superveniens non nocet . Per tali motivi, annulla la sentenza e rinvia ad altra sezione della Corte territoriale competente.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 aprile – 31 maggio 2016, numero 23047 Presidente Vessichelli – Relatore Fidanzia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 6 novembre 2014 la Corte d'Appello di Trieste ha confermato la sentenza di primo grado con cui C.S. è stato condannato alla pena di giustizia per il reato di violenza privata, perché, con violenza consistita nel parcheggiare la propria vettura davanti ad un cancello sulla sua proprietà ma con diritto di transito dei dimoranti, impediva ogni forma di passaggio costringendo D.D. a rimanere sul posto in attesa che spostassero la suddetta autovettura per uscire con la propria motocicletta. 2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l'imputato affidandolo ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione al comportamento impedito. Lamenta il ricorrente che la Corte di merito ha errato nell'affermare che lo stesso avrebbe impedito al D. l'uscita dal suo fondo ma, come lo stesso giudice aveva ricostruito nello svolgimento del processo, alla persona offesa è stato solo impedito, nell'esercizio del diritto di proprietà, l'accesso al fondo C. e di transitarvi attraverso. 2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione di legge penale in relazione all'articolo 42 Cost e all'articolo 832 c.c Lamenta il ricorrente che una qualsiasi condotta posta in essere all'interno della proprietà non integra una violenza, soprattutto se posta in essere nell'esercizio di un diritto assoluto. Né nel caso di specie la persona offesa era titolare di un diritto di pari spessore e portata, non avendo la persona offesa stessa un diritto di transito, che all'epoca dei fatti era in fase di accertamento. 2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione di legge in relazione all'articolo 111 Cost e 282 c.p.c. Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ha fondato la propria sentenza sull'esistenza di uno ius possidendi a favore della persona offesa senza che nell'istruttoria di primo grado e nello stesso capo d'imputazione fosse mai stato fatto riferimento alla situazione di possesso, essendosi sempre parlato di diritto di transito. Infine, la sentenza civile che ha disatteso l'azione negatoria servitutis svolta dal ricorrente non è passata in giudicato e non ha quindi alcun rilievo, e non quindi non è stato riconosciuto un diritto di transito alla persona offesa sul fondo C Considerato in diritto 1. I tre motivi proposti dall'imputato possono essere esaminati unitariamente, in relazione all'omogeneità delle questione trattate, e sono fondati. Va preliminarmente osservato che la Corte territoriale ha ritenuto, in primo luogo, la illiceità della condotta dell'imputato sul rilievo che la persona offesa avesse un diritto di transitare sul fondo dello stesso e ciò in quanto il giudice civile ha rigettato l'azione negatoria servitutis proposta dal ricorrente unitamente al padre finalizzata ad escludere il transito dei vicini sulla sua area, ritenendo, invece, fondata l'eccezione di usucapione della servitù di passaggio sollevata dalla compagna della persona offesa, titolare del fondo vicino. La Corte di merito ha, in ogni caso, ritenuto sussistente in capo alla proprietaria del fondo vicino uno ius possidendi del diritto di transito corrispondente alla relativa servitù. Questo Collegio non condivide tale impostazione. Emerge dalla stessa sentenza impugnata che l'accertamento compiuto dal giudice di civile in ordine alla sussistenza di una servitù di passaggio della compagna della persona offesa sul fondo dell'imputato, oltre a non essere sfociato nell'espresso riconoscimento di tale diritto, non è stato comunque ancora consacrato in una sentenza irrevocabile, con la conseguenza che, allo stato, non può ancora rivendicarsi la titolarità di un diritto di transito. Né, peraltro, risulta che in sede penale sia stato accertato in capo alla compagna della persona offesa uno ius possidendi del diritto di transito relativo alla stessa servitù. Significativo, in proposito, è che né il capo di imputazione né la sentenza di primo grado contengono alcun riferimento ad una eventuale situazione possessoria. Peraltro, la sentenza impugnata ne ritiene, invece, la sussistenza sulla base di quanto osservato in sede di discussione nel giudizio d'appello dal Procuratore Generale, senza che, tuttavia, risulti che un tale accertamento abbia formato eventualmente oggetto dell'istruttoria dibattimentale. Posto quindi che non può ritenersi, allo stato, sussistente in capo ai vicini dell'imputato la titolarità di un diritto, o quantomeno uno ius possidendi corrispondente allo stesso, a transitare sul suo fondo, deve valutarsi, a questo punto, se la condotta dei C. di parcheggiare la propria autovettura sul proprio immobile, in corrispondenza del portone del vicino - avendo così impedito alla motocicletta della persona offesa di avere diretto accesso alla via pubblica tramite l'attraversamento del fondo dei ricorrente - abbia costituito una mera manifestazione dei diritto di proprietà, eventualmente esercitato con modalità arbitrarie o sia, invece, espressione dell'intendimento dell'imputato di coartare la volontà della persona offesa e di limitarne la sfera di azione e determinazione. Il comportamento dell'imputato è stato ricondotto dalla Corte territoriale alla fattispecie della violenza privata sulla base del rilievo, ritenuto assorbente, che il ricorrente avesse impedito alla persona non l'entrata nel suo fondo, a bordo della sua motocicletta, ma l'uscita. Tale ricostruzione fattuale deve, tuttavia, ritenersi erronea e contraddittoria con quanto nella stessa sentenza impugnata è stato indicato nella parte narrativa pag. 3 , nella quale è stato evidenziato che la motocicletta della persona offesa era parcheggiata all'interno della proprietà R. e a bordo della stessa il sig. D. si era diretto verso la pubblica via con l'intenzione di passare attraverso il portone di ingresso al cortile dei prevenuti . Posto che quindi che l'assunto della Corte territoriale si è fondato su un presupposto fattuale erroneo e che quindi il ricorrente, con la sua condotta, ha impedito non l'uscita ma l'ingresso nel proprio fondo, non emerge dalla lettura della sentenza impugnata che siano stati analizzati con precisione e puntualità gli elementi fattuali idonei per poter valutare se il comportamento dell'imputato sia stato giuridicamente lecito, o, pur posto in essere con l'intenzione di difendere la propria proprietà, abbia integrato il delitto meno grave di esercizio arbitrario delle proprie ragioni o sia, infine, sussumibile nella fattispecie contestata della violenza privata. In proposito, deve segnalarsi l'orientamento di questa Corte secondo cui il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si differenzia da quello di violenza privata - che ugualmente contiene l'elemento della violenza o della minaccia alla persona - non nella materialità del fatto che può essere identica in entrambe le fattispecie, bensì nell'elemento intenzionale, in quanto nel reato di cui all'articolo 392 cod. penumero l'agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata. Occorre, per altro verso, ai fini dell'integrazione del reato di cui all'articolo 392 cod. penumero , accertare che la condotta rivesta i connotati dell'arbitrarietà, la quale non sussiste qualora la violenza sulle cose sia esercitata al fine di difendere il diritto di possesso in presenza di un atto di turbativa nel godimento della res , sempre che l'azione reattiva avvenga nell'immediatezza di quella lesiva del diritto, non si tratti di compossesso e sia impossibile il ricorso immediato al giudice, sussistendo la necessità impellente di ripristinare il possesso perduto o il pacifico esercizio del diritto di godimento dei bene. Sez. 5, numero 23923 del 16/05/2014 - dep. 06/06/2014, Dematte', Rv. 260584 . Il giudice di primo grado ha argomentato che il C. aveva agito per meri scopi di dispetto e disturbo assumendo che, per valutare la sussistenza dell'elemento psicologico della violenza privata, deve reputarsi sufficiente il dolo generico, insorto quando il prevenuto ha perseverato nel detto comportamento, una volta che gli era stato richiesto di rimuovere il veicolo . Questo Collegio non condivide tale impostazione giuridica anche sulla base del brocardo dolus superveniens non nocet . Deve quindi annullarsi la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Trieste la quale, nell'effettuare il nuovo esame, dovrà ricostruire le circostanze di tempo e di luogo idonee a consentire di individuare l'intendimento dell'imputato nel momento in cui ha posto in essere la condotta ascrittagli. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Trieste per nuovo esame.