Tumore polmonare, niente copertura INAIL per il lavoratore esposto all’amianto ma fumatore incallito

Respinta la richiesta avanzata dalla vedova del lavoratore, deceduto a causa di un carcinoma ai polmoni. Acclarato che l’esposizione all’amianto è durata quasi tre anni e mezzo. Questo dato non è però sufficiente per ipotizzare l’eziologia professionale della patologia, anche perché è emerso che il lavoratore è stato un fumatore incallito.

Quasi tre anni e mezzo di lavoro caratterizzati dall’esposizione all’amianto non sono sufficienti per sancire l’origine professionale della patologia – un carcinoma ai polmoni – che ha ucciso il lavoratore. A smentire questa visione è anche la constatazione che il lavoratore era un fumatore incallito, capace di consumare sessanta sigarette al giorno per circa cinquant’anni Cassazione, ordinanza numero 27556/20, depositata il 2 dicembre . Ricostruita la delicata vicenda, i Giudici di merito respingono la richiesta avanzata dalla vedova del lavoratore nei confronti dell’INAIL e mirata a «conseguire le prestazioni previdenziali per il decesso del marito», decesso provocato, a suo dire, da una patologia originata in ambito lavorativo. La moglie porta avanti la propria battaglia e decide di rivolgersi alla Cassazione. Così, tramite il proprio legale, presenta un ricorso centrato soprattutto sull’ipotesi che i Giudici di secondo grado abbiano commesso un errore, non ritenendo raggiunta «la prova del nesso di causalità tra l’attività lavorativa espletata dall’uomo e il suo decesso» e parlando invece di «inadeguata esposizione a rischio professionale». Su quest’ultimo punto, in particolare, la stessa ritiene che i Giudici di merito si siano clamorosamente «discostati dai canoni della scienza medica, avendo valutato insufficiente l’esposizione a rischio», ovvero l’esposizione ad amianto, protrattasi per oltre tre anni. Prima di entrare nei dettagli della vicenda, dalla Cassazione ricordano che «dall’inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità deriva l’applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia», e ciò comporta che è «onere dell’INAIL dimostrare la dipendenza dell’infermità da una causa extralavorativa oppure che la lavorazione non abbia avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia». E in questa ottica va precisato poi che «in caso di malattia – come quella tumorale – ad eziologia multifattoriale» sul fronte del nesso causale è necessaria «la concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della in idoneità della esposizione al rischio a causare l’evento morboso, con la precisazione che, in presenza di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un’origine professionale, l’INAIL può solo dimostrare che la patologia tumorale non è ricollegabile all’esposizione a rischio». In questo caso specifico bisogna sì tenere presente che «nella tabella delle malattie professionali dell’industria d.P.R. numero 336/1994 è stato inserito il carcinoma polmonare tra le malattie neoplastiche derivanti da lavorazioni che espongono all’azione delle fibre di asbesto», ma allo stesso tempo è necessario considerare che i Giudici di secondo grado hanno reputato «sovrastimata la valutazione dell’esposizione a rischio» effettuata dal consulente, poiché si è appurato che l’esposizione all’amianto in ambito lavorativo è durata solo trentasei mesi e centotrentacinque giorni. Logico, quindi, spiegano dalla Cassazione, escludere che «l’esposizione all’amianto potesse ritenersi sufficiente a determinare l’insorgere della malattia. Anche perché «va valorizzato, per contro, un fortissimo fattore di rischio» rappresentato dalla «protratta abitudine del fumo di sigaretta», essendo emerso che il lavoratore «ha fumato, per circa cinquant’anni, sessanta sigarette al giorno e ha contratto una forma di tumore al polmone che può considerarsi tipica dei soggetti fumatori».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, ordinanza 23 settembre – 2 dicembre 2020, numero 27556 Presidente Manna – Relatore Cavallaro Rilevato in fatto che, con sentenza depositata il 6.8.2014, la Corte d'appello di Genova ha confermato, con diversa motivazione, la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da Si. Ga. volta a conseguire le prestazioni previdenziali dovutele per il decesso del proprio coniuge, di cui aveva assunto l'etiologia professionale che avverso tale pronuncia Si. Ga. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura che l'INAIL ha resistito con controricorso Considerato in diritto che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell'All. 4 all'articolo 3, T.U. numero 1124/1965, per come modificato dall'articolo 1, D.P.R. numero 336/1994, nonché dell'articolo 2697 c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che non fosse stata in specie raggiunta la prova del nesso di causalità tra l'attività lavorativa espletata dal suo dante causa e il di lui decesso per inadeguata esposizione a rischio professionale che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio per essersi la Corte territoriale discostata dai canoni della scienza medica, avendo valutato insufficiente l'esposizione a rischio che i motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell'intima connessione delle censure rivolte alla sentenza che va preliminarmente ribadito che dall'inclusione nelle apposite tabelle sia della lavorazione che della malattia purché insorta entro il periodo massimo di indennizzabilità deriva l'applicabilità della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall'assicurato, essendo conseguentemente onere dell'INAIL di dimostrare la dipendenza dell'infermità da una causa extralavorativa oppure che la lavorazione non abbia avuto idoneità sufficiente a cagionare la malattia e fermo restando che, in caso di malattia - come quella tumorale - ad eziologia multifattoriale, la prova del nesso causale non può consistere in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma deve consistere nella concreta e specifica dimostrazione, quanto meno in via di probabilità, della in idoneità della esposizione al rischio a causare l'evento morboso, con la precisazione che, in presenza di forme tumorali che hanno o possono avere, secondo la scienza medica, un'origine professionale, la presunzione legale quanto a tale origine torna ad operare, sicché l'INAIL può solo dimostrare che la patologia tumorale non è ricollegabile all'esposizione a rischio Cass. numero 19047 del 2006 e, più recentemente, Cass. nnumero 23653 del 2016 e 20769 del 2017 che, nella specie, pur dando atto che nella tabella delle malattie professionali dell'industria di cui al D.P.R. numero 336/1994 è stato inserito, alla voce numero 56, il carcinoma polmonare tra le malattie neoplastiche derivanti da lavorazioni che espongono all'azione delle fibre di asbesto , la Corte territoriale ha reputato che la valutazione dell'esposizione a rischio effettuata dalla CTU ambientale fosse stata sovrastimata in rapporto alle risultanze del libretto di navigazione del de cuius, che evidenziano un periodo di navigazione effettiva pari a mesi 36 e giorni 135 così la sentenza impugnata, pag. 8 , e ha pertanto escluso che l'esposizione all'amianto po[tesse] ritenersi [ ] sufficiente a determinare l'insorgere della malattia , valorizzando, per contro, un fortissimo fattore di rischio nella protratta abitudine del fumo di sigaretta [ ], posto che il de cuius ha fumato, per circa cinquant'anni, sessanta sigarette al giorno e ha contratto una forma di tumore al polmone che può considerarsi 'tipica' dei soggetti fumatori ibid., pag. 9 che l'anzidetto giudizio di fatto deve ritenersi ormai intangibile in questa sede, non potendo riscontrarsi nelle critiche esposte pagg. 24 ss. del ricorso per cassazione nient'altro che un pur motivato dissenso diagnostico, essendosi la Corte territoriale attenuta, nel proprio giudizio, ai medesimi criteri internazionali indicati nella CTU, che fissano in una certa esposizione cumulativa all'amianto il presupposto di fatto per inferirne l'efficacia causale nell'insorgenza di patologie tumorali cfr. pag. 8 della sentenza impugnata che, dovendo il nesso di causalità materiale accertarsi in materia civile secondo il criterio del più probabile che non Cass. S.U. numero 576 del 2008 , che indica la misura della relazione probabilistica concreta tra condotta ed evento dannoso e richiede un apprezzamento non isolato bensì complessivo ed organico dei singoli elementi indiziari o presuntivi a disposizione Cass. numero 16581 del 2019 , deve escludersi che la sentenza impugnata abbia violato l'articolo 2697 c.c., avendo la Corte di merito deciso non già in funzione della regola di giudizio derivante dai criteri di ripartizione dell'onere probatorio, ma sulla base della prova positiva dell'insussistenza in specie di alcun nesso causale tra l'esposizione all'amianto e la patologia tumorale che condusse a morte il de cuius che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, che seguono la soccombenza che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, D.P.R. numero 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.