La Corte di Cassazione ha risolto una questione tra la Cassa di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragioni e Periti Commerciali e una propria iscritta in tema di pro rata temporis.
La sostenibilità macroeconomica e gli effetti redistributivi infra e intergenerazionali rappresentano le variabili più difficili da valutare nella analisi delle politiche di riforma del settore pensionistico. Non è semplice conciliare equità e sostenibilità del sistema previdenziale alla luce di trend, demografici ed occupazionali, non in grado di assicurare il necessario equilibrio fra contribuzioni e prestazioni. Calo demografico ed invecchiamento della popolazione costituiscono una combinazione esplosiva che potrebbe compromettere il modello di solidarietà intergenerazionale, a causa di impegni pensionistici insostenibili in termini sia di costi che di durata. Il problema del “nomadismo” occupazionale. Un’aggravante di tale problema è rappresentata dalle rapide trasformazioni del mercato del lavoro e dal cosiddetto “nomadismo” occupazionale di una porzione sempre più consistente di lavoratori, obbligati a cambiare in continuazione settore produttivo e attività nel corso della vita professionale. Ciò renderà sempre più difficile la realizzazione di carriere lavorative regolari e continue dal punto di vista della contribuzione previdenziale. In tal senso, è evidente la necessità di ripensare i tradizionali meccanismi ed istituti previdenziali se si vuole assicurare un’adeguata copertura anche a favore delle generazioni più giovani, evitando che l’aumento della flessibilità nel mercato del lavoro si traduca in una precarizzazione dei diritti o addirittura in una loro negazione. Le riforme attuate hanno stabilizzato il sistema previdenziale, consentendo un adeguato equilibrio finanziario che tende al ripristino di condizioni di equità e alla riduzione del rischio di un conflitto fra le generazioni, restituendo un minimo di certezze a quelle future. Peraltro, il compromesso ottenuto è ancora sbilanciato a favore delle generazioni “adulte” e non tiene conto dei profondi e radicali mutamenti sociali che rimetteranno in discussione anche gli attuali assetti. Infatti l’articolo 3, comma 12, l. numero 335/1995 legittima le Casse private di previdenza ad adottare provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico. Come è noto la legge non dispone che per l’avvenire articolo 11 disp. prel. da cui deriva il principio della irretroattività della legge, siccome ispirato ad esigenze di certezza del diritto. Ugualmente per i regolamenti nell’ambito dell’autonomia privata. Pur tuttavia non è facile individuare l’ambito del rispetto che deve essere osservato per la situazione creatasi sotto l’impero della legge precedente. Soccorre la teoria dei cd. diritti acquisiti secondo cui la norma successiva non può privare il soggetto dei diritti già acquisiti in base alla norma precedente. Ma quali sono i diritti acquisiti in materia previdenziale? I diritti acquisiti sono i diritti già entrati nel patrimonio del soggetto. Lo stesso che dire che il ragioniere pensionato è protetto dal diritto acquisito. Nessuno potrà ricalcolargli il trattamento pensionistico salva l’imposizione di possibili contributi di solidarietà giustificati dal passaggio da un sistema all’altro. Può dirsi ugualmente per il ragioniere in prossimità del pensionamento? La risposta è positiva alla luce dell’articolo 3, comma 12, l. numero 335/1995 mentre rimane aperta alla luce dell’articolo 1, comma 763, l. numero 296/2006 legge finanziaria 2007 che ha sostituito il primo e il secondo periodo dell’articolo 3, comma 12, della legge numero 335/1995 che ha facoltizzato le Casse private di previdenza, sulla base del bilancio tecnico della gestione previdenziale, ad adottare i provvedimento necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine «avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni». Dottrina e giurisprudenza concordano nel qualificare il diritto del ragioniere alla permanenza nel medesimo regime previdenziale, in costanza di attività, solo come una mera aspettativa di diritto che non assurge a diritto acquisito. Questo perché la prestazione previdenziale, oltre all’interesse del singolo, tutela l’interesse della collettività, il che giustifica la discrezionalità nella regolamentazione della gestione del trattamento pensionistico. La Corte Costituzionale, ripetutamente investita del problema, ha affermato che nel nostro sistema costituzionale non è interdetto al legislatore di emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata sempre che tali interventi non trasmodino in un regolamento irrazionale Corte Costituzionale numero 390/1995 . Possibilità di incidere in peius La stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto legittima la possibilità di incidere in peius su percorsi pensionistici in itinere a condizione che l’intervento sia sorretto da esigenze ragionevoli ed inderogabili, fermo il rispetto della solidarietà sociale di cui all’articolo 38, comma 2, Cost Nel nostro caso vi è l’inderogabile esigenza di assicurare l’equilibrio economico – finanziario di lungo periodo delle Casse private di previdenza e chi non lo ha già fatto dovrà provvedervi secondo le ultime indicazioni ministeriali in forza dell’articolo 24, comma 24, l. numero 214/2011. La riforma, infatti, qualunque essa sarà, parametrica o strutturale, non inciderà sull’esistenza del diritto alla prestazione previdenziale e sul dovere di solidarietà ma sul modo di essere dell’aspettativa previdenziale. Così come un contratto collettivo successivo, espressione tipica dell’autonomia privata, può incidere sia sull’entità della prestazione previdenziale, sia sulla misura del contributo dovuto e modificarli in senso più sfavorevole al lavoratore diminuendo l’entità della prestazione o aumentando la misura del contributo dovuto, per essere l’unico limite costituito dalla salvezza dei diritti già acquisiti ex plurimis Cass. numero 4069/1999 numero 12751/1992 numero 8654/1990 numero 3607/1990 . Viene rispettato il principio del pro rata. Ma il professionista sorpreso dalla riforma lungo il percorso previdenziale non deve allarmarsi perché il Legislatore, nel riconoscere alle Casse private il potere di modificare l’attuale assetto normativo, ha pensato a Lui prevedendo espressamente che le modifiche avvengano nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti sopra ricordati. Il principio del pro rata trasforma così, ope legis, l’aspettativa di diritto in diritto acquisito e addolcisce la fase transitoria. Il criterio del pro rata è stato introdotto per scelta di opportunità politica dal Legislatore con la l. numero 335/1995 con l’obiettivo di governare consensualmente il passaggio al nuovo sistema pensionistico pubblico e cioè dal sistema retributivo a quello contributivo. Orbene il Legislatore, pur assicurando l’autonomia normativa degli enti previdenziali privati, ha imposto, d’imperio, il rispetto del criterio del pro rata. Così facendo, come abbiamo già detto più sopra, il Legislatore ha voluto dare al diritto acquisito un contenuto più ampio sino a comprendere l’aspettativa acquisita ratione temporis. Spetterà poi alle Casse private disciplinare concretamente il principio del pro rata temporis. Non vi è chi non veda come il Legislatore nella l. numero 335/95 abbia adottato un pro rata molto lungo oltre ad escludere dal nuovo sistema contributivo tutti i lavoratori provvisti di un’anzianità contributiva superiore a 18 anni. Cassazione, Corte costituzionale, Corte dei Conti e lo stesso C.N.F. hanno molte volte adottato decisioni a salvaguardia dei diritti questi, con argomenti utili oggi alla tutela dei c.d. “vecchi avvocati part-time”. Tra le tante decisioni improntate a tale giusta salvaguardia ne segnalo, di seguito, alcune. Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza numero 24202/2009. La S.C. ha fatto il punto sui limiti di tutela dei diritti quesiti, legittime aspettative e affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica. Ha scritto «Non ne risulta, invero, la lesione di diritti quesiti -in quanto presuppone la loro maturazione, prima del provvedimento ablativo Corte Cost. numero 446/2002 - né di legittime aspettative o dell’affidamento nella certezza del diritto e nella sicurezza giuridica, che sembrano costituzionalmente garantiti in prossimità della loro maturazione Corte Cost. numero 822/88, 573/90, 39/93, 6 e 16/94, 50 e 432/97, 525/2000 Corte giust. 10 settembre 2009, in causa numero 201/08 ». Ebbene, a prova della maturazione in capo ai c.d. “vecchi avvocati part-time” del diritto quesito a svolgere sia l'attività d'avvocato sia quella di impiegato pubblico a part-time, si consideri che essi hanno pienamente esercitato il il diritto al doppio lavoro per molti anni non certo nutrivano l'aspettativa di iniziare a fare l'avvocato. Corte Costituzionale, numero 390/95. La Consulta scrive «Questa Corte ha già avuto occasione di affermare sent. numero 573/1990, numero 822/1988 e numero 349/1985 che nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l'oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall'articolo 25, secondo comma, Cost. . Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto». E poi aggiunge «Se poi alcuni soggetti, come il ricorrente nel giudizio a quo, sono rimasti fuori da tale previsione, ciò è avvenuto perché le loro aspettative - secondo il non irrazionale criterio di valutazione seguito dal legislatore, nell'ottica di una opzione discrezionale - non erano pervenute ad un livello di consolidamento così elevato da creare quell'affidamento da questa Corte ritenuto di valore costituzionalmente protetto nella conservazione dell'attuale trattamento pensionistico». È evidente che l'avv. Maurizio Perelli che ha per più di 12 anni continuativamente esercitato la professione di avvocato prima d'esser privato dello ius postulandi, ha pienamente esercitato il diritto a svolgere la professione e non si trovava in una “inferiore” situazione d'aspettativa di diritto. Ha una “aspettativa giunta ad un livello di consolidamento elevato” a che lo Stato italiano continui a consentirgli il doppio lavoro al quale lo invitò con la legge 662/96 articolo 1, commi 56 e segg. . Corte Costituzionale, numero 525/2000. Al punto 2 del “considerato in diritto” la Consulta scrive « . Peraltro, l'effettivo problema da affrontare nella presente fattispecie non è quello relativo alla natura di tali leggi, ma investe sostanzialmente i limiti che esse incontrano quanto alla loro portata retroattiva. In proposito questa Corte ha individuato, oltre alla materia penale, altri limiti, che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali sent. numero 311/1995 e numero 397/1994 , tra i quali i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento giuridico . In questa sede occorre in particolare soffermarsi sull'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica principio che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti sent. numero 416/1999 e numero 211/1997 ». E aggiunge al punto 3 «In questa sede occorre in particolare soffermarsi sull'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica principio che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti sent. numero 416/1999 e numero 211/1997 ». Corte Costituzionale, numero 24/2009. La Corte Costituzionale ha riaffermato che nei rapporti tra privato e Stato nella fattispecie si trattava di accordo sull'indennità d'espropriazione , neppure la legge può violare l'affidamento legittimo del privato che sia derivato dalla precedente legislazione. Scrive la Corte «L'irragionevolezza dell'intervento legislativo è palese, ove si pensi che, nella specie, i proprietari degli immobili assoggettati al procedimento espropriativo furono indotti a concordare l'indennità, peraltro cumulativamente determinata, da una valutazione di convenienza riferita a quel momento specifico della procedura. Nella valutazione dei motivi per la stipulazione dell'accordo non poteva non essere presente la consapevolezza della disciplina vigente in tema di accordi, ivi compresa l'eventualità di una loro inefficacia ove la procedura non fosse pervenuta a compimento. Il decreto di esproprio non venne emanato tempestivamente. La disposizione censurata, ad oltre venti anni da quella vicenda, è intervenuta a salvaguardare l'efficacia dell'accordo con l'intento di incidere sulle liti in corso , quando sono venute meno le condizioni che avevano contribuito, allora, a determinare la volontà negoziale della parte. L'intervento legislativo diretto a regolare situazioni pregresse è legittimo a condizione che vengano rispettati i canoni costituzionali di ragionevolezza e i principi generali di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche sent. numero 74/2008 e numero 376/1995 , anche al fine di assegnare a determinate disposizioni un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario sent. numero 234/2007 e numero 224/2006 . La norma successiva non può, però, tradire l'affidamento del privato sull'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali sent. numero 156/2007 e numero 416/1999 , pur se dettata dalla necessità di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica sent. numero 374/2002 o per far fronte ad evenienze eccezionali sent. numero 419/2000 . La norma censurata non è interpretativa ma innovativa. La sua portata precettiva non è compatibile, come possibile opzione interpretativa, con la disciplina previgente, che, anzi, deponeva, al contrario, nel senso dell'inefficacia dell'accordo, se non fosse tempestivamente emanato il decreto di esproprio. Essa interviene su situazioni in cui si è consolidato l'affidamento del privato riguardo alla regolamentazione giuridica del rapporto, dettando una disciplina con esso contrastante, e sbilanciandone l'equilibrio a favore di una parte quella pubblica, o del privato assuntore dell'opera, comunque tenuto a sopportare le conseguenze economiche dell'espropriazione , e a svantaggio dell'altra il proprietario . Ebbene, i c.d. “vecchi avvocati part-time” furono indotti proprio dalla legge l. numero 662/96, articolo 1, commi 56 e segg. , a trasformare il loro rapporto di lavoro pubblico da full-time a una forma di part-time particolarmente ridotta prima il 50% e poi, dopo la favorevole sentenza della Corte Costituzionale 189/01, il 30% dell'orario ordinario e furono indotti alla conseguente preclusione della carriera nel pubblico impiego non hanno partecipato a concorsi da dirigente pubblico poiché i dirigenti pubblici non possono essere in part-time, mentre essi intendevano continuare a svolgere in part-time l'attività di avvocato . E' evidentemente incostituzionale la violazione dei lorodiritti quesitiper le ragioni di cui alla sentenza della Corte Cost. 24/2009. Corte Costituzionale, numero 399/2008. La sentenza riafferma la forza del principio di sicurezza giuridica e salvaguardia dei diritti quesiti. Afferma tra l'altro la Corte «Una normativa che lo stesso legislatore definisce come finalizzata «ad aumentare [] i tassi di occupazione e a promuovere la qualità e la stabilità del lavoro» articolo 1, comma 1, d.lgs. numero 276/2003 non può ragionevolmente determinare l’effetto esattamente contrario perdita del lavoro a danno di soggetti che, per aver instaurato rapporti di lavoro autonomo prima della sua entrata in vigore nel pieno rispetto della disciplina all’epoca vigente, si trovano penalizzati senza un motivo plausibile. Quest’ultimo non può essere individuato nella mera esigenza di evitare la prosecuzione nel tempo di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa difformi dalla nuova previsione legislativa, poiché l’intento del legislatore di adeguare rapidamente la realtà dei rapporti economici ai modelli contrattuali da esso introdotti non può giustificare, di per se stesso, il pregiudizio degli interessi di soggetti che avevano regolato i loro rapporti in conformità alla precedente disciplina giuridica». Corte Costituzionale, numero 168/2004. La sentenza affermò un principio che si attaglia al caso dei “vecchi avvocati part-time”. Scrive la Corte «di ben diversa consistenza sono le ragioni che giustificano la salvaguardia di una situazione l'acquisizione di un posto di ruolo caratterizzata nella attualità dal diritto alla sua permanenza - jus in officio - rispetto a quelle che possono essere addotte per rivendicare la conservazione di una posizione per sua natura virtuale collocamento in una graduatoria ». C.N.F., parere 9 maggio 2007, numero 12-bis. Il Consiglio Nazionale Forense relatore Orsoni ha espresso parere contrario in relazione ad un quesito rivoltogli dall'Ordine di Siena e riguardante il dipendente di un ex istituto di credito di diritto pubblico, poi trasformato in società per azioni, che ex l. 218/1990 aveva potuto conservare l'iscrizione nell'elenco speciale dell'albo degli avvocati e che si dubitava potesse continuare ad esservi iscritto anche nel caso in cui fosse “distaccato” presso società controllate dalla banca capogruppo e svolgenti specifiche attività “non strategiche”. Il parere è interessante in quanto conferma la rilevanza, anche per il C.N.F., dei c.d. diritti quesiti. Secondo il C.N.F., infatti, la norma di cui all'articolo 3, secondo comma, della legge numero 218/1990, nella parte in cui fa salvi i diritti «rivenienti dalla originaria natura pubblica dell'ente di appartenenza» è disposta a favore di coloro che, al momento della trasformazione dell'istituto bancario di diritto pubblico in società azionaria, rivestivano la qualità di dipendente dell'istituto stesso e fossero già iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo che raccoglie gli avvocati di enti pubblici. Costoro - afferma il C.N.F. - hanno ottenuto la possibilità di conservare un beneficio collegato alla natura pubblica dell'istituto di appartenenza e non si tratta con tutta evidenza, di un privilegio personale, quanto piuttosto di un diritto quesito inerente al rapporto di lavoro con l'ente. Corte dei Conti, sez. Unite 7/2007. La Corte ha statuito «12. L'affidamento nella sicurezza giuridica costituisce invero un valore fondamentale dello Stato di diritto, costituzionalmente protetto nel nostro ordinamento Corte Cost., sent. numero 3491985 numero 822/1988 numero 155/1990 numero 39/1993 , ora ancor più rilevante considerato che lo stesso legislatore prescrive che l’attività amministrativa sia retta anche dai principi dell’ordinamento comunitario articolo 1, primo comma, l. numero 241/1990 quale modificato dall’articolo 1 della legge 11 febbraio 2005 numero 15 , nel quale il principio di legittimo affidamento è stato elaborato dalla giurisprudenza comunitaria in un’ottica di accentuata tutela dell’interesse privato nei confronti delle azioni normativa e amministrativa delle istituzioni europee Corte di giustizia delle Comunità europee, 15 luglio 2004, causa C-459/02 14 febbraio 1990, causa C-350/88 3 maggio 1978, causa 112/77 ». Dopo questa lunga premessa torniamo alla sentenza in commento. Intanto dobbiamo dire che sulla questione, dopo un orientamento favorevole alle tesi delle Casse private Cass., sez. Lavoro, numero 14701/2007 si è consolidato un orientamento in senso opposto, favorevole agli assicurati Cass. sez. Lavoro, numero 24209/2009 Cass., sez. Lavoro, numero 20235/2010 Cass. sez. Lavoro, numero 17102/2010 Cass., sez. Lavoro, numero 8846/2011 Cass. sez. VI, numero 3613/2012 al punto che analoghe questioni sono state affrontate e decise in camera di Consiglio anziché in pubblica udienza proprio per il consolidamento delle questioni trattate. Anche Cassazione 13607/2012, discussa in pubblica udienza per la novità delle questioni sottoposte, va nella medesima direzione alla luce però del principio del pro rata di cui alla legge 335/1995 prima dell’attenuazione del suo rigore di cui alla Finanziaria del 2007. La Suprema Corte afferma oggi che «c’è una soglia minimale di trattamento pensionistico corrispondente alla posizione previdenziale già maturata via via nel corso della vita lavorativa secondo un criterio sinallagmatico al pari, ad esempio, della rendita vitalizia per le assicurazioni private. L’ammontare della contribuzione fino a un certo momento accumulata dall’assicurato ha un suo valore economico in termini di potenziale rendita vitalizia una sorta di maturato previdenziale che non può essere sterilizzato dal legislatore». Una clausola di garanzia? Il legislatore, chiamato ripetutamente a riequilibrare il sistema pensionistico è stato ben consapevole che, mutando in termini meno favorevoli i criteri di calcolo delle pensioni, occorre comunque apprestare una clausola di garanzia a tutela delle posizioni previdenziali già maturate nel vigore di precedenti criteri più favorevoli. Quindi la tutela del “maturato previdenziale” si traduce in una specifica clausola di garanzia, fra le tante astrattamente ipotizzabili, come attualizzazione in concreto della garanzia di soglia minimale di trattamento pensionistico. Con la Finanziaria del 2007 però il legislatore ha inteso rendere flessibile il criterio del pro rata ponendolo in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni e in questo modo lo spazio di intervento delle Casse è maggiore e le esigenze di riequilibrio della gestione previdenziale potrebbero richiedere un sacrificio maggiore a chi è già assicurato a beneficio dei nuovi assicurati. In conseguenza di ciò la Suprema Corte nel precedente qui in commento alla luce delle modifiche regolamentari intervenute prima del 2007 ha affermato il seguente principio di diritto «Nel regime dettato dall’articolo 1, comma 12, l. numero 335/1995 prima della modifiche a tale disposizione apportate dalla Finanziaria 2007, la garanzia costituita dal principio cd. del pro rata – il cui rispetto è prescritto per le Casse privatizzate ex d.lgs. numero 509/1994 nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti - ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratione temporis, del criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare della Cassa dei Ragionieri». Per le modifiche regolamentari introdotto dal 2007 in poi e che dovranno confrontarsi con il criterio meno rigido introdotto dalla legge finanziaria del 2007, lo spazio di intervento delle Casse è maggiore al punto che potranno richiedere un sacrificio maggiore a chi è già assicurato a beneficio dei nuovi assicurati.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 aprile – 30 luglio 2012, numero 13607 Presidente De Renzis – Relatore Amoroso Svolgimento del processo 1. Con ricorso depositato in data 17 aprile 2008 la Cassa di Previdenza conveniva in giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Milano, M. B., collocata in quiescenza nel maggio del 2006 con 35 anni di anzianità contributiva, chiedendo la riforma della sent. numero 460/07 del Tribunale di Busto Arsizio, che accertata la illegittimità della modifica apportata al Regolamento della Cassa dalla delibera del comitato dei delegati per quel che concerne il riferimento alla media degli ultimi 24 anni redditi professionali, anziché alla media degli ultimi 16 anni e con l'applicazione del coefficiente di neutralizzazione, l'aveva condannata a pagare la pensione di anzianità annua lorda risultante dalla normativa di cui all'articolo 3, 12 comma, della 1. numero 335/95, con ulteriore somma di €.21.319,98 annue, oltre interessi legali dal dovuto al saldo. Il primo giudice riteneva, interpretando la disciplina di cui all'articolo 2, comma 2, d.lgs. numero 509/94 e all'articolo 3, comma 12,1. numero 335/95 che la legge avesse individuato i provvedimenti che la cassa poteva assumere e avesse previsto, comunque, il rispetto dei diritti pensionistici maturati in relazione alle quote di contribuzione già accantonate. Riteneva altresì che l'articolo 1, comma 763, della legge numero 296/2006 nella parte in cui aveva fatto salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottate dagli enti prima dell'entrata in vigore della stessa legge non avesse valore retroattivo perché la norma non era interpretativa e quindi non aveva efficacia retroattiva per cui gli atti e le deliberazioni della Cassa dovevano essere valutati in base alla legge vigente al tempo in cui erano emanati. La cassa lamentava che il giudice avesse errato nell'interpretare l'articolo 3, comma 12, cit. ritenendo il principio del pro-rata un limite inderogabile all'autonomia degli enti. Faceva presente che la cassa, nel periodo 1997-2002, aveva riformato integralmente l'ordinamento per quel che concerneva la struttura dell'approvigionamento contributivo e la fase erogativa che aveva temporaneamente, in attesa della riforma, congelato per un anno l'accesso alle pensioni di anzianità e introdotto un nuovo parametro per la determinazione del reddito professionale da porre a base del calcolo delle pensioni, individuato nella media di tutti i redditi percepiti per ogni anno di iscrizione e contribuzione e non nella media dei 15 migliori redditi degli ultimi 20 anni che, evitando di pesare sulle generazioni future, aveva introdotto il sistema contributivo dal 1 gennaio 2004, lasciando in vita per il periodo precedente il sistema retributivo e dividendo quindi, la pensione in due quote prima e dopo il dicembre 2003 per i professionisti che avevano iniziato prima che, in collegamento con questa modifica, aveva nuovamente mutato il criterio di calcolo del reddito basandolo sulla media degli ultimi 24 anni di iscrizione articolo 50 del regolamento e finanziato con il proprio patrimonio le pensioni retributive in corso articolo 64, 65 e 66 . Rilevava che il criterio del pro rata non era applicabile perché l'anzianità contributiva e assicurativa non era frazionabile e pertanto non era possibile applicare il coefficiente di neutralizzazione solo sui contributi versati dopo il 1/1/2004 articolo 71 e non retroattivamente su tutti i contributi versati dalla professionista che i calcoli della pensione dovevano essere fatti in base ai principi della legge vigente nel momento in cui esistevano i requisiti che la norma di cui al comma 763 dell'articolo 1 l. numero 296/2006 aveva ratificato ex lune le delibere assunte nel tempo approvate da parte del Ministro, anche se all'epoca in contrasto con la legge. 2. Si costituiva la B. e chiedeva la conferma della sentenza appellata proponeva altresì appello incidentale chiedendo che fosse dichiarato inapplicabile il sistema contributivo disciplinato in modo difforme rispetto alle previsioni della legge che lo riservava a coloro che non fossero iscritti da 18 anni all'ente al momento del mutamento del sistema che fosse accertato il diritto alla perequazione sulla pensione e fossero poste a carico della cassa soccombente le spese di lite. La Corte d'appello di Milano con sentenza del 19 ottobre 2006, in parziale riforma della sentenza numero 460/07 del Tribunale di Busto Arsizio, dichiarava dovuta la perequazione automatica e gli interessi sui ratei di pensione dichiarava illegittimo il criterio di calcolo con sistema contributivo applicato alla pensione di B. per il periodo successivo al 1 gennaio 2004 e di conseguenza, condannava la Cassa a pagare quanto dovuto a titolo di differenze di trattamento pensionistico confermava nel resto la sentenza appellata condannava la cassa a pagare le spese del grado. 3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione la Cassa con quattro motivi. Resiste con controricorso la parte intimata che ha proposto anche ricorso incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione 1. Il ricorso è articolato in quattro motivi. Con il primo motivo la cassa ricorrente denuncia la violazione falsa applicazione dell'articolo 3, comma 12, legge numero 335 del 1995. Censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto rigidamente applicabile il principio del prò rata anche nel caso di radicale riforma strutturale del sistema pensionistico della cassa. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione falsa applicazione ancora dell'articolo 3, comma 12, legge numero 335 del 1995. Contesta in particolare l'affermazione della sentenza impugnata che ha ritenuto l'illegittimità dell'operato della cassa riducendo il trattamento pensionistico spettante con riguardo alla proporzione tra contributi e ammontare delle prestazioni. Il regolamento della cassa ha fatto corretta applicazione del principio del prò rata disciplinando il passaggio dal regime retributivo a quello contributivo. Con il terzo motivo la cassa denuncia ancora violazione dell'articolo 3, comma 12, legge numero 335 del 1995, come modificato dall'articolo 1, comma 763, legge numero 296 del 2006. Tale disposizione ha fatto salvo gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti ed approvati dai ministeri vigilanti prima delle data di entrata in vigore della legge, ossia prima del 1 gennaio 2007. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione. Evidenzia che il diritto a pensione di anzianità è stato maturato a far data dal 1 luglio 2006 e che quindi regime giuridico del trattamento con pensionistico era quello vigente successivamente al 22 giugno 2002. 2. La controricorrente con il suo ricorso incidentale, articolato in due motivi, denuncia l'illegittima regolamentazione delle spese quanto alla compensazione di quelle di primo grado primo motivo e quanto alla liquidazione di quelle di secondo grado secondo motivo . 3.1 giudizi promossi con il ricorso principale e con quello incidentale vanno riuniti avendo ad oggetto la medesima sentenza impugnata. 4. Il ricorso principale - i cui quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente - è infondato. 5. Le questioni sollevate con il ricorso ed il controricorso sono già state portate all'esame di questa Corte che si è ripetutamente pronunciata in proposito. Vi è stato un iniziale orientamento favorevole alle tesi della Cassa Cass., sez. lav., 25 giugno 2007, numero 14701 , che ha escluso l'applicabilità della regola ed. del prò rata temporìs , essendosi in particolare affermato che le delibere 28 giugno e 26 luglio 1997 con le quali la Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei ragionieri e periti commerciali ha apportato variazioni al sistema di calcolo della pensione, sono valide ed efficaci, anche nella parte in cui comportano la liquidazione della pensione sulla base dei migliori redditi di dodici anni sugli ultimi diciassette e non ai migliori redditi di dieci anni sugli ultimi quindici a ciò non osta il principio del prò rata, cui fa riferimento il secondo periodo del citato comma dell'articolo 3, il quale non è applicabile a parametri non suscettibili di frazionamento nell'arco dell'intero periodo contributivo e quindi al sistema di calcolo della pensione, il cui computo deve essere eseguito con riferimento alle norme in vigore al momento dell'accoglimento della domanda di pensionamento. Successivamente questa Corte, seppur con riferimento ad altro ma analogo sistema previdenziale categoriale la previdenza forense , si è successivamente orientata in senso opposto, favorevole agli assicurati cfr. Cass., sez. lav., 16 novembre 2009, numero 24202, che ha affermato che i lavoratori iscritti ad enti previdenziali privatizzati - nel caso di successione, durante il periodo dell'iscrizione, di sistemi diversi di calcolo della pensione - hanno, quindi, diritto - in ossequio, appunto, al principio del prò rata - ad altrettante quote di pensione, da calcolare - in relazione a ciascun periodo dell'anzianità maturata - secondo il sistema, rispettivamente, in vigore . In senso conforme, con riferimento alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza dei ragionieri e periti commerciali, cfr. Cass., sez. lav., 24 settembre 2010, numero 20235 invece, con riferimento all'ENASARCO, v. Cass., sez. lav., 21 luglio 2010, numero 17102 . Più recentemente all'udienza del 6 aprile 2011 sono stati chiamati numerosi ricorsi riguardanti il sistema previdenziale della Cassa e decisi con plurime sentenze di analogo contenuto a partire da Cass., sez. lav., 18 aprile 2011, numero 8846 , favorevoli agli assicurati nel senso di ritenere applicabile nella fattispecie il principio del prò rata. Altri analoghi ricorsi sono poi stati avviati alla trattazione in camera di consiglio sul presupposto dell'ormai più volte affermato orientamento favorevole agli assicurati {ex plurimis Cass., sez. VI-L, 7 marzo 2012, numero 3613 . Successivamente però - anche in ragione di più estese argomentazioni sviluppate dalla difesa della Cassa ricorrente che in sostanza invoca un revirement di tale orientamento - il presente ricorso ed altri analoghi sono stati fissati in udienza pubblica, alcuni dei quali rinviati all'udienza pubblica dopo essere stati fissati per la trattazione in camera di consiglio. Da ciò la necessità di rivisitare tale problematica su sollecitazione soprattutto dell'assai articolata e puntuale difesa della Cassa nella memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.comma 6. Giova premettere, seppur in estrema sintesi e limitatamente al punto che interessa nella presente controversia, le modifiche nel tempo della disciplina legislativa e regolamentare del trattamento pensionistico degli iscritti alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali. In sede di riforma della Cassa e del sistema normativo precedente -rappresentato essenzialmente dalla legge 9 febbraio 1963, numero 160, istitutiva della Cassa, e dalla legge 23 dicembre 1970, numero 1140, di adeguamento della legislazione sulla previdenza e sull'assistenza dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, che prevedeva un sistema di tipo contributivo con accumulo del montante complessivo dei contributi in un conto individuale dell'assicurato ed il calcolo della pensione mediante trasformazione di tale montante contributivo, rivalutato secondo un coefficiente di rendimento, in rendita vitalizia con la garanzia dell'integrazione ad un trattamento minimo uniforme - la legge 30 dicembre 1991, numero 414, introducendo il ben più favorevole sistema a ripartizione di tipo retributivo, ha contemplato come modalità di calcolo de* trattamento pensionistico un criterio strettamente retributivo perché ha previsto che la misura annua della pensione di vecchiaia era pari, per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione, al 2 per cento della media dei dieci redditi professionali annuali più elevati dichiarati dall'iscritto ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche per gli ultimi quindici anni solari di contribuzione anteriori a quello dì maturazione del diritto a pensione. Successivamente il d.lgs. 30 giugno 1994, numero 509, in attuazione della delega conferita dall'articolo 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, numero 537, ha trasformato in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza, tra cui la Cassa suddetta. In particolare il d.lgs., in questo contesto profondamente riformato, ha posto alle nuove Casse privatizzate l'obiettivo di assicurare l'equilibrio di bilancio e la stabilità delle rispettive gestioni mediante l'adozione di provvedimenti coerenti alle indicazioni risultanti dal bilancio tecnico da redigersi con periodicità almeno triennale. Per far ciò l'articolo 1, comma 4, in combinato disposto con gli articolo 2, comma 2, e 3, comma 2, del predetto decreto legislativo, ha previsto un potere regolamentare delle Casse non incompatibile con il sistema delle fonti potendo la fonte primaria costituita dal decreto legislativo autorizzare una fonte subprimaria il Regolamento della Cassa approvato con decreto ministeriale ad introdurre norme generali ed astratte, A tal proposito si è parlato di sostanziale delegificazione affidata dalla legge alla autonomia degli enti previdenziali privatizzati, entro i limiti ad essa imposti Cass., sez. lav., 16 novembre 2009, numero 24202 e si è aggiunto anche in deroga a disposizioni di legge precedenti . In realtà occorre tener conto del carattere tutt'affatto speciale dei regolamenti di delegificazione previsti in generale, e disciplinati nella formazione, dall'articolo 17, comma 2, legge 23 agosto 1988, numero 400,e «destinati a sostituire, in materie non coperte da riserva assoluta di legge, preesistenti disposizioni legislative statali, in conformità a nuove norme generali regolatrici della materia stabilite con legge, e con effetto di abrogazione differita delle disposizioni legislative sostituite» C. cost. numero 376 del 2002 . Tale disposizione, pur priva di rango costituzionale, disegna un modello di carattere generale di tal che la deviazione da esso, ad opera della legge ordinaria, è di stretta interpretazione. Si ha pertanto che, quando il legislatore delegante ha inteso assegnare alla fonte subprimaria delegata anche il potere normativo di derogare a specifiche disposizioni collocate al superiore livello primario lo ha previsto espressamente ad es. per i regolamenti di organizzazione degli enti pubblici non economici di cui all'articolo 27 d.lgs. 30 marzo 2001, numero 165, facoltizzati a dettare norme anche in deroga alle speciali disposizioni di legge che li disciplinano . Ciò invece l'articolo 2, comma 2, cit. in realtà non ha affatto previsto e quindi l'emanando Regolamento della Cassa non era facoltizzato a derogare a disposizioni dettate proprio per le Casse privatizzate , quale poi sarebbe stato l'articolo 3, comma 12, legge numero 335 del 1995 che costituisce il riferimento normativo centrale per l'esito di questa controversia e che ha natura di norma imperativa inderogabile dall'autonomia normativa delle Casse privatizzate. Ciò del resto è dimostrato anche dal fatto che, quando è emersa l'opportunità di modificare tale disposizione, vi ha provveduto la legge articolo 1, comma 763, l. numero 296/2006 e nient'affatto il Regolamento della Cassa. 7. La Cassa, in forza di tale comunque assai ampia investitura di potere regolamentare, ha adottato un primo regolamento del 1° gennaio 1995 che, per quanto interessa la presente controversia, ha ribadito il criterio retributivo della legge numero 414 del 1991 articolo 49, comma 2, della regolamento . Le cose cambiano profondamente a seguito della riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare adottata dalla legge 8 agosto 1995 numero 335. Si è introdotto - com'è noto - il sistema contributivo e si è previsto il graduale passaggio a quest'ultimo dal sistema retributivo. In particolare l'articolo 1, comma 12, ha previsto che per i lavoratori iscritti alle forme di assicurazione generale obbligatoria e a quelle sostitutive ed esclusive della stessa, che alla data del 31 dicembre 1995 potevano far valere un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la pensione era - ed è - determinata dalla somma di due quote distinte la quota A di pensione corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data la quota B di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo. È questo il cosiddetto criterio del pro rata '' alla stregua del quale una parte della pensione è calcolata secondo il più favorevole previgente criterio retributivo e un'altra parte della pensione è calcolata secondo il nuovo criterio contributivo. Il successivo comma 13 ha poi previsto una più specifica clausola di garanzia. Per i lavoratori già iscritti alle forme di previdenza suddette che alla data del 31 dicembre 1995 potevano far valere un'anzianità contributiva di almeno diciotto anni, la pensione sarebbe stata interamente liquidata secondo la normativa vigente in base al sistema retributivo. Quindi il criterio di salvaguardia è duplice per i lavoratori più anziani rimane, come condizione di miglior favore, il sistema retributivo previgente per i lavoratori meno anziani c'è invece il criterio del prò rata per cui si applica in parte il più favorevole criterio retributivo e per altra parte il nuovo criterio contributivo. 8. Invece per i sistemi previdenziali delle Casse private l'articolo 3, comma 12, nel testo originario, da una parte ha ribadito l'obiettivo dell'equilibrio di bilancio e della stabilità delle rispettive gestioni da realizzarsi in un arco temporale non inferiore a quindici anni. D'altra parte ha previsto una sorta di delega facoltizzando gli enti privatizzati suddetti ad adottare provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico. Inoltre, in particolare, le Casse avrebbero potuto optare per l'adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge. Nel far ciò il legislatore ha previsto una garanzia specifica non dissimile da quella contemplata dall'articolo 1, comma 12, citato nel caso di introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti avrebbe operato comunque il rispetto del principio del prò rata in relazione alle anzianità già maturate. Al pari dell'articolo 1, comma 12, il fulcro di tale disposizione articolo 3, comma 12 è costituito proprio dalla garanzia del criterio del prò rata non c'è invece la garanzia ulteriore e più specifica del comma 13 dell'articolo 1 che prevede solo il sistema retributivo per gli assicurati anziani , quelli che alla data del 31 dicembre 1995 potevano far valere un'anzianità contributiva di almeno diciotto anni . 9. In riferimento a tale criterio del prò rata può in generale considerarsi che gli assicurati hanno, non già un mero interesse di fatto al futuro trattamento pensionistico, ma una posizione previdenziale già maturata e che appartiene al patrimonio dell'assicurato come diritto al montante complessivo della contribuzione già versata. Ciò non vuol dire che ci sia un diritto quesito alla pensione calcolata secondo un più favorevole criterio previgente - tra quelli in vigore al momento del versamento della contribuzione - rispetto a quello vigente al momento del collocamento in quiescenza. Ma neppure, al contrario, che l'assicurato ha solo una mera aspettativa alla pensione sicché, quanto ai criteri di calcolo, il legislatore ordinario potrebbe liberamente determinarli nell'esercizio della sua discrezionalità. C'è una soglia minimale di trattamento pensionistico corrispondente alla posizione previdenziale già maturata via via nel corso della vita lavorativa secondo un criterio sinallagmatico contribuzione versus prestazione al pari, ad es., della rendita vitalizia per le assicurazioni private. L'ammontare della contribuzione fino ad un certo momento accumulata dall'assicurato ha un suo valore economico in termini di potenziale rendita vitalizia una sorta di maturato previdenziale che non può essere sterilizzato dal legislatore. Quindi il sistema previdenziale pubblico e privato ha un'intrinseca soglia minimale di protezione, derivata - e garantita a livello costituzionale - dal criterio di adeguatezza prescritto dall'articolo 38, secondo comma, Cost. e modulata diacronicamente in quanto dipendente dalla variabilità di plurimi parametri che concorrono a definirla primo tra i quali il coefficiente che esprime l'aspettativa di vita ciò che porta a negare validità alla tesi, sostenuta dalla difesa della Cassa, secondo cui l'assicurato avrebbe soltanto una mera aspettativa di fatto ad un trattamento pensionistico di anzianità o di vecchiaia . Il legislatore - chiamato ripetutamente a riequilibrare il sistema pensionistico - è stato ben consapevole che, mutando in termini meno favorevoli i criteri di calcolo delle pensioni, occorre comunque apprestare una clausola di garanzia a tutela delle posizioni previdenziali già maturate nel vigore di precedenti criteri più favorevoli. Quindi la tutela del maturato previdenziale si traduce in una specifica clausola di garanzia, tra le tante astrattamente ipotizzabili come attualizzazione in concreto della garanzia di soglia minimale di trattamento pensionistico. Già il legislatore della riforma del 1995 ha previsto le specifiche clausole di garanzia di cui si è detto sopra quella massima del comma 13 dell'articolo 1 in favore gli assicurati che alla data del 31 dicembre 1995 potevano far valere un'anzianità contributiva dì almeno diciotto anni quella bilanciata del precedente comma 12 il criterio del prò rata in favore gli assicurati che alla data del 31 dicembre 1995 potevano far valere un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni quella preventiva del comma 12 dell'articolo 3 in favore degli assicurati delle Casse privatizzate ex d.lgs. numero 509 del 1994 in caso di future modifiche peggiorative del sistema previdenziale categoriale ad opera degli emanandi Regolamenti delle Casse stesse . Di tutti tali tre criteri può predicarsi la natura di concreta - nonché idonea ex articolo 38, secondo comma, Cost. - attualizzazione di quella soglia minimale di garanzia del maturato previdenziale di cui si è finora detto. 10. Nel presente giudizio viene specificamente in rilievo la garanzia del comma 12 dell'articolo 3 nella versione originaria applicabile nella specie ratione temporis di quella successiva, attualmente vigente si dirà infra garanzia che è modulata in simmetria con quella dell'articolo 1, comma 12, ma con una portata più ampia perché formulata - per così dire - in prevenzione, ossia con riferimento ad una futura all'epoca diversa regolamentazione dei trattamenti pensionistici erogati dalle Casse. Le quali erano sì facoltizzate a variare le aliquote contributive e a riparametrare i coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico ma ciò potevano fare rispettando il criterio del prò rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti . Era questa una clausola di garanzia forte nel senso che la eventuale diversa regolamentazione che poi in effetti c'è stata avrebbe dovuto far salva la quota di trattamento pensionistico relativo all'anzianità contributiva maturata fino alla riforma con lo stesso meccanismo del comma 12 dell'articolo 1 una quota A calcolata con i previgenti criteri più favorevoli una quota B calcolata con i nuovi meno favorevoli criteri. In questo modo era certamente rispettata la soglia minima di garanzia del maturato previdenziale anzi era una garanzia forte perché tutta la quota A sarebbe stata calcolata con i previgenti più favorevoli criteri. Il criterio del prò rata era sganciato dal pur prefigurato come possibile passaggio dal sistema retributivo è quello contributivo sicché qualsiasi aggiustamento delle aliquote contributive o riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, complessivamente peggiorativo per gli assicurati, si sarebbe associato ex lege a questa garanzia. Va quindi condivisa l'affermazione di Cass., sez. lav., 16 novembre 2009, numero 24202, e della successiva giurisprudenza conforme, che ha disatteso Cass., sez. lav., 25 giugno 2007, numero 14701, secondo cui il principio del pro rata avrebbe una portata più limitata e non si applicherebbe nel caso di modifiche in peius per gli assicurati del solo criterio retributivo. Questa limitazione dell'operatività della garanzia suddetta non ha base legale, atteso che l'articolo 3, comma 12, riferisce il principio del pro rata all' introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti quella della Cassa e quindi anche alle sole modifiche peggiorative del criterio retributivo pur più favorevole del criterio contributivo . Ma non solo tale formulazione ampia della garanzia del principio del pro rata non consente la limitazione predicata da Cass., sez. lav., 25 giugno 2007, numero 14701, ma anche lascerebbe un vuoto di normativa perché - per le considerazioni sopra svolte in ordine alla rilevanza in termini di situazione giuridica protetta del maturato previdenziale - deve comunque esserci la garanzia di una soglia minima di protezione. Insomma il legislatore nell'articolo 3, comma 12, ha optato per una clausola di garanzia - quella del prò rata - che operava a tutto campo e indubbiamente costituiva uno scudo di protezione per i vecchi assicurati privilegiandoli rispetto ai nuovi , così però riducendo gli ambiti di riforma possibile per le Casse privatizzate. Questa garanzia forte sarebbe stata resa meno rigida soltanto con la legge finanziaria 2007 articolo 1, comma 763,1. numero 296/2006 . Ma fino a quella data il potere regolamentare della Cassa si sarebbe dovuto confrontare con tale garanzia del pro rata. 11. Posto il paletto di questa garanzia del pro rata, come norma di legge a carattere imperativo ed inderogabile dal potere regolamentare delle Casse privatizzate in genere, può ora considerarsi lo sviluppo che in concreto ha avuto l'esercizio del potere regolamentare da parte della Cassa ricorrente. All'indomani della riforma del 1995, la Cassa - ove ciò fosse stato reso necessario da esigenze di riequilibrio del bilancio e di stabilità della gestione -avrebbe potuto già subito, in simmetria con il sistema pensionistico pubblico, adottare il criterio contributivo con il rispetto del principio del pro rata. Invece la Cassa, nella sua discrezionalità gestionale, ha lasciato il sistema retributivo per vari anni ancora, preferendo medio tempore nel 1997 solo un aggiustamento di quello retributivo per alleggerire il carico pensionistico solo a partire dal 1° gennaio 2004 viene introdotto il sistema contributivo in una situazione di progressiva difficoltà nel sostenere l'onere di pensioni calcolate con il sistema retributivo tanto da porle alla fine a carico del patrimonio della Cassa e non più della contribuzione corrente articolo 64, 65 e 66 del Regolamento in vigore a partire dalla data suddetta . Contemporaneamente però la Cassa ha modificato anche in peius per gli assicurati lo stesso criterio di calcolo della quota retributiva delle pensioni maturate dopo la data suddetta sicché il riequilibrio di gestione è stato perseguito non solo con il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, ma anche con r aggiustamento dello stesso sistema retributivo. Più in dettaglio può ricordarsi - come è pacifico tra le parti in causa - che nel 1997 intervengono due delibere modificative del regolamento del 28 giugno 1997 e del 26 luglio 1997. L'articolo 49, comma 2, viene riformulato si considera la media di 15 redditi professionali annuali più elevati nell'arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione. Ma si rimane ancorati al criterio retributivo, ancorché la Cassa - come già rilevato - fosse stata facoltizzata ad adottare per il futuro il criterio contributivo. Già per questa modifica peggiorativa - all'interno di un sistema ancora interamente retributivo - si porrebbe il problema della garanzia del pro rata e a questa modifica della normativa regolamentare, in realtà, si riferiva Cass., sez. lav., 25 giugno 2007, numero 14701, cit., comunque disattesa dalla giurisprudenza successiva . Peraltro la stessa delibera del 1997 conteneva un criterio di gradualità che, anche se non surrogava a pieno il principio del prò rata, di fatto riduceva l'impatto della modifica in peius dei criteri di calcolo del trattamento pensionistico. In ogni caso nella presente controversia non si fa questione di applicabilità del principio del pro rata già a questa modifica regolamentare, ma la pretesa di parte resistente al ricalcolo del trattamento pensionistico fa riferimento solo alle modifiche intervenute nel 2002-2003. Ed è infatti in questo torno di tempo che si ha il più radicale punto di svolta perché si passa dal sistema contributivo a quello retributivo con l'introduzione di due quote di pensione - A retributiva e B contributiva - in simmetria con la riforma del 1995 v. articolo 1, comma 12, 1. numero 335 del 1995 . In particolare intervengono tre delibere quella del 22 giugno 2002 per cui si calcolano - al fine della determinazione della quota A di pensione - tutti i redditi professionali annuali quella del 7 giugno 2003 si introduce - con finalità dissuasiva - il criterio c.d. della neutralizzazione con coefficienti di riduzione del trattamento pensionistico di anzianità in ragione dell'età anagrafica quella del 20 dicembre 2003 si calcolano -sempre al fine della determinazione della quota A di pensione - i redditi professionali degli ultimi 24 anni ossia - re melius perpensa - si modifica in termini più favorevoli per i pensionati, ma comunque peggiorativi rispetto alla previgente disciplina regolamentare, la delibera del 22 giugno 2002 . Quindi la complessiva normativa regolamentare di risulta - per tale intendendosi quella posta dalle tre delibere suddette e che è sintetizzata nell'articolo 49 pensioni di vecchiaia e articolo 50, comma 4 pensioni di anzianità del Regolamento dell'epoca - prevede pensioni liquidate col criterio interamente retributivo, secondo i criteri previgenti, se maturate in data antecedente alla 31 dicembre 2003. Per quelle maturate successivamente la norma regolamentare prevede una quota A retributiva , determinata considerando la media dei redditi degli ultimi 24 anni come base di calcolo limitatamente all'anzianità contributiva maturata fino al 31 dicembre 2003, e una quota B contributiva per l'anzianità contributiva successiva a tale data. Prima della modifica regolamentare del 2003 la pensione - come già rilevato - era calcolata con il criterio interamente retributivo non solo, ma anche secondo parametri più favorevoli, quelli del 1997 articolo 49, comma 2, e 50, comma 4 si calcolava la media di 15 redditi professionali annuali più elevati per gli ultimi 20 anni anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione . 12. Come sottolinea la difesa della Cassa la modifica regolamentare del 2002, distinguendo tra la quota ^ retributiva e la quota B contributiva fa sì applicazione del principio del pro rata nella misura in cui adotta il criterio contributivo solo per l'anzianità maturata dopo il 31 dicembre 2003 e conserva il criterio retributivo per l'anzianità maturata fino a tale data. Ma il problema che si pone nelle controversie in esame è se il principio del pro rata si applichi, o no, anche al criterio di calcolo della quota A retributiva che nel 2002-2003 è stata regolamentata in termini meno favorevoli per i pensionati. Alla risposta affermativa data dalla giurisprudenza di questa Corte a partire da Cass., sez. lav., 16 novembre 2009, numero 24202, occorre dare continuità per le ragioni già sopra indicate il criterio del pro rata è formulato dall'articolo 3, comma 12, 1. numero 335/95 in termini generali con riferimento all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti della Cassa e quindi il dato testuale della disposizione non autorizza a distinguere tra modifiche peggiorative del criterio retributivo e modifiche peggiorative a seguito dell'applicazione del criterio contributivo. In ogni caso all'anzianità già maturata corrisponde una quota di pensione la quota A non solo calcolata con il criterio retributivo e non già contributivo ed in questa parte la norma regolamentare , ma anche calcolata secondo i previgenti più favorevoli parametri. Si tratta quindi di una complessiva, ma specifica, clausola di non regresso e non già dì trattamento di miglior favore operante dopo la riforma del 1995 1. numero 335/95 . Non occorre quindi - diversamente da quanto sostiene la difesa della Cassa - fare applicazione di ogni singolo criterio di calcolo via via modificato nel tempo a partire dalla legge numero 160 del 1963, poi seguita dalla legge numero 1140 del 1970, quindi dalla legge numero 414 del 1991, e poi dalle delibere del 1997 e da ultimo dalle delibere del 2002-2003. Si ha infatti che il principio del pro rata è stato posto, per le Casse privatizzate, dall'articolo 3, comma 12,1. numero 335 del 1995 e quindi opera solo dall'entrata in vigore di tale legge di riforma. Questa interpretazione ampia del principio del pro rata - non limitata quindi al passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo - non solo ha il supporto testuale dell'articolo 3, comma 12, cit. ma - come già rilevato - risponde ad un'esigenza generale di adeguatezza del trattamento pensionistico ex articolo 38, secondo comma, Cost. da cui può estrarsi la regola di una insopprimibile soglia minima di trattamento pensionistico corrispondente al maturato previdenziale. Il quale non necessariamente coincide con il criterio del prò rata, ma, essendo questo l'unico all'epoca previsto dal legislatore, un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 3, comma 12, cit., che si aggiunge e rafforza il canone dell'interpretazione testuale, conduce a ritenere ampio l'ambito di operatività di tale criterio, applicabile quindi anche alle modifiche in peius dei soli criteri di calcolo della quota retributiva della pensione. 13. Rimane da dire dell'articolo 1, comma 763, legge 27 dicembre 2006, numero 296 legge finanziaria 2007 , che ha sostituito il primo ed il secondo periodo dell'articolo 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, numero 335. Tale disposizione ha ribadito l'obiettivo, da perseguire ad opera delle Casse privatizzate, di assicurare l'equilibrio di bilancio e la stabilità delle gestioni previdenziali in un arco temporale non inferiore a trenta anni. Ha facoltizzato gli enti medesimi, sulla base del bilancio tecnico della gestione previdenziale, ad adottare i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell'equilibrio finanziario di lungo termine avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni . Ed ha aggiunto che sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al presente comma ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge medesima. Chiaramente non si tratta di norma di interpretazione autentica non ne ha né la tipica formulazione testuale, né il contenuto. E' una norma a carattere innovativo che in particolare, sostituisce il principio del prò rata di cui all'originario articolo 3, comma 12, nella formulazione della legge numero 335 del 1995, con un principio similare, ma meno rigido. Non è più previsto il rispetto del principio del prò rata , ma occorre che le Casse privatizzate, e quindi anche quella per ragionieri e periti commerciali, nell'esercizio del loro potere regolamentare, abbiano presente il principio del prò rata nonché i criteri di gradualità e di equità fra generazioni ciò a partire dal 1° gennaio 2007. Il legislatore del 2006 ha quindi inteso rendere flessibile il criterio del prò rata ponendolo in bilanciamento con i criteri di gradualità e di equità fra generazioni. In questo modo lo spazio di intervento delle Casse è maggiore e le esigenze di riequilibrio della gestione previdenziale potrebbero richiedere un sacrificio maggiore a chi è già assicurato a beneficio dei nuovi assicurati tale sarebbe la rideterminazione della quota retributiva della pensione secondo i criteri delle menzionate delibere del 2002-2003 della Cassa. Ma ciò non è dato approfondire atteso che nella specie il trattamento pensionistico è maturato prima del 1° gennaio 2007, quando non era ancora operante la modifica dell'articolo 3, comma 12,1. numero 335/95. 14. Inoltre è prevista - nell'articolo 1, comma 763 - una clausola di salvezza per la precedente normativa regolamentare delle Casse. Questa salvezza non sta a significare validazione ex post della normativa regolamentare della Cassa nella parte in cui non ottemperava all'ampia prescrizione del rispetto del principio del prò rata per l'obiettiva irragionevolezza intrinseca che ne conseguirebbe in disparte la violazione dell'affidamento nella stabilità della normativa vigente che ha una valenza particolare nella materia pensionistica per la possibilità di un'interpretazione costituzionalmente orientata di tale disposizione v. C. cost. numero 263 del 2009 . Infatti non potrebbero coesistere - per la contraddizione che non lo consente - due prescrizione opposte da una parte sancire l'obbligo per le Casse di tener presente il principio del prò rata nella propria normativa regolamentare futura, ossia successiva al 1° gennaio 2007 d'altra parte consentire, come legittima ex lune e quindi intanto operante fino ad nuovo esercizio del potere regolamentare delle Casse una precedente normativa regolamentare che non abbia ottemperato alla prescrizione del rispetto del principio del prò rata , quale che sia lo scostamento da tale obbligo. Invece la salvezza prevista dalla legge finanziaria del 2006 sta a significare non già che sono sanate precedenti violazioni di legge, ma solo che le precedenti deliberazioni adottate dalle Casse privatizzate sono valutate, a partire dall'entrata in vigore della legge finanziaria 1 gennaio 2007 , avendo come parametro di legittimità il nuovo comma 12 dell'articolo 3 citato, senza necessità di essere reiterate peraltro poi la Cassa ha comunque reiterato, con una successiva delibera del 24-25 giugno 2011, la normativa regolamentare precedente . Si tratta quindi nel complesso di innovazioni che, operando ex nunc, riguardano le pensioni maturate a partire dal 1° gennaio 2007 e pertanto non rilevano in questa controversia che ha ad oggetto un trattamento pensionistico maturato prima di tale data. 15. Neppure rileva, ancora ratione temporis, nel presente giudizio lo jus superveniens costituito dall'articolo 24, comma 24, decreto legge 6 dicembre 2011 numero 201, convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, L. 22 dicembre 2011, numero 214, che, nel dettare per le Casse privatizzate ex d.lgs. numero 509 del 1994 ulteriori prescrizione per assicurare l'equilibrio tra entrate contributive e spesa per prestazioni pensionistiche, ha generalizzato, quanto all'applicazione del pro-rata agli iscritti alle relative gestioni, il sistema contributivo comma 2 del medesimo articolo 24 in mancanza di diversa disciplina regolamentare della Cassa stessa. 16. Un'ultima considerazione. La B., nel suo appello incidentale, aveva sostenuto l'applicabilità anche della clausola di garanzia di cui all'articolo 1, comma 13, legge numero 335 del 1995 secondo cui gli assicurati che abbiano un'anzianità contributiva maggiore di 18 anni continuano ad avere esclusivamente il regime retributivo. La Corte d'appello non solo ha rigettato l'appello principale della Cassa, che poneva le questioni finora esaminate, ma ha anche accolto accolto l'appello incidentale dichiarando illegittimo il criterio di calcolo con il sistema contributivo applicato alla pensione della B. per il periodo successivo al 1° gennaio 1994. A rigore però questa specifica clausola di garanzia articolo 1, comma 13 riguarda i regimi pensionistici pubblicistici per i quali è la riforma del 1995 a segnare il passaggio dal regime retributivo a quello contributivo non riguarda invece i regimi pensionistici delle Casse privatizzate per i quali tale passaggio è solo prefigurato in vista di una futura riforma, come previsto dall'articolo 3, comma 12, che sia nella nuova che nella vecchia formulazione prevede che Gli enti possono optare per l'adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge . Nel caso della Cassa ricorrente questa riforma interviene soltanto nel 2003 con le citate delibere del 2002-2003 a partire dal 1° gennaio 2004. Quindi per gli enti di cui all'articolo 3, comma 12, la clausola di garanzia per i vecchi assicurati nel caso di passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo come anche, più semplicemente, nel caso di nuova disciplina del sistema retributivo in termini meno favorevoli la clausola di garanzia è costituita solo dal principio del prò rata e non anche dalla prorogata applicabilità del regime retributivo. Comunque nella specie il problema non deve essere affrontato perché il ricorso della Cassa non censura, in questa parte, la sentenza della corte d'appello di Milano che, in accoglimento del ricorso incidentale, ha escluso l'applicabilità del criterio contributivo per il periodo successivo al 1° gennaio 2004. 17. In conclusione il ricorso principale va quindi rigettato con l'affermazione del seguente principio di diritto «Nel regime dettato dall'articolo 1, comma 12, legge 8 agosto 1995, numero 335 di riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare , prima delle modifiche a tale disposizione apportare dall'articolo 1, comma 763, legge 27 dicembre 2006, numero 296 legge finanziaria 2007 , la garanzia costituita dal principio ed. del prò rata - il cui rispetto è prescritto per le casse privatizzate ex d.lgs. 30 giugno 1994, numero 509, nei provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico, in termini peggiorativi per gli assicurati, in modo che siano salvaguardate le anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti - ha carattere generale e trova applicazione anche in riferimento alle modifiche in peius dei criteri di calcolo della quota retributiva della pensione e non già unicamente con riguardo alla salvaguardia, ratìone temporis, dei criterio retributivo rispetto al criterio contributivo introdotto dalla normativa regolamentare delle Casse. Pertanto con riferimento alla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali e alle modifiche regolamentari adottare con delibere del 22 giugno 2002, 7 giugno 2003 e 20 dicembre 2003, che, nel complesso, hanno introdotto il criterio contributivo distinguendo, per gli assicurati al momento della modifica regolamentare, la quota A di pensione, calcolata con il criterio retributivo, e la quota B, calcolata con il criterio contributivo, opera - per il calcolo della quota A - il principio del prò rata e quindi trova applicazione i previgente più favorevole criterio di calcolo la media di 15 redditi professionali annuali più elevati nell'arco di 20 anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione, e non già la media dei redditi degli ultimi 24 anni». 18. Il ricorso incidentale, sulle spese processuali, è invece fondato quanto al secondo motivo non avendo la corte d'appello motivato in ordine al regolamento delle spese del grado. La sentenza impugnata va quindi cassata limitatamente a tale punto e, decidendo nel merito, le spese del grado vanno riliquidate nella misura indicata in dispositivo. Va invece ritenuta legittima la compensazione delle spese di primo grado stante l'incertezza giurisprudenziale, soprattutto della giurisprudenza di legittimità sicché va rigettato il secondo motivo del ricorso incidentale. 19. La cassa intimata - che è soccombente in massima parte - va anche condannata al pagamento delle spese di questo giudizio in favore della parte ricorrente nella misura liquidata in dispositivo. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi rigetta il ricorso principale accoglie il ricorso incidentale quanto al secondo motivo, rigettato il primo motivo cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna la Cassa al pagamento delle spese del grado d'appello che liquida in euro 3.000,00 per onorario d'avvocato, in euro 1.493,00 per diritti e in euro 32,50 per spese, oltre accessori di legge. Condanna la Cassa al pagamento delle spese di questo giudizio che liquida in euro 50 cinquanta per esborsi ed euro 3.000,00 per onorario d'avvocato, oltre IVA, CPA e spese generali.