L’omessa adozione di tutte le misure di prevenzione conosciute all’epoca dei fatti, necessarie ad impedire l’insorgere della malattia nella specie mesotelioma pleurico , costituisce responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 c.c. questi sarà tenuto al risarcimento dei danni subiti dal lavoratore e per esso jure hereditatis dagli aventi causa.
Lo spiega la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, nella sentenza numero 8655/12, pubblicata il 30 maggio. La fattispecie esaminata. Gli eredi legittimi di lavoratore deceduto a causa di mesotelioma pleurico adivano il Tribunale del lavoro al fine di ottenere il risarcimento del danno biologico e morale patito in vita dal de cuius , tenuto conto che la patologia insorta era dipesa da responsabilità del datore di lavoro, il quale aveva omesso di adottare le prescrizioni generali di tutela della salute del lavoratore, ex articolo 2087 c. c., nonché quelle specifiche dettate dalle leggi speciali in materia. Il primo giudice accoglieva la domanda, ravvisando la responsabilità del datore di lavoro. Proponeva appello quest’ultimo e la Corte d’Appello riformava parzialmente, rideterminando per difetto l’entità del risarcimento. Il datore di lavoro proponeva in Cassazione ricorso, articolato in otto motivi di impugnazione. Le valutazioni espresse dal ctu non sono vincolanti per il giudice. Un primo motivo di censura riguarda la valutazione data dal giudice di merito alle conclusioni tratte dal ctu in relazione alla prevenzione del mesotelioma. Il Tribunale e così la Corte territoriale in grado d’appello si era discostato dalle conclusioni del ctu, laddove aveva ritenuto che la vera prevenzione della patologia si aveva unicamente con l’eliminazione totale dell’amianto. Al contrario, i giudici di merito avevano ravvisato la pericolosità dell’amianto per la salute umana e la sua correlazione con patologie tumorali. Non poteva dunque andare esente da responsabilità il datore di lavoro che non aveva approntato le misure di prevenzione della patologia conosciute all’epoca di riferimento pur senza giungere alla soluzione estrema della eliminazione dell’agente nocivo, come prospettato dal ctu. La Suprema Corte afferma che ben può il giudice di merito discostarsi dalle conclusioni cui giunge il proprio ausiliario, purché dia motivazione logica e corretta. Non hanno infatti efficacia vincolante le valutazioni espresse dal consulente per il giudice, il quale può legittimamente disattenderle, qualora fornisca adeguata motivazione del proprio convincimento. Nel caso specifico la Corte territoriale, con motivazione logica ed immune da vizi, ha motivato la non condivisione delle valutazioni rese dal ctu. L’articolo 2087 c.c. non introduce una responsabilità oggettiva La costante giurisprudenza della Corte di Cassazione individua il disposto dell’articolo 2087 c.c. quale norma sussidiaria, integrativa e di chiusura delle ulteriori normative specifiche atte a tutelare il lavoratore e prevenire eventi dannosi alla sua integrità fisica e morale. La responsabilità derivante dalla predetta norma non è di carattere oggettivo, ma è volta a sanzionare l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte le misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio. ma è norma di carattere generale, di chiusura. La Suprema Corte ha costantemente considerato l’articolo 2087 c.c. quale principio generale, norma di chiusura, posta a salvaguardia della salute del lavoratore. Si vedano in proposito, tra le tante, le pronunce nnumero 4804/2012 e 6337/2012, recentemente oggetto di commento in questa rassegna giurisprudenziale. Come peraltro posto in rilievo anche dalla Corte Costituzionale nella sentenza numero 399/1996, non soltanto le norme costituzionali articolo 32 e 41 Cost. impongono al datore di lavoro di tutelare la salute e l’integrità dei lavoratori, ma anche le numerose norme specifiche in materia e appunto l’articolo 2087 c.c La protezione della persona fisica e morale del lavoratore è oggetto del debito contrattuale del datore di lavoro debito di sicurezza cioè obbligo di prevenzione, di messa in atto di ogni misura utile, nella specifica situazione operativa, a garantire il diritto soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi. Il datore di lavoro deve fare il possibile per tutelare la salute del lavoratore. Ecco così che nel caso specifico la dannosità per la salute umana delle fibre di amianto era ben conosciuta da decenni. E il datore di lavoro non potrà andare esente da responsabilità ove non adotti tutte le cautele in chiave preventiva conosciute all’epoca di riferimento dei fatti di causa. Accertato che l’ambiente di lavoro in cui aveva operato il dipendente non aveva i caratteri di salubrità necessari per garantire una piena tutela della salute e appurato il mancato rispetto da parte datoriale della normativa specifica all’epoca vigente in ambito di prevenzione della patologia tumorale insorta – quale l’adozione di aspiratori d’aria o di dispositivi di protezione personale strumenti comunque di utilità per la prevenzione del mesotelioma, come riferito dal ctu –, la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso, conclude nell’affermare la responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 c.c. per la patologia contratta dal lavoratore.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 aprile – 30 maggio, numero 8655 Presidente Lamorgese – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte di Appello di Venezia, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, accoglieva in parte la domanda degli aventi causa di B.M., ex dipendente della società F. deceduto per mesotelioma pleurico, avente ad oggetto il risarcimento jure hereditatis del danno biologico e morale sofferto in vita dal de cuius e tanto sul presupposto che il decesso era ascrivibile a responsabilità del datore di lavoro che non aveva rispettato le prescrizioni generali di cui all'articolo 2087 c.c. e quelle specifiche poste dalla legislazione speciale. Con la predetta sentenza, inoltre, la Corte territoriale respingeva la domanda di manleva avanzata dalla società F. nei confronti terza chiamata Assicurazioni G. S.p.A. La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede ed in via di estrema sintesi, rilevava, innanzitutto, che il giudice di primo grado aveva fondato la responsabilità della società, non sulla mancata eliminazione dell'amianto, bensì sulla omessa adozione di tutte le misure all'epoca dei fatti conosciuti per rispettare la legge antinfortunistica. Precisava, poi la Corte territoriale che una volta assodata, alla stregua dei rilievi di cui alla sentenza di primo grado, la consapevolezza fin dagli inizi del 1900 della dannosità per la salute umana dell'amianto e la sua correlazione con patologie tumorali non poteva ritenersi esente da responsabilità il datore di lavoro che non aveva approntato le tutele in chiave preventiva conosciute all'epoca di riferimento per il solo fatto che la patologia specifica mesotrelioma non era compiutamente correlata all'amianto perché, comunque, era conosciuta la pericolosità di detta sostanza indipendentemente dalla patologia che ne derivava. Conseguentemente, rilevava la Corte di Appello, atteso che nella specie non risultava rispettata da parte datoriale la normativa -specificamente individuata esistente all'epoca in termini di prevenzione alla patologia che aveva determinato la morte di B.M. ne derivava la responsabilità della società anche se tali misure preventive avrebbero potuto solo ridurre il rischio di contrarre la patologia rivelatasi letale. Quanto alla criticata decisione del giudice di primo grado di aderire ad una teoria scientifica contrastante con le conclusioni del CTU, la Corte del merito, assumeva che detto giudice aveva adeguatamente motivato, nell’affrontare la teoria delle esposizioni successive o multistrato, la valutazione delle conclusioni del CTU e, quindi, ben poteva dalla stesse discostarsene. Rispetto,poi, alla riproposta questione del mancato superamento dei cd. valori limiti la Corte territoriale, osservava che prima del Dlgs numero 277 del 1991 detti valori servivano per il pagamento del premio supplementare per asbestosi, ma non afar scattare l'obbligo di ottemperare a misure generali di prevenzione che riguardavano qualsiasi lavorazione a rischio polveri e, nella specie, ora risultato che non erano state adottate nemmeno quelle misure minime richieste dalla legislazione all'epoca vigente. Il rigetto della domanda di manleva, proposta dalla società F. nei confronti della società Assicurazioni G. veniva, poi confermato dalla Corte veneziana sul rilievo che la polizza ed anche il relativo rinnovo era riferibile solo a malattie manifestatesi successivamente alla stipula dell'originario contratto e, comunque, in conseguenza di fatti avvenuti durante il periodo di assicurazione. Pertanto, trattandosi di malattia insorta antecedentemente alla stipula della polizza e per fatti avvenuti prima, la domanda in parola non poteva essere accolta. La Corte territoriale, infine, relativamente al quantum del risarcimento, rilevato che bisognava tener conto della durata della malattia sofferta dal de cuius e di un dato rapportabile a tutte le voci del danno non patrimoniale considerate unitariamente, riteneva equo di valutare come importo unitario di liquidazione del complessivo danno non patrimoniale la somma di E. -4.500,00 al mese in considerazione della estrema gravità e della afflittività della patologia e della consapevolezza del malato della ineludibile infausta conclusione della stessa. Avverso questa sentenza la società F. ricorre in cassazione sulla base di otto motivi. Resistono con controricorso gli aventi causa di M.B. i quali impugnano in via incidentale con un unica censura la predetta sentenza. Si oppone all'impugnazione incidentale la Società F. con controricorso. La società Assicurazioni G. non svolge attività difensiva. La società F. deposita memoria illustrativa. Motivi della decisione Preliminarmente va respinta l'eccezione, sollevata dalla società F. d’improcedibilità/inammissibilità del controricorso per non essere stato depositato nella cancelleria e, comunque nel termine perentorio di 20 giorni dall'avvenuta notifica avvenuta il 23.12.2010 prescritto dall'articolo 369 cpc. Invero dal certificato a firma del Direttore della Cancelleria civile di questa Corte Ufficio Depositi agli atti e dal timbro del deposito apposto a margine del controricorso si evince che questo è stato depositato presso la Cancelleria di questa Corte in data 11 gennaio 2011 e, quindi, nel termine di cui al richiamato articolo 369 cpc. I ricorsi vanno riuniti riguardando l'impugnazione della stessa sentenza. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce la estinzione e/o la sospensione del giudizio in ragione della sovrapposizione tra azione civile ed azione penale. Evidenzia al riguardo la società che, successivamente alla introduzione della presente causa civile, gli attuali resistenti hanno presentato al Tribunale penale di Venezia una costituzione di parte civile nei confronti di O.M., R.C., G.R., C.A., B.E., A.C. e B.M. che sono stati identificati nella sentenza del Tribunale Ordinario di Venezia del 22 luglio 2008 per i rispettivi ruoli rivestiti, nei vari periodi, nell'ambito da essa società e che nel detto procedimento penale veniva citato anche il responsabile civile della F. che rimaneva però contumace. Il procedimento penale,prosegue la società ricorrente, è arrivato alla declaratoria di condanna dei predetti imputati al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili liquidando altresì un provvisionale relativa tuttavia al diverso danno jure proprio ed avverso la suddetta sentenza é stato proposto appello. Tanto comporta, secondo la società ricorrente, che esistendo, tra le domande proposte dagli eredi di B.M. nel presente processo e quale parte civile nell'ambito dal processo penale, identità di petitum e causa petendi, trova applicazione l'articolo 75 cpp che impedisce il proseguimento del processo civile, ovvero l'articolo 211 disp. att. cpp che impone la sospensione del processo civile fino alla definizione del processo penale, facendo, nel presente procedimento stato la sentenza penale di condanna o di assoluzione degli imputati ex dirigenti ed amministratori della F. ai sensi degli articolo 651 e 652 cpp. La società deposita a conforto delle sue esposte osservazioni dichiarazione di costituzione di parte civile degli attori datata 24 maggio 2005 sentenza del Tribunale penale di Venezia numero 119672008 lettera 30.7.2003 e copia contabile bancaria attestante il pagamento della provvisionale del danno atto di appella contenente impugnazione da parte di tutti gli imputati della sentenza numero 1156/2009 estratti ccnl Dirigenti industria. La deduzione non è accoglibile. Invero la società ricorrente fonda il proprio assunto -svolto per la prima volta solo in questa sede di legittimità, su documenti atti a comprovare la costituzione di parte civile degli attuali resistenti nel processo penale a carico degli indicaci imputati di cui prospetta per la carica di Dirigenti dagli stessi rivestita nel tempo la coincidenza con essa ricorrente , la pendenza del procedimento penale, l'identità del petitum e della causa pretendi dell'azione civile esercitata in sede penale con quella nella presente sede, ecc. che devono ritenersi, in assenza di diversa specificazione, prodotti per la prima volta in sede di ricorso per cassazione e come tali vanno considerati inammissibili. Infatti secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte non è consentito produrre nel giudizio di Cassazione documenti che non riguardino l'ammissibilità del ricorso o la nullità in senso formale della sentenza impugnata e, quindi, neppure quei provvedimenti del giudice penale in data posteriore a tale sentenza, intesi corroborare ex. post, con l'esito di un giudizio penale o di una fase o di un grado dello stesso, tanto una censura attinente alla mancata sospensione del giudizio civile di merito, quante una censura attinente ad un preteso error in iudicando della decisione che lo abbia definito V. per tutte Cass. 15 giugno 1981 numero 3894, gennaio 1980 numero 38 cui adde Cass. 21 aprile 1975 numero 1524 secondo cui la sospensione necessaria del giudizio per la pendenza al processo penale, di cui agli articolo 295 cpc e 3 cpv, non può essere invocata e disposta in sede di legittimità, ove la dimostrazione della pendenza del processo penale debba essere fornita con la produzione di nuovi documenti, essendo questa preclusa dall'art 372 cpc, salvo che per i documenti riguardanti la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso o del controricorso . Ciò naturalmente vale anche in ordine alla prospettazione concernente la pretesa estinzione del presente giudizio. Con il secondo motivo del ricorso principale, denunciandosi illogicità ed omissioni nella motivazione, si assume che la Corte del merito nell’aderire alla teoria della dose-indipendenza non ha tenuto conto dei chiarimenti forniti dal CTU su tale punto secondo il quale la vera prevenzione del mesotelioma può passare solo attraverso l'abolizione dell'amianto. Richiama la società ricorrente, altresì, la sentenza di questa Corte numero 20142 del 2010 e la circostanza secondo la quale la Corte del merito avrebbe dedotto la rilevanza della dose dalla legislazione in materia di benefici contributivi che subordina i medesimi ad una esposizione decennale. Con la terza censura del ricorso principale, allegandosi violazione degli articolo 421,420, 6° comma, 115 cpc e 97 disp. att. cpc, si assume che la Corte di appello ha errato nel non rilevare che l'autonomia del giudice di dissentire rispetto al parere del CTU è limitata, per la salvaguardia del principio del contraddittorio, alla cultura medica espressa dal CTU o dalle parti. Con il quarto motivo del ricorso principale, prospettandosi violazione degli articolo 1218, 1223, 1225,2043, 2037 c.c. nonché 10 e 41 cpc, si critica la sentenza impugnata laddove fa capire che la responsabilità del datore di lavoro deriverebbe dalla semplice omissione di misura di cautela che avrebbe potuto ridurre il rischio senza quantificate la riduzione del rischio come se la responsabilità ex, articolo 2087 c.c. fosse di natura oggettiva. Con la quinta critica del ricorso principale, si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sul nesso di causalità e tanto sul presupposto che, come precisato dal CTU in sede di chiarimenti, l' abbattimento del rischio per il mesotelioma non e importante e, quindi, non rileva ai fini della sussistenza del nesso di causalità in mancanza anche di una indagine probabilistica. Con il sesto motivo del ricorso principale, si allega omessa motivazione in relazione all'asserita violazione di cautele rivolte alla riduzione della polverosità. Con la settima censura del ricorso principale, deducendosi violazione degli articolo 21, 4, 9 DPR numero 303 del 1956, articolo 387 del d.p.r. numero 547 del 1955, 2087, 1218, 2043, 125 e 1176 c.c., si assume l'erroneità della sentenza impugnata in relazione all'affermazione della colpa a prescindere dai limiti soglia ed alla non prevedibilità del rischio mesotelioma fino a tutto il 1960. Le censure, che in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico giuridico vanno tratte unitariamente, sono infondate. Preliminarmente occorre rilevare che costituisce principio di diritto nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno efficacia vincolante per il giudice del merito il quale può legittimamente disattenderle sempreché fornisca, in ogni caso, un adeguata motivazione del suo convincimento, rispondente ad una attenta valutazione di tutti gli elementi concreti sottoposti alla sua delibazione, indicando i criteri logici e giuridici che hanno determinato il suo giudizio V. per tutte Cass. 6 luglio 2007 numero 5263, Cass. 17 dicembre 2010 numero 25569 e Cass. 3 marzo 2011 numero 5148 . Nella specie la motivazione della sentenza della Corte di Appello che condivide le osservazioni critiche svolte dai giudice di prime grado alla tesi scientifica sostenuta dall'ausiliare, e congruamente e logicamente argomentata risultando Indicati gli elementi di cui il Collegio si è avvalso nel ritenere non condivisibili alcuni degli argomenti sui quali il consulente si è basato. Del resto, e a confutazione di quinto sostenuto dalla società ricorrente secondo la quale il giudice di appello disattendendo le conclusioni del CTU avrebbe violato il principio del contraddittorio, mette conto annotare che, nella specie, la Corte del merito, nel dissentire da alcune teorie scientifiche esposte dal CTU, non elabora per cosi dire una terza via, ma quella alternativa le cui basi scientifiche sono tratte proprio, a contrario, dalle osservazioni tecniche dell'ausiliario e con riferimento a specifici autori della scienza medica. D’altro canto lo stesso CTU, come ne dà atto il Collegio di appello, non esclude del tutto la validità è l'incidenza, nel caso di specie, della teoria c.d. dose-indipendente. La Corte del merito, infatti, nel riportare quanto osservato sul punto dal giudice di primo grado, sottolinea che il CTU precisa che idonee misure preventive di tipo ambientale aspiratori e separazione delle lavorazioni e di tipo personale dispositivi di protezione sicuramente importanti per l'abbattimento del rischio soprattutto per le patologie fortemente dose dipendenti quali asbestosi e tumore polmonare, sono di qualche utilità anche per evitare l’insorgenza del mesotelioma. Né può in questa sede valutarsi la decisività dei chiarimenti del CTU essendosi la società ricorrente, in violazione nel principio autosufficienza, limitata a riportare di tali chiarimenti solo alcuni stralci che non consentono, come tali, un pieno sindacato di legittimità. Il richiamo, poi, alla sentenza della Cassazione numero 20142 del 2010 non e dirimente in quanto in tale occasione questa Corte ha si confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno proposta dagli eredi di un lavoratore già addetto alla lavorazione dell'amianto, deceduto per mesotelioma ed esposta al rischio tra il 1953 ed il 1962, ma tanto in ragione esclusivamente della ritenuta congruità della motivazione posta a supporto del giudizio secondo il quale il rispetto delle limitate prescrizioni cautelative praticabili all'epoca dello svolgimento dell'attività lavorativa, non avrebbe impedito l'insorgere del mesotelioma in quanto malattia dose-dipendente. li riferimento, inoltre, contenuto nella sentenza di appello, alla normativa concernente i benefici contributivi è meramente rafforzativo dell'argomentazione fondamentale posta a base della motivazione sul punto in questione, sicché lo stesso non riveste un ruolo decisivo ai fini della valutazione Iella congruità della motivazione de 114 sentenza impugnata. Neppure può fondatamente assumersi, contrariamente a quanto prospettato dalla società ricorrente, che la Corte del merito abbia fondato la propria decisione sull'affermazione, ex articolo 2087 c.c., di una responsabilità oggettiva del datore di lavoro. La Corte territoriale, invero, sul punto asserisce, con motivazione coerente ed adeguata, che una volta assodato che fin dagli inizi del 1900 vi era la consapevolezza della dannosità per la salute umana dell'amianto e la sua correlazione con le patologie tumorali non può ritenersi immune da responsabilità il datore di lavoro che non appronti tutte le cautele in chiave preventiva conosciute all'epoca di riferimento per il solo fatto che la patologia specifica mesotelioma non era stata ancora compiutamente correlata all'amianto perché, comunque, era conosciuta la pericolosità di detta sostanza indipendentemente dalla patologia che ne e derivata. Su tale premessa la Corte del merito accertato che nella specie, come assento dal giudice di primo grado, l'ambiente di lavoro in cui il B. aveva svolto la propria attività non aveva i caratteri della salubrità necessari per garantire una piena tutela della salute ed accertato il mancato rispetto da parte datoriale della normativa specificamente individuata esistente all'epoca In termini di prevenzione rispetto alla patologia che aveva determinato la morte di B.M., ritiene, anche in considerazione di quanto asserito dal CTU secondo il quale come visto in precedenza idonee misure preventive di tipo ambientale aspiratori e separazione e delle lavorazioni e di tipo personale i dispositivi di protezione sono di qualche utilità anche per evitare l'insorgenza del mesotelioma, la responsabilità della società F. Tanto da conto non solo della adeguatezza e coerenza della motivazione della sentenza impugnata, ma anche della sua correttezza giuridica. È infatti, giurisprudenza consolidata di questa Corte l'affermazione del principio secondo il quale la responsabilità dell'imprenditore ex articolo 2087 c.c., pur non essendo dì carattere oggettivo, deve ritenersi volta a sanzionare l’omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenute conto del concreto tipo da lavorazione e del connesso rischio Cass. 1 febbraio 2003 numero 249 dove sulla base del richiamato principio questa Corte ha confermato la sentenza della Corte territoriale che, con completa e coerente motivazione, aveva affermato la responsabilità, ex articolo 2087 c.c., del datore di lavoro, esattamente considerato come noto al tempo lei fatti di causa 1975/1993 il rischio da inalazione di polveri di amianto e rilevando l'insufficienza di un torrino d'aspirazione predisposto dall'imprenditore nonché ravvisando il danno biologico nel semplice pericolo cagionato da un'alterazione anatomica pur non avente attuale incidenza funzionale- Casa. 17 luglio 2011 numero 15156 e, sostanzialmente nello stesso senso, Cass. 14 gennaio 2005 numero 644 . Né può non rilevarsi che tutte le altre diffuse argomentazioni della società ricorrente tendono ad ottenere da questa Corte di legittimità una nuova, impossibile valutazione delle prove e dei fatti di causa. Con l'ottavo motivo del ricorso principale, allegandosi violazione degli articolo 562 e seg. c.c. in relazione alle all'interpretazione del contratto di assicurazione nonché, sullo stesso punto, vizio di motivazione, si deduce, innanzitutto, che non è logicamente compatibile con l'afférmazione relativa alla dose dipendenza la motivazione della sentenza impugnata secondo la quale la polizza sarebbe inoperante avendo preso effetti diversi anni dopo l'inizio dell'esposizione del B. Si assume poi, tre l'interpretazione fornita dalla Corte del merito della polizza è contraddetto dalla lettera dell'11 maggio 1992 che genericamente fa riferimento a tutti i danni e le malattie verificatesi antecedentemente alla riforma della polizza, senza limitazioni al periodo successivo al 1987. La censura non è scrutinabile. Invero la società ricorrente pur deducendo che l'interpretazione fornita dalla Corte del merito della polizza è contraddetta dalla lettera dell'11 maggio 1992, non trascrive, in violazione del principio di autosufficienza, nel ricorso il testo di tale missiva impedendo in tal modo qualsiasi sindacato di legittimità al riguardo. Né risultano riportato nel ricorso le clausole della polizza. Sulla base delle esposte considerazioni, pertanto, il ricorso principale va rigettato. Con il ricorso incidentale, denunciandosi violazione degli articolo 2043, 2056, 1223 e 1226 c.c., si allega l'inadeguatezza del quantum liquidato dalla Corte del merito a titolo di risarcimento del danno sottolineandosi che in siffatta quantificazione non si è tenuto conto della peculiarità del caso concreto ed in particolarità della gravità delle lesioni, degli eventuali postumi permanenti, dell'età, dell'attività espletata e delle condizioni familiari e sociali del danneggiato. Si richiamano al riguardo le tabelle indicative del Tribunale di Venezia. La censura è infondata. La Corte del merito, infatti, procedendo, alla stregua della sentenza Sezioni Unite civili di questa Corte dell'11 novembre 2008 numero 26972 alla liquidazione del danno non patrimoniale senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, ha adottato il criterio equitativo puro articolo 1226 cc ossia svincolato da tabelle standardizzate e criteri automatici tenendo conto in particolare della estrema gravità ed afflittività della patologia e della consapevolezza da parte del malato della ineludibile conclusione -infausta della stessa. La sentenza della Corte del merito è, quindi, corretta in diritto essendo conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il giudice, nella liquidazione del danno, deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dal punto di vista oggettivo e soggettivo ben potendo legittimamente far ricorso al richiamato criterio equitativo puro cfr. per tutte Cass. 21 aprile 2011 numero 9238 e Cass. 14 settembre 2010 numero 19517 . La sostanziale soccombenza della società F. giustifica la sua condanna al pagamento in favore dei resistenti delle spese del giudizio di legittimità. Nulla deve disporsi in relazione alla società Assicurazioni G. non avendo questa società svolto attività difensiva. P.Q.M. Riuniti i ricorsi li rigetta e condanna la società F. al pagamento, in favore dei resistenti, della spese del giudizio di legittimità liquidate in E. 40,00 per esborsi ed E. 3000,00 per onorario oltre IVA, CPA e spese generali. Nulla per le spese nei confronti della società Assicurazioni G.