Inadempimento dell’utilizzatore: come determinare il risarcimento del danno?

Il risarcimento del danno non deve essere commisurato alla differenza necessaria per raggiungere il vantaggio che il concedente si attendeva, perché questi, recuperando anticipatamente il bene e potendolo reimpiegare, può ottenere un utile che deve essere sottratto dal corrispettivo che l’utilizzatore avrebbe dovuto pagare se avesse adempiuto.

La vicenda. La fattispecie al centro della controversia oggetto della pronuncia è abbastanza lineare in quanto tratta di un utilizzatore che, nell’ambito di un contratto di leasing traslativo, risultava inadempiente riguardo al pagamento delle rate relative a otto autocarri per un corrispettivo totale superiore a 830.000 euro. La società concedente, dopo aver ottenuto la restituzione dei mezzi che aveva provveduto a rivendere ricavandone più di 480.000 euro, aveva fatto istanza di decreto ingiuntivo di pagamento per la somma ancora dovuta pari a circa 160.000 euro, oltre alle rate già corrisposte dall’utilizzatrice pari a circa 165.000 euro. Il giudice di prime cure rigettava l’opposizione proposta dall’ingiunto. La Corte d’Appello di Trento respingeva l’opposizione dell’utilizzatore, il quale dunque ricorreva in Cassazione lamentando la mancata riduzione secondo equità da parte del giudice della clausola penale con cui nel contratto le parti avevano definito il risarcimento del danno in caso di inadempimento. Inoltre l’utilizzatore denunciava la mancata applicazione del principio per cui il risarcimento del danno subito dal concedente dopo che questi ha recuperato il capitale monetario non deve essere valutato rispetto all’intera differenza occorrente per ottenere il guadagno inizialmente previsto. La disciplina applicabile. In proposito occorre ricordare come sia oramai pacifico in giurisprudenza che la risoluzione del contratto di leasing c.d. traslativo per inadempimento dell’utilizzatore è soggetta all’applicazione, in via analogica, delle disposizioni fissate dall’articolo 1526 c.c. con riguardo alla vendita con riserva della proprietà si veda tra le altre Cass. 19697/2008 . Pertanto, da un lato, il venditore deve restituire i canoni riscossi, dall’altro, ha diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno. Dall’applicazione dell’articolo 1526, comma 2, in caso di risoluzione del contratto per l’inadempimento del compratore, discende il potere del giudice di ridurre l’indennità convenuta “secondo le circostanze”, da intendersi in relazione all’individuazione di una eccessiva sproporzione tra l’ammontare delle rate riscosse ed il contenuto della pretesa risarcitoria che spetterebbe, allo scopo di prevenirla. La determinazione dell’equo compenso per scongiurare l’ingiusto arricchimento. L’articolo 1526 c.c., come precisato dalla sentenza in commento, non indica criteri interpretativi ma riconosce al giudice del merito l’apprezzamento di fatto, potendo incidere in via equitativa sull’equilibrio contrattuale, come soluzione per evitare indebiti arricchimenti a danno dell’utilizzatore e dei suoi creditori come osservato anche dalla Cass. numero 4969/2007 . Considerando la concreta determinazione dell’importo dell’equo compenso, quindi, questo potrà legittimamente superare il corrispettivo del temporaneo godimento del bene. Mentre, una volta recuperato, da parte del concedente il capitale monetario investito nell’operazione in vista del lucro corrispondente tramite il compenso ed il residuo valore del bene, il risarcimento del danno non sarà rapportato all’intera differenza necessaria per realizzare il guadagno previsto. Infatti, attraverso l’anticipato recupero del bene e del suo valore, il concedente è in grado di ottenere, mediante il reimpiego di quel valore, un utile proporzionale, che deve essere quindi calcolato in detrazione rispetto alla somma che l’utilizzatore stesso avrebbe ancora dovuto pagare nel caso in cui il rapporto fosse continuato. Le suddette circostanze devono interpretarsi con riferimento all’individuazione di una eccessiva sproporzione tra l’ammontare delle rate riscosse ed il contenuto della richiesta di risarcimento, avvalora una lettura degli articolo 1384 e 1526 c.c. costituzionalmente orientata dai principi di solidarietà ed equità sostanziale ai quali anche gli atti di autonomia contrattuale devono subordinarsi. Infatti, come sostenuto dalle Sezioni Unite numero 18128/2005, in relazione all’ipotesi di riduzione giudiziale della clausola penale ai sensi dell’articolo 1384 c.c., il potere di controllo appare attribuito al giudice non nell’interesse della parte ma nell’interesse dell’ordinamento, per evitare che l’autonomia contrattuale superi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti è meritevole di tutela da parte dell’ordinamento. Applicazione al caso concreto non vi è ingiusto arricchimento della concedente. Considerando la fattispecie oggetto della controversia in esame, si osserva che l’importo percepito dalla società concedente risulta inferiore a quello che essa stessa avrebbe conseguito in caso di fisiologica esecuzione del contratto, se l’utilizzatrice fosse stata adempiente. Inoltre la S.C. osserva come sia irrilevante nel valutare la complessiva economia del contratto quanto corrispettivo l’utilizzatrice avesse versato per l’uso relativo ad un solo anno, dovendo invece considerarsi l’utilità ricavata o la perdita subita dal contraente che ha adempiuto regolarmente al contratto, ovvero dalla società concedente. Di conseguenza nel caso in specie le circostanze in base alle quali, secondo l’articolo 1526, comma 2, c.c., il giudice ha la facoltà di ridurre l’ammontare della somma che può essere trattenuta da chi si avvale della penale non sono ritenute tali da poter esercitare il potere officioso. Infatti non si realizza né l’acquisizione di un maggior vantaggio rispetto a quello esistente all’atto della stipulazione del contratto, né uno svantaggio, con un indiretto effetto premiale per il contraente inadempiente.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 gennaio – 7 febbraio 2012, numero 1695 Presidente Trifone – Relatore Amatucci Svolgimento del processo 1.- Risultata l'utilizzatrice Trasporti Botti s.c.a.r.l. inadempiente in ordine al contratto col quale Scania Finace Italy s.p.a. un anno prima 10-11/7/2003 le aveva concesso in leasing traslativo otto autocarri per il corrispettivo complessivo di Euro 835.176,00 da corrispondersi in 48 rate, la concedente, dopo aver ottenuto la restituzione dei mezzi che aveva rivenduto al prezzo di Euro 486.400,00, nell'ottobre del 2005 richiese nei confronti della debitrice principale e dei fideiussori E B. , B.R. ed A M. decreto ingiuntivo di pagamento di Euro 159.74 9,54, che affermò ancora dovuti in aggiunta alla somma di Euro 163.399,37 già versata dall'utilizzatrice. Gli ingiunti proposero opposizione, rigettata dal tribunale di Trento con sentenza del 3.8.2007. 2.- La corte d'appello di Trento ha respinto il gravame dei soccombenti con sentenza numero 869/09 del 4.8.2009, avverso la quale gli stessi ricorrono per cassazione affidandosi a due motivi, cui resistono con unico controricorso gli intimati diversi dal fallimento della società Trasporti Botti, che non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 1.- Col primo motivo sono denunciate violazione e falsa applicazione dell'articolo 1526 c.c. carenza e contraddittorietà della motivazione in relazione all'applicazione dell'articolo 1526 c.c. per avere la corte d'appello omesso di ridurre le indennità convenute e/o la penale, discostandosi - dal principio secondo il quale, nel leasing traslativo, sebbene debba dirsi lecita, in quanto espressione dell'autonomia negoziale di cui all'articolo 1382 c.c., la clausola penale con cui le parti abbiano regolamentato la misura del risarcimento del danno, per l'ipotesi dell'inadempimento contrattuale, in maniera difforme dal regime legale di cui all'articolo 1526 c.c., non può tuttavia ammettersi che la restituzione del bene e il versamento della penale si cumulino tra loro sino a superare, insieme, l'utilità che la regolare esecuzione del contratto avrebbe comportato per il concedente è richiamata, Cass., numero 196/2008 - dal principio secondo il quale, recuperato da parte del concedente il capitale monetario impegnato nell'operazione in vista del corrispondente guadagno mediante il detto compenso ed il residuo valore del bene, il risarcimento del danno non si presta ad essere commisurato all'intera differenza necessaria per raggiungere il guadagno atteso, poiché con l'anticipato recupero del bene e del suo valore il concedente è di norma in grado di procurarsi, attraverso il reimpiego di quel valore, un proporzionale utile che deve conseguentemente essere calcolato in detrazione rispetto alla somma che l'utilizzatore stesso avrebbe dovuto corrispondere se il rapporto fosse proseguito sono citate Cass., nnumero 4969/2007 e 574/2005 . 1.1.- Il motivo è infondato. Nessuno dei principi richiamati si attaglia al caso di specie, connotato - secondo i dati contenuti nello stesso ricorso e pur senza tener conto delle spese affrontate dal concedente per la riparazione di uno dei mezzi - da un complessivo importo percepito dalla concedente Euro 159.74 9,54 + 163.399,37 + 486.400,00 = 809.548,91 inferiore a quello di Euro 835.176,00 che avrebbe conseguito se l'utilizzatrice non fosse stata inadempiente. Che, poi, il notevole anticipo col quale la concedente aveva percepito il diverso minore importo fosse tale da autorizzare a configurare comunque un utile maggiore di quello che sarebbe derivato dalla fisiologica esecuzione del contratto è questione di puro fatto, sulla quale non si afferma in ricorso che gli appellanti avessero, sulla scorta di una puntuale censura formulata in appello, sollecitato una specifica statuizione della corte di merito. 2.- Col secondo motivo sono dedotti violazione dei criteri ermeneutici dell'articolo 1526 c.c. vizio di motivazione errore di logica giuridica motivazione incongrua e incoerente per non avere la corte d'appello ritenuto nulla la clausola di cui all'articolo 18 delle condizioni generali la società potrà richiedere anche in via monitoria il pagamento di una penale che tenga conto dei canoni scaduti detratta la somma risultante dalla valutazione del bene effettuata dal concessionario nazionale per l'Italia della casa costruttrice e per non aver considerato che, per un solo anno di uso, l'utilizzatrice era stata costretta a versare circa il 40% del corrispettivo pattuito. 2.1.- Anche questo motivo è infondato. In disparte i rilievi che l'articolo 1526 c.c. non detta criteri ermeneutici come gli articoli 1362 e ss. c.c. ma rimette al giudice del merito l'apprezzamento di fatto circa il possibile esercizio del potere di riduzione, che l'errore di logica giuridica non è contemplato dall'articolo 360 c.p.c. che connota il giudizio di cassazione come un giudizio a critica vincolata, e che l'incongruità o l'incoerenza della motivazione in tanto rilevano in quanto quei difetti si traducano in una mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione stessa su una quaestio facti , il primo profilo di censura si infrange contro i principi citati e le considerazioni svolte in ordine al primo motivo mentre il secondo adduce una circostanza in se stessa irrilevante nella complessiva economia del contratto, dove rileva non tanto quanto abbia pagato il contraente inadempiente per un uso limitato nel tempo, quanto piuttosto quale sia stata l'utilità ricavata ovvero la perdita subita dal contraente che abbia dato regolare esecuzione al contratto. Ma di tanto s'è già detto nello scrutinio del primo motivo. 3.- Il ricorso è respinto. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese, che liquida in Euro 6.200, di cui 6.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.