Nell'accertamento della consistenza dell'organico, i lavoratori a tempo parziale devono essere computati «nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno», e l'arrotondamento opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 18287, depositata il 25 ottobre 2012. Il caso. I giudici di merito dichiaravano illegittimo il licenziamento intimato ad una lavoratrice e condannavano l'azienda al pagamento di 2,5 mensilità di retribuzione, ritenendo applicabile la tutela obbligatoria, dal momento che l'azienda occupava 14 lavoratori a tempo pieno e due part-time a 25 ore, respingendo però la domanda di risarcimento danni, vista la non lesività delle condotte del datore di lavoro o comunque non inquadrabili entro lo schema di un comportamento costituente abuso del rapporto gerarchico. La Corte del merito aveva rilevato che l'articolo 18 della l. numero 300/70 Statuto dei Lavoratori prevedeva che, ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al comma 1, «doveva tenersi conto anche dei lavoratori assunti part-time per la quota di orario effettivamente svolto, considerando che il computo delle unità lavorative faceva riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva di settore». Nel computo rientrano anche i lavoratori part-time La S.C., dal canto suo, confermando quanto sostenuto dai giudici territoriali, ha affermato che «con riferimento ai lavoratori assunti part-time la norma di cui all’articolo 18, comma 2 dello Statuto dei Lavoratori prevede che essi debbano essere computati per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva di settore». in proporzione alla sola quota di orario effettivamente svolto. Più precisamente, gli stessi Ermellini, richiamando precedenti decisioni di legittimità Cass. numero 6754/2008 , ha affermato che «ai fini dell'operatività della disciplina riguardante il regime di stabilità reale, il requisito dimensionale dell'impresa in rapporto al numero dei dipendenti occupati, stabilito dall’articolo 18 l. numero 300/1970, come modificato dall'articolo 1 l. numero 108/1990, deve tenere conto dei lavoratori a tempo parziale in proporzione della sola quota di orario effettivamente svolto e tale modalità di calcolo va applicata, per non incorrere in irragionevoli e quindi costituzionalmente illegittime disparità di trattamento, anche in riferimento a periodi precedenti all'entrata in vigore dell'articolo 6 d.lgs. numero 61/2000, che una siffatta regola ha esplicitato». La Corte rigetta tutti i motivi di ricorso e compensa le spese tra le parti.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 28 settembre – 25 ottobre 2012, numero 18287 Presidente Roselli – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 5.3.2008, la Corte di Appello di Torino respingeva il gravame proposto dalla s.p.a. CO.IM. Italia Holding e quello incidentale della lavoratrice avverso la sentenza di primo grado che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a D.B.L. , ritenuto di natura disciplinare condannato l'azienda al pagamento di 2,5 mensilità di retribuzione, ritenendo applicabile la tutela obbligatoria, dal momento che l'azienda occupava quattordici lavoratori a tempo pieno e due part time a 25 ore, e respinto la domanda di risarcimento dei danni, rilevando che non fossero emerse condotte del datore di lavoro lesive o inquadrabili entro lo schema di un comportamento costituente abuso del rapporto gerarchico. Rilevava, quanto all'appello incidentale, che nella lettera di recesso del 25.9.2006 era rinvenibile la chiara volontà dell'azienda di addebitare alla lavoratrice mancanze connesse con lo svolgimento dell'attività e violazioni delle norme di organizzazione del lavoro e non il riferimento a ragioni giustificative del recesso inerenti all'attività produttiva che incidessero sulla posizione della lavoratrice. Con riguardo all'appello principale, la Corte del merito rilevava che l'articolo 18 della legge 300/70 prevedeva che, ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro di cui al primo comma, doveva tenersi conto anche dei lavoratori assunti part time per la quota di orario effettivamente svolto, considerando che il computo delle unità lavorative faceva riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva di settore e che le altre norme in rilievo nella fattispecie, ed in particolare l'articolo 6, 1 comma D. lgs 61/2000, come risultante dalla nuova formulazione introdotta dall'articolo 1 comma 1 lett. D del d. lgs 100/2001, avevano previsto che, nelle ipotesi in cui si rendeva necessario l'accertamento della consistenza dell'organico, i lavoratori a tempo parziale venissero computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno, e che l'arrotondamento operasse per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno. Riteneva che tra la norma statutaria e quella del decreto legislativo vi fosse un rapporto di integrazione e non di specialità e che la nuova disciplina indicasse inequivocabilmente la volontà del legislatore di estendere l'applicabilità della disposizione, e quindi il meccanismo dell'arrotondamento, a tutte le ipotesi in cui si ponesse la necessità di accertare la consistenza dell'organico, risultando infondata anche la tesi secondo cui l'articolo 6 del D. Lgs. citato esaurirebbe la sua disciplina all'interno del'istituto del tempo parziale, senza estendersi a regolare la questione del regime di tutela applicabile. Con la nuova formulazione della disposizione, peraltro, i lavoratori a tempo parziale andavano computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all'orario svolto, prendendo in considerazione la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno, effettuando l'arrotondamento non sull'orario del singolo lavoratore part time, ma sulla somma degli orari di tutti i lavoratori part time in forza all'azienda. Nel caso specifico la somma degli orari dei lavoratori part time era pari a 50 minuti, che comprendevano una unità oraria di 40 minuti ed una frazione di 10 minuti, di talché i quattordici dipendenti salivano a quindici, dal momento che i dieci minuti venivano portati a zero con arrotondamento per difetto. Per la cassazione di tale decisione ricorre la D.B. con unico articolato motivo, illustrato con memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Resiste con controricorso la società, che propone ricorso incidentale, affidato a tre motivi illustrati anche essi con memoria. Motivi della decisione Va, preliminarmente, disposta la riunione dei giudizi, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c. Con l'unico motivo del ricorso principale, D.B.L. denunzia, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c, violazione dell'articolo 18, 2 comma, legge 300/70 e falsa applicazione dell'articolo 6 comma 1 del d. lgs. 61/2000 circa il criterio di computo dei dipendenti a tempo parziale, ai fini dell'applicazione della tutela reale contro i licenziamenti illegittimi e, con riferimento all'articolo 360 numero 5 c.p.c, deduce omessa ed insufficiente motivazione sul rapporto tra le due norme citate. Osserva che il meccanismo dell'arrotondamento della frazione eccedente la somma degli orari individuali corrispondenti ad una unità intera di orario a tempo pieno è previsto dall'articolo 6 D. lgs 61/2000, di attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEP e dalla CES, come criterio da adottare per il computo dell'organico dei dipendenti comprendente lavoratori a tempo parziale, indifferentemente intesi come categoria, senza distinzione tra gli assunti a tempo parziale indeterminato e gli assunti a tempo parziale a termine, laddove l'articolo 18, comma 2, dello Statuto dei Lavoratori, in relazione all'individuazione del regime di tutela applicabile, non prevede alcun criterio di arrotondamento della frazione di orario eccedente il numero intero esprimente la somma degli orari individuali e considera i soli lavoratori assunti con contratto a tempo parziale indeterminato, escludendo dal computo gli assunti con contratto a tempo parziale determinato. Assume che l'articolo 18 costituisce evidente norma particolare o speciale, volta a regolamentare la garanzia della stabilità del posto di lavoro per i lavoratori illegittimamente licenziati escludendo i lavoratori a tempo parziale a termine e che il silenzio del secondo comma dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori circa il meccanismo dell'arrotondamento della frazione eccedentaria non autorizza a far ritenere che tale meccanismo possa essere stato introdotto dalla nuova disposizione di cui all'articolo 6 d. lgs. 61/2000, la quale, nel ribadire il principio dell'arrotondamento, ne stabilisce l'applicabilità a tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico. Aggiunge che il disposto dell'articolo 18 non è stato modificato dal legislatore e che l'articolo 6 del D. lgs. 61/2000 non contiene alcuna normativa specifica sui licenziamenti individuali, che le due normative hanno finalità ed ambiti propri che non consentono sovrapposizioni, salvo che non si voglia pervenire, proprio per l'effetto integrativo, ad ipotizzare una abrogazione della esclusione contenuta espressamente nella norma statutaria ed affermare la estensione della base di calcolo, ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro, immettendovi anche i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato parziale. Per affermare una siffatta tesi, la ricorrente non ritiene sufficiente il riferimento alla sola ampiezza della locuzione per cui il criterio stabilito dal D. lgs. numero 61/2000 si applicherebbe in tutte le ipotesi in cui per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico , in quanto l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori costituisce una disciplina speciale a tutela del lavoratore licenziato e l'ipotetica abrogazione dell'articolo 18, 2 comma, per la parte in cui esclude dal computo i lavoratori a tempo parziale determinato e prevede il superamento dell'unità sol perché la somma delle quote superi l'orario previsto dalla contrattazione collettiva, potrebbe sostenersi solo in forza dei principi stabiliti dall'articolo 15 disp prel c. c Osserva, però, al riguardo che nessuna delle ipotesi ivi previste sia riscontrabile nella fattispecie, non essendovi né una abrogazione espressa, né una incompatibilità, né una nuova regolamentazione dell'intera materia relativa alla tutela reale dei lavoratori illegittimamente licenziati. Con quesito formulato ai sensi dell'articolo 366 bis c.p.c, domanda se permanga nel nostro ordinamento la disciplina dell'articolo 18 l. 300/70 comma 2 anche dopo l'entrata in vigore del d. lgs. 61/2000. Il ricorso principale è infondato. La questione riguarda la computabilità o meno, ai fini della determinazione del numero di dipendenti utile ai fini della tutela reale, dei lavori part time in forza all'azienda secondo il criterio sancito dall'articolo 18 co. 2 dello Statuto dei lavoratori, ovvero secondo quello più articolato prescritto dall'articolo 6, comma 2 del d. lgs 61/2000 e la valutazione del carattere integrativo o meno di quest'ultima disciplina nei riguardi della prima. Con riferimento ai lavoratori assunti part time la norma di cui all’articolo 18, comma 2 dello Statuto dei Lavoratori prevede che essi debbano essere computati per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto, a tale proposito, che il computo delle unità lavorative fa riferimento all'orario previsto dalla contrattazione collettiva di settore. Le questioni interpretative sollevate, in parte avanzate anche in dottrina, devono, a giudizio della Corte, essere ora affrontate alla luce della nuova disciplina del lavoro a tempo parziale introdotta dal D. lgs. 61/2000, così come integrato e modificato dal d. lgs 100/2001. All'articolo 6 il decreto, in fatti, dispone il principio generale del computo dei lavoratori part time nel numero dei dipendenti in proporzione all'orario svolto, rapportato al tempo pieno come definito dal decreto stesso, in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico . Detto criterio di valutazione, adesso l'unico, stante l'abrogazione dell'eccezione contenuta nel secondo comma della norma da parte dell'articolo 46, co. 1, lett. p del d. lgs. 276/2003 conformemente alle disposizioni della legge delega numero 30/2003 articolo 3, co.3, lett. F , è poi seguito dall'indicazione delle regole per l'eventuale arrotondamento, che opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente ad unità intere di orario a tempo pieno . La estensione della disciplina di cui all'articolo 6 comma primo d. lgs 61/2000 per effetto dell'abrogazione espressa della disposizione che prevedeva che ai soli fini dell'applicabilità della disciplina di cui al titolo III della legge 20 maggio 1970, numero 300, e successive modificazioni, i lavoratori a tempo parziale si computano come unità intere, quale che sia la durata della loro prestazione lavorativa conforta il convincimento che i criteri di cui al d. lgs, per effetto della disposizione di carattere generale si applicavano immediatamente in relazione alla regolamentazione della disciplina della tutela reale, di cui al titolo II dello Statuto e l'inesistenza del carattere di specialità della norma di cui articolo 18, comma 2 St. Lav, rispetto alla quale la disciplina successiva di cui al d. lgs successivo, deve ritenersi di carattere integrativo. Del resto la tesi è già stata sostenuta in precedenti di questa Corte di legittimità, che, risolvendo la questione specifica della efficacia temporale della nuova disciplina ha affermato il principio alla cui stregua Ai fini dell'operatività della disciplina riguardante il regime di stabilità reale, il requisito dimensionale dell'impresa in rapporto al numero dei dipendenti occupati, stabilito dall’articolo 18 della legge numero 300 del 1970, come modificato dall'articolo 1 della legge numero 108 del 1990, deve tenere conto dei lavoratori a tempo parziale in proporzione della sola quota di orario effettivamente svolto e tale modalità di calcolo va applicata, per non incorrere in irragionevoli e quindi costituzionalmente illegittime disparità di trattamento, anche in riferimento a periodi precedenti all'entrata in vigore dell'articolo 6 del d.lgs. numero 61 del 2000, che una siffatta regola ha esplicitato cfr, Cass. 13 marzo 2008 numero 6754 . Neanche rileva poi, per confutare la validità dell'interpretazione delle norme qui sostenuta, l'osservazione della ricorrente secondo cui il meccanismo dell'arrotondamento, previsto dall'articolo 6 D. lgs 61/2000 come criterio da adottare per il computo dell'organico dei dipendenti comprendente lavoratori a tempo parziale, prevede che questi ultimi siano indifferentemente intesi come categoria, senza distinzione tra gli assunti a tempo parziale indeterminato e gli assunti a tempo parziale a termine, laddove l'articolo 18, comma 2, dello Statuto dei Lavoratori, in relazione all'individuazione del regime di tutela applicabile, considera i soli lavoratori assunti con contratto a tempo parziale indeterminato, escludendo dal computo gli assunti con contratto a tempo parziale determinato, onde, escludendo che le due normative abbiano finalità ed ambiti propri, si perverrebbe ad ipotizzare ed affermare, anche ai fini dell'individuazione del regime di tutela applicabile ai licenziamenti, la estensione della base di calcolo, ai fini del computo del numero dei prestatori di lavoro, immettendovi anche i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato parziale. A prescindere dalla considerazione che da parte della dottrina è stata sostenuta la computabilità pro rata temporis anche del lavoratore part time a termine, la questione non risulta avere un'incidenza determinante ai fini considerati, essendo la regola di computo introdotta dalla nuova disposizione legislativa applicabile anche ritenendo che nello specifico ambito applicativo non debbano considerarsi i lavoratori part time a termine. Per le considerazioni svolte, deve ritenersi che la norma sopravvenuta sia applicabile, così come del resto previsto nella sua stessa formulazione, in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l'accertamento della consistenza dell'organico e che nelle stesse rientri anche la disciplina dei licenziamenti per la parte relativa appunto alla individuazione del regime di tutela applicabile, non potendo ritenersi il carattere di specialità di tale ultima normativa, che sola precluderebbe alla legge generale posteriore di derogare alla precedente connotata da tale natura, per essere i rispettivi ambiti di applicabilità non sovrapponibili. Passando all'esame del ricorso incidentale, con il primo dei motivi la società lamenta la falsa applicazione dell'articolo 3 legge 15 luglio 1966 numero 604, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 c.p.c, sostenendo che integri un vizio di falsa applicazione di norme di diritto una interpretazione dell'articolo 3 L. 604/66 che riconduca al giustificato motivo oggettivo solo i licenziamenti che si ricolleghino a specifiche esigenze aziendali e non anche quelli che traggano origine da comportamenti del prestatore di lavoro diversi dall'inadempimento, i quali, se pure non rilevanti sotto il profilo disciplinare, incidano sul regolare funzionamento dell'organizzazione del lavoro. Con il secondo motivo, la CO.IM. s.p.a. si duole della omessa o comunque insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex articolo 360 numero 5 c.p.c. Assume che la società ha prospettato esclusivamente l'esistenza di ragioni oggettive sulla base delle quali ha intimato il licenziamento della D.B. , non ritenendo sussistenti ragioni diverse, di natura disciplinare, e che nella lettera di recesso si è riferita alle ricadute dell’inefficienza sull'intera gestione amministrativa ed alla impossibilità di superare i problemi organizzativi e produttivi segnalati, intimando un licenziamento inequivocabilmente riconducibile a ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro ed al regolare funzionamento di essa di cui all'articolo 3 l. 604/1966. Aggiunge che nella motivazione della sentenza la Corte d'Appello ha tuttavia omesso qualunque riferimento alla circostanza che l'oggettività delle ricadute costituisca il fondamento del recesso nella prospettazione della CO.IM. s.p.a., al contrario accertando una volontà dell'azienda di addebitare alla lavoratrice mancanze connesse con lo svolgimento dell'attività e non il riferimento a ragioni inerenti all'attività produttiva aventi ricadute sulla posizione della lavoratrice, ed affermando che sarebbe stato il comportamento della lavoratrice, non in linea con le disposizioni aziendali, ad incidere sul corretto funzionamento dell'impresa. La Corte del merito sarebbe, invece, dovuta pervenire ad una pronuncia di accoglimento o di rigetto della domanda, pronunciandosi sulla sussistenza o meno del giustificato motivo oggettivo ed, in ogni caso, avrebbe dovuto argomentare le ragioni in base alle quali i comportamenti della D.B. erano da considerare disciplinarmente rilevanti. Con il terzo motivo, la società ascrive alla sentenza la contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex articolo 360 numero 5 c.p.c, nonché falsa applicazione dell'articolo 2096 c.c, per quanto di ragione, domandando, con quesito proposto ai sensi di legge, se l'articolo 2096 c.c. nella parte in cui afferma che l'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova vada interpretato nel senso che l'oggetto del patto di prova consista nell'accertamento e nella valutazione non solo degli elementi di fatto concernenti la capacità professionale del lavoratore, ma anche degli elementi concernenti il comportamento complessivo dello stesso, quale è desumibile anche dalla sua correttezza e dal modo in cui si manifesta la sua professionalità. Anche il ricorso incidentale è infondato, osservandosi, quanto al primo motivo, che è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello alla cui stregua, in tema di licenziamento individuale, deve escludersi la sussistenza di un giustificato motivo oggettivo quando, al di là di ogni eventuale riferimento a ragioni relative all'impresa, il licenziamento è fondato su di un comportamento riconducibile alla sfera volitiva del lavoratore e lesivo dei suoi doveri contrattuali ed esprime pertanto un giudizio negativo nei suoi confronti tale da esigere il rispetto dell'iter prescritto dall'articolo 7 legge numero 300 del 1970, anche ove il suddetto giudizio negativo non investa le qualità strettamente tecniche del lavoratore, ma abbia ad oggetto altri aspetti dell'attività professionale e della sua personalità, aspetti in ogni caso concorrenti, secondo le circostanze del caso, a costituirne il patrimonio professionale cfr., in tal senso, Cass. 14.1 1997 numero 326 . Il giudice del gravame si è attenuto alla previsione della norma di legge ed all’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità, per cui il rilievo va complessivamente disatteso. Il secondo motivo si risolve in una censura nella sostanza corrispondente, sia pure nella diversa prospettazione di un vizio di motivazione, a quella avanzata con il primo motivo, appuntandosi sulla motivazione erronea adottata dal giudice del merito con riguardo alla attività qualificatoria della domanda, che a suo dire era diretta a prospettare ragioni inferenti l'organizzazione dell'attività produttiva e non attinenti a profili della prestazione lavorativa della D.B. aventi rilievo disciplinare. Anche tale motivo è infondato, ove si consideri che il giudice del merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale V., al riguardo, Cass. 24.11.2011 numero 23794 . Infine, va disattesa l'ulteriore doglianza che si fonda sulla considerazione dell'erroneità della decisione impugnata nella parte in cui afferma che, una volta procedutosi alla valutazione della professionalità della lavoratrice nel corso dello svolgimento della prova, non poteva poi ritenersi che il licenziamento andasse riferito a criticità riconducibili alla sfera del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, indipendenti dal comportamento colpevole della lavoratrice. Ed invero, tale motivazione segue quella che di per sé sola è idonea a sorreggere il decisum relativa all'inquadramento del recesso tra quelli di natura ontologicamente disciplinare e che in modo esauriente ribadisce che l'azienda nella lettera di recesso non fa riferimento a ragioni inerenti all'attività produttiva e all'organizzazione del lavoro che in ipotesi incidano sulla posizione della lavoratrice, ma al contrario, lamenta che si il comportamento della lavoratrice, non in linea con le disposizioni aziendali, ad incidere sul corretta funzionamento dell'impresa , onde non può ritenersi che la censura avanzata al riguardo sia idonea a scalfire il punto decisivo dell'impianto motivazionale. Le esposte considerazioni conducono al rigetto sia del ricorso principale che di quello incidentale e la reciproca soccombenza costituisce valida giustificazione per la integrale compensazione tra le parti delle spese di lite dei presente giudizio. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio.