La responsabilità professionale del medico per il risarcimento del danno cagionato nel corso di un intervento è configurabile quando l’opera correttamente prestata avrebbe avuto, secondo un criterio probabilistico, fondate possibilità di evitare il danno.
Il caso. Il Tribunale di Frosinone condannava un medico e la Regione Lazio al risarcimento dei i danni patiti da un neonato durante il parto il danno era stato cagionato dalla scorretta esecuzione delle manovre con la ventosa ostetrica . La Corte d’appello romana riformava parzialmente la sentenza di primo grado, escludendo dal risarcimento la parte relativa alle spese mediche sostenute dal danneggiato. Il medico condannato al risarcimento propone, infine, ricorso per cassazione i genitori del danneggiato partecipano al giudizio con ricorso incidentale. La Suprema Corte riunisce i ricorsi e li respinge entrambi. Nesso di causalità e presunzioni. Il ricorrente lamenta l’errata considerazione delle lacune contenute nella cartella clinica della gestante, elemento che porterebbe ad escludere, se valutato diversamente, il nesso di causalità tra le condotte del medico e l’evento dannoso. La Cassazione, al contrario, ritiene che la lacunosità della cartella clinica sia stata puntualmente accertata e motivata dalla sentenza impugnata, cogliendo l’occasione per richiamare il corretto orientamento giurisprudenziale in tema di responsabilità professionale del medico. Infatti, «il nesso causale sussiste anche quando, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si possa ritenere che l’opera del medico correttamente prestata avrebbe avuto fondate possibilità di evitare il danno». In concreto, la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico, essendo stata provata l’idoneità della condotta colposa a provocare il danno. Non c’è colpa lieve. In simile contesto probatorio, è possibile ricorrere alle presunzioni, come in effetti avvenuto con la sentenza impugnata, anche sulla base del criterio della ‘vicinanza della prova’. Ne consegue l’inapplicabilità dell’articolo 2236 c.c., poiché il medico non ha assolto all’onere probatorio dimostrando come l’insuccesso dell’intervento - che deve essere eseguito con la diligenza normalmente esigibile da un sanitario con pari grado di specializzazione - sia dipeso da fattori indipendenti dalla sua volontà. No al rimborso delle spese. Il ricorso incidentale viene anch’esso respinto, dato che nel giudizio di secondo grado a fronte della mancata prova documentale delle spese mediche sostenute, non era stata proposta alcuna fondata eccezione da parte dei danneggiati. Con ciò, non può essere contestata la valutazione in via equitativa del danno operata dal giudice di primo grado ex articolo 1226 c.c
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 maggio – 21 giugno 2012, numero 10315 Presidente Petti – Relatore Spirito Svolgimento del processo Il Tribunale di Frosinone ha condannato il medico Dott. G. e la Regione Lazio a risarcire i danni cagionati, in occasione del parto, al neonato S.P. . La Corte d'appello di Roma ha parzialmente riformato la prima sentenza, escludendo dall'importo risarcitorio le spese mediche che la vittima assumeva di avere sopportato. Propone ricorso per cassazione il G. attraverso un solo motivo. Rispondono con controricorso i S. e la C. , i quali propongono ricorso incidentale attraverso due motivi. Il ricorrente ha depositato memoria per l'udienza. Motivi della decisione I ricorsi devono essere riuniti siccome proposti contro la medesima sentenza. Il ricorrente principale censura la sentenza per violazione di legge e vizi della motivazione, sostenendo che il giudice non avrebbe compiutamente motivato in ordine a quei punti della CTU in cui si nega l’addebitabilità al medico dell'anticipazione del parto e della scorretta esecuzione delle manovre con la ventosa ostetrica in ordine alla difettosa tenuta della cartella clinica in ordine all’adottabilità del parametro della colpa grave e non di quella lieve in ordine al superamento della presunzione di colpa. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. È inammissibile laddove, in maniera peraltro confusa e generica, ripropone una serie di questioni di fatto tendenti ad ottenere dalla Corte di legittimità una diversa valutazione del merito della controversia. È infondato laddove denunzia vizi di legittimità, posto che la sentenza fa corretto riferimento a principi giurisprudenziali consolidati, motivando compiutamente e logicamente in ordine a tutti i punti oggi riproposti dal ricorrente. Puntualissima è, infatti, la spiegazione relativa alla lacunosità della cartella clinica ed alla conseguente impossibilità di ricostruire l'andamento dei fatti nelle quasi cinque ore trascorse tra il ricovero della gestante ed il parto. A riguardo occorre ribadire il consolidato principio in ragione del quale, in tema di responsabilità professionale del medico, il nesso causale sussiste anche quando, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si possa ritenere che l’opera del medico, se correttamente e prontamente prestata, avrebbe avuto fondate possibilità di evitare il danno a tal fine, la difettosa tenuta della cartella clinica non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose sofferte dal paziente, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocare il danno, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, assumendo rilievo, al riguardo, il criterio della vicinanza alla prova , cioè della effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla tra le ultime, cfr. Cass. 27 aprile 2010, numero 10060 . Altrettanto precisa e giuridicamente corretta è la motivazione in ordine all'inapplicabilità alla fattispecie del disposto dell'articolo 2236 c.c., con conclusivo riferimento al principio secondo cui l'esonero di responsabilità di cui all'articolo 2236 cod. civ. non incide sui criteri di riparto dell'onere della prova costituendo, invece, onere del medico, per evitare la condanna in sede risarcitoria, provare che l'insuccesso dell'intervento è dipeso da fattori indipendenti dalla propria volontà e tale prova va fornita dimostrando di aver osservato nell'esecuzione della prestazione sanitaria la diligenza normalmente esigibile da un medico in possesso del medesimo grado di specializzazione Cass. 8 ottobre 2008, numero 24791 . Quanto, infine, alla dedotta inesigibilità di una diversa condotta del sanitario, i giudici spiegano che l'affermazione della responsabilità del medico e della struttura ospedaliera va valutata con riferimento alla mancanza di documentazione circa la sorveglianza intrapartum ed, in particolare, alla mancanza di accertamenti necessari a verificare la possibilità del parto naturale. In conclusione, il ricorso del Dott. G. deve essere respinto. Passando al ricorso incidentale dei S. - C. , deve essere respinto il primo motivo concernente il rigetto della domanda di rimborso delle spese mediche sostenute invece, equitativamente riconosciute e liquidate dal primo giudice . Sul punto la sentenza impugnata spiega che il ricorso alla liquidazione equitativa del relativo danno è impedita dal fatto che i costi sopportati erano certamente documentabili dagli attori affermazione, questa, per nulla contraddetta dai ricorrenti, i quali, per un verso, fanno erroneo riferimento all'articolo 2059 c.c. danno non patrimoniale e, per altro verso, nulla deducono in ordine ai presupposti d'applicabilità della disposizione di cui all'articolo 1226 c.c Il secondo motivo - che è rivolto alla dichiarata inammissibilità, per assoluta genericità, dell'appello dei S. - C. circa il richiesto riconoscimento di ulteriore importo risarcitorio per danno alla vita sociale e per danno estetico - è inammissibile, in quanto per consentire la delibazione della censura i ricorrenti avrebbero dovuto trascrivere i punti dell'atto d'appello concernenti la questione. Invece, anche in questo caso il motivo è assolutamente generico, limitandosi ad osservare come l'articolo 342 c.p.c. sub b sia stato notevolmente ridimensionato nella sua importanza dalla giurisprudenza . , e che tali danni, quindi, andavano liquidati quantomeno in via equitativa . In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti, con integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.