Confermati ammenda e risarcimento dei danni. Nessun peso è possibile per le mancate lamentele nei confronti del nuovo titolare dell’esercizio commerciale e per l’autorizzazione alla ristorazione rilasciata dal Comune.
Contratto concluso, e bar preso in gestione. Ma il ‘pacchetto’, a sorpresa, comprende anche un annoso contenzioso per i fumi, provenienti dalla cucina, che arrivano a ‘sfiorare’ il bagno di un appartamento soprastante l’esercizio commerciale. A prescindere dal tempus, però, il nuovo gestore, una donna, ha da rispondere – chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 16670, Terza sezione Penale, depositata oggi – pagando un’ammenda e provvedendo al risarcimento dei danni subiti dalla famiglia che vive nell’appartamento ‘sotto assedio’. Cottura molesta. A provocare problemi è una struttura ‘connessa’ all’esercizio commerciale, il tubo, per la precisione, che arriva sotto un’abitazione e che rappresenta lo sbocco della cucina del bar. Risultato? «Odori e fumi, provenienti dalla cottura di cibi effettuata nella cucina» creano fastidio alla famiglia che vive nell’appartamento più prossimo al tubo. Il quadro è chiaro, e per i giudici di primo grado è legittima la condanna, per il reato di «emissioni moleste», a carico del gestore del bar quest’ultima, difatti, è obbligato a pagare un’ammenda di 100 euro e a versare 2mila euro alla famiglia ‘molestata’ come risarcimento dei danni. Esiste, però, un nodo rappresentato dallo scorrere del tempo Gestioni diverse. Per la titolare del bar, difatti, non sono stati tenuti in debita considerazione elementi fondamentali, che vengono richiamati nel ricorso proposto in Cassazione su tutto, il fatto che «gli accertamenti» erano stati eseguiti «durante la gestione precedente» del bar. A ciò, poi, va anche aggiunto, secondo il legale della ricorrente, che la famiglia molestata «non aveva mai mosso lamentele» nei confronti della nuova titolare dell’esercizio commerciale, e che quest’ultima, comunque, «aveva confidato nel provvedimento, rilasciato dal Comune, che aveva autorizzato la ristorazione» e attestava che «le immissioni non avrebbero mai potuto raggiungere livelli di intollerabilità», soprattutto tenendo presente quanto previsto dalla legge. Soglia bassa. Ma ciò che conta davvero è l’invasività delle molestie provocate dagli odori, anche quelli, come in questo caso, dei cibi cucinati. E seguendo questa prospettiva, i giudici della Cassazione richiamano, da un lato, il limite della «stretta tollerabilità» e, dall’altro, i riferimenti della giurisprudenza sulla percezione di odori molesti, ribadendo che è «sufficiente l’attitudine dell’emissione a molestare le persone» ossia a «disturbare tranquillità e quiete». Ebbene, in questo caso, a prescindere dal tempus, è acclarato il «superamento della stretta tollerabilità delle emissioni odorose» provenienti dal bar, alla luce di testimonianze ad hoc. Ecco perché, di conseguenza, è da confermare la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 28 marzo – 4 maggio 2012, numero 16670 Presidente Mannino – Relatore Teresi Ritenuto in fatto 1 - Con sentenza 11 luglio 2011 il Tribunale di Sulmona condannava A.M.F., titolare di un esercizio commerciale bar , alla pena di €. 100 d’ammenda quale colpevole del reato di cui all’articolo 674 cod. penumero per avere provocato immissione di fumi molesti, provenienti dalla cucina del bar, all’interno dell’abitazione dei coniugi R./L., nonché al risarcimento del danno in favore dei predetti costituitisi parti civili liquidandolo in €. 2.000. 2 - Avverso la sentenza proponeva appello l’imputata deducendo che essa aveva affittato il bar alla data del 31.03.2007 che gli accertamenti svolti presso l’attività commerciale erano stati eseguiti durante la gestione precedente che nei suoi confronti i coniugi R. non avevano mai mosso lamentele per immissioni che non avrebbero mai potuto raggiungere livelli d’intollerabilità che essa aveva confidato, sotto il profilo della buona fede, nel provvedimento che aveva autorizzato la ristorazione rilasciato dal Comune che era apodittica l’affermazione del tribunale secondo cui essa era al corrente delle lamentele dei condomini che la teste D.S., dipendente dell’ASL, aveva smentito i denuncianti asserendo che si trattava di un tubo posto sotto la finestra del bagno dal quale potevano percepirsi odori di cucina che non era stata accuratamente vagliata l’attendibilità dei denuncianti che non era provata l’intollerabilità per non essere stato rilevato il superamento dei limiti fissati dalle leggi speciali in materia. Deduceva, pertanto, che il reato non è ipotizzabile quando le emissioni non superino i limiti di normale tollerabilità, dato che la norma richiede che le emissioni avvengano in violazione della normativa vigente. Chiedeva l’annullamento della sentenza. Considerato in diritto 3 - Il ricorso è manifestamente infondato. Premesso che è stato accertato, in fatto, con puntuale motivazione, che da un tubo collocato al di sotto dell’abitazione dei denuncianti pervenivano, all’interno della stessa, odori e fumi provenienti dalla cottura di cibi effettuata nella cucina dell’esercizio commerciale e che tale attività provocava caratteristici odori che arrecavano molestie a chi, per ragioni di prossimità, vi era esposto, va osservato che il tribunale si è adeguato all’indirizzo espresso da questa Corte nella sentenza numero 2475/2007 secondo cui è configurabile il reato di cui all’articolo 674 cod. penumero emissione di gas, vapori o fumi atti a offendere o molestare le persone in presenza di molestie olfattive promananti da impianto produttivo in quanto non esiste una normativa statale che prevede disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, con conseguente individuazione del criterio della stretta tollerabilità quale parametro di legalità dell’emissione, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente e alla salute umana di quello della normale tollerabilità, previsto dall’articolo 844 cod. civ. Anche, in precedenza la giurisprudenza di questa Corte Cassazione 14 gennaio 2000 numero 407 ha ricondotto l’emissione di odori molesti alla fattispecie de qua essendo la percezione di un determinato odore il risultato della liberazione nel caso in esame cottura di cibi di prodotti volatili, come tali percepibili anche all’olfatto e definibili, secondo il linguaggio comune, anche come gas. Non ha, quindi, pregio alcuno il rilievo difensivo secondo cui, nella specie, non sarebbe stata violata alcuna norma di settore. 4 - Con altri motivi la ricorrente lamenta la mancata motivazione della sentenza impugnata quanto al superamento della normale tollerabilità degli odori e quanto alla valutazione delle prove poste a base dell’affermazione di responsabilità. Si tratta, però, di doglianze inammissibili perché articolate in fatto quanto al tempus commissi delicti all’attendibilità dei testi adeguatamente valutata e irrilevanti quanto all’asserita ignoranza della situazione di pericolo riconducibile alla gestione dell’attività di produzione di cibi . Ribadito che trattasi di un reato di pericolo, essendo sufficiente per la sua realizzazione l’attitudine dell’emissione a offendere o molestare le persone [Cassazione numero 3531/1998], laddove per molestia deve intendersi la situazione di disturbo della tranquillità e della quiete, con impatto negativo sulle normali attività della persona [Cassazione numero 678/1996], va riaffermato che, quando non esista una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve aver riguardo al criterio della stretta tollerabilità e non a quello della normale tollerabilità di cui all’articolo 844 cod. civ. [Cassazione numero 19898/2005], anch’esso comunque condizionato, come quello della normale tollerabilità, dalla situazione ambientale e dalle altre circostanze che caratterizzano l’emissione molesta. Nel caso in esame, non esistendo disposizioni specifiche e valori limite in materia di odori, è incensurabile il ritenuto superamento della stretta tollerabilità delle emissioni odorose provocate dall’attività esercitata dall’imputato in luogo abitato alla stregua delle acquisite testimonianze, valutate con adeguata motivazione. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la riscorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di €. 1.000 in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate complessivamente in €. 1.000, oltre accessori di legge.