Installazione di impianti di videosorveglianza in ambiente di lavoro in violazione del divieto di controllo a distanza alla luce del Jobs Act

La Cassazione penale esamina due casi di condanne delle imprese per violazione del divieto di controllo ex articolo 4 e 38 dello Statuto dei Lavoratori in relazione all’installazione di telecamere in ambienti di lavoro e approfondisce i profili della tutela della riservatezza e dignità del lavoratore ai tempi del Jobs Act.

Le telecamere sono sempre più utilizzate nel nostro paese sia in ambito pubblico per i profili di sicurezza urbana sia all’interno dei luoghi di lavoro pubblici e privati. L’articolo 23, d.lgs. numero 151/2015 attuativo di una delle deleghe del Jobs Act ha modificato l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori legge 300/1970 sul divieto di controllo a distanza e ha previsto un’importante novità per le imprese ed enti pubblici la possibilità di installare impianti audiovisivi anche per la tutela del patrimonio aziendale profilo non previsto nel testo previgente . L’installazione delle telecamere è possibile previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali nel caso di mancato accordo, i sopra citati impianti possono essere installati previa autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro. Occhio alle telecamere Il d.lgs. numero 151/2015 modifica anche l’art 171, d.lgs. numero 196/2003 Codice della privacy e prevede che la violazione delle disposizioni dell'articolo 113 dello stesso Codice della privacy e dell'articolo 4, comma 1 e 2, legge numero 300/1970, è punita con le sanzioni previste dall'articolo 38, legge numero 300/1970 pena alternativa dell’ammenda o dell’arresto . Si sottolinea come, alla luce del sopra citato intervento normativo, scatti l’esclusione della depenalizzazione della fattispecie in esame ad opera dell’articolo 1, comma 1, d.lgs. numero 8/2016 in quanto prevista la pena alternativa dell’ammenda o dell’arresto e non la sola pena pecuniaria. La Cassazione penale è intervenuta in materia di videosorveglianza in ambienti di lavoro Cass. numero 51897/2016 e ha esaminato l’impatto del decreto attuativo del Jobs Act. La rappresentante legale di un’impresa di produzione di carburante condannata ai sensi dell’articolo 38 dello Statuto dei Lavoratori per avere consentito, tollerato e non impedito l’installazione di telecamere collocate nel piazzale nelle vicinanze delle pompe di erogazione del carburante in assenza dell’accordo sindacale e dell’autorizzazione della direzione territoriale del lavoro presentava, attraverso i suoi legali, ricorso in cassazione e rappresentava che l’installazione delle telecamere era stata effettuata per motivi di tutela del patrimonio aziendale senza alcuna violazione della privacy e richiamava le recenti modifiche all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori introdotte d.lgs. numero 151/2015. La Cassazione ha rigettato il ricorso e ha confermato che, anche alla luce delle modifiche del decreto attuativo del Jobs Act, costituisce reato l’installazione di telecamere in assenza di accordo con le rappresentanze sindacali e di autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro. Reato di pericolo? La Cassazione approfondisce, nella sentenza in esame, la natura del sopra citato reato reato di pericolo, in quanto diretto a salvaguardare le possibili lesioni della riservatezza dei lavoratori, con la conseguenza che per la sua integrazione è sufficiente la mera predisposizione di apparecchiature idonee a controllare a distanza l'attività dei lavoratori, in quanto per la punibilità non sono richiesti la messa in funzione e/o il concreto utilizzo delle telecamere. Secondo i legali dell’impresa il reato in esame costituisce un reato istantaneo che si consuma al momento dell’installazione dell’impianto, poiché l’installazione era stata effettuata nel 2009 prima dell’inserimento in azienda della nuova rappresentante legale, la stessa imputata doveva essere assolta. Secondo la Cassazione non rileva, invece, che la ricorrente, titolare dell’impresa non abbia installato gli impianti ma che li abbia utilizzati o tollerato la loro utilizzazione, la fattispecie in esame può configurarsi sia come reato di durata come reato istantaneo reato eventualmente abituale . Ok agli impianti di videosorveglianza, ma La Cassazione conferma, da un lato, la possibilità per le imprese di dotarsi di impianti di videosorveglianza per tutelare il patrimonio aziendale, ma evidenzia, dall’altro lato che sono perseguibili penalmente «le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro lesive della dignità e della riservatezza del lavoratore». La S.C. sottolinea come la vigilanza sul lavoro deve essere mantenuta in una dimensione “umana”, e cioè non esasperata dall’uso di tecnologie che possono rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro utilizzo delle apparecchiature. Inoltre, gli Ermellini hanno approfondito la natura del sopra citato reato anche nella sentenza della Terza Sezione numero 45198/2016 che ha dichiarato inammissibile il ricorso di due titolari di night club contro la sentenza di condanna al pagamento di un’ammenda per la violazione dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori in relazione all’installazione di alcune telecamere con le quali era possibile controllare i dipendenti telecamere che riprendevano le casse e l’interno dei locali . Le sentenze in esame confermano come le imprese non siano consapevoli delle sanzioni penali previste nel caso di installazione di telecamere negli ambienti di lavoro in assenza dell’accordo con le rappresentanze sindacali e dell’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro. L’installazione di telecamere per finalità difensive di prevenzione di illeciti da parte dei dipendenti non esonera l’imprenditore dal rispetto rigoroso delle procedure indicate dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori le imprese e gli operatori devono essere consapevoli che il Jobs Act non ha abrogato la precedente disciplina sanzionatoria nel caso di violazione del divieto di controllo a distanza. L’imprenditore risponde, inoltre, del reato in esame anche nel caso in cui le telecamere non siano funzionanti o non siano utilizzate Cass. Sez. penumero Sez. III, numero 4331/2013 , per configurazione del reato è sufficiente la loro predisposizione Cass., sez. Lav., sentenza numero 2722/2012 e funzionalità ed idoneità al controllo a distanza dei lavoratori Cass. Penumero , sez. III, numero 8042/2006 .