La Cassazione fornisce una definizione più moderna ed elastica di domicilio, a spese delle esigenze tassonomiche e di certezza della previsione penale.
Le Corti di merito accertano la responsabilità penale di un individuo che aggrediva sessualmente una giovane guardia medica all’interno del suo presidio medico, di cui la vittima aveva appena chiuso l’accesso libero al pubblico. I giudici di merito, fra gli altri più gravi reati, imputano al reo anche la violazione di domicilio. Il ricorrente contesta la nozione di domicilio fornita dai giudici e, inoltre, l’impeto accusatorio dei valutanti che li avrebbe condotti a ritenere integrate fattispecie di reato in realtà non supportate da oggettivi riscontri. La Cassazione, Terza Sezione, numero 33518, depositata il 30 agosto 2012, affronta i nodi tematici avanzati dal ricorrente, giungendo alle soluzioni che seguono. La Cassazione adotta una nozione ampia di domicilio ex articolo 614 c.p La giurisprudenza penale ha ormai declinato una nozione di domicilio più estesa di quella romanistica-etimologica, la quale confinava i luoghi domiciliari alle ristrettezze di soli quelli deputati all’abitazione o alla dimora, sottratti alla pubblica esposizione. Costituiscono domicilio anche i luoghi in cui la persona compie anche temporaneamente parti di attività propriamente personali e, vieppiù, anche quelli dell’estrinsecazione di azioni accessorie all’attività professionale specificamente definita. Nel caso in esame alla Cassazione, è bastato che la guardia medica aggredita, come di sua consuetudine nelle ore serali, chiudesse l’accesso allo studio professionale, non tollerandone il pubblico ingresso altrimenti consentito nelle ore diurne, perché maturasse una condizione di luogo «privato e chiuso all’altrui immissione» e che dunque soccorresse la tutela penale dell’articolo 614 c.p., in caso di effrazione o di generica violazione da parte di estranei. La dilatazione della nozione di domicilio – dai luoghi abitativi a quelli professionali fino a quelli ibridi, in cui l’attività professionale/personale si svolge solo in brevi tratti della giornata – inserisce una variabile di valutazione e di discrezionalità in uno degli elementi costitutivi della fattispecie citata, dissolvendo quel carattere di certezza che deve possedere la previsione penale, in ogni suo componente. Eventuali errori di valutazione da parte del reo – sul luogo domiciliare – possono giovargli solo in punto di integrazione dell’elemento soggettivo. La Cassazione censura le condanne “a strascico”. La Cassazione, ragionevolmente, annulla quella parte della sentenza d’appello in cui veniva dichiarata la responsabilità penale per un fatto di rapina commesso in occasione della violenza carnale ed in realtà mai specificamente provato. Nell’impeto accusatorio per fatti di tale gravità, la Corte di merito ha inteso supportare la certezza del furto – il telefono con cui la vittima avrebbe potuto chiedere soccorso, in realtà mai rinvenuto - con una ovvia continuità oggettiva con il disegno criminoso del reo e con l’alea di disapprovazione per l’impeto motivazionale e comportamentale dell’agente. Quella vis criminale avrebbe consentito, secondo l’errata inferenza del giudice di merito, di cogliere “a strascico” ogni altra imputazione che avesse costituito occasione o strumento per l’azione di violenza sessuale.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 giugno – 30 agosto 2012, numero 33518 Presidente Mannino –Relatore Amoroso Ritenuto in fatto 1. P.R. nato il omissis era imputato A del delitto di cui agli articolo 81, cpv, 61 numero 2, 614, commi I e IV, c.p., perché, per eseguire il delitto di cui al capo B , nonché con più azioni esecutive di medesimo disegno criminoso rispetto a tale diritto, in particolare, dopo aver citofonato ripetutamente al presidio di guardia medica locale, usando violenza nei confronti delle persone, consistita nello strattonare con un gesto repentino G.G. medico di guardia notturno, che si era affacciata per rispondere, facendole voltare il viso verso l'ingresso dell'ufficio medico, al cui interno la stringeva con forza, mentre lei intimava di non gridare, altrimenti l'avrebbe uccisa ed, una volta chiusa, alle sue spalle, la porta dell'ufficio, usandole ancora violenza, consistita nello scaraventarla con il viso contro il muro dell'ingresso, mentre le ripeteva non urlare, ti voglio solo scopare, altrimenti ti ammazzo, ho un coltello lungo 4 cm , si introduceva all'interno dell'ufficio della Guardia Medica, costituente privata dimora, contro la volontà della G. , che, in qualità di medico di guardia in servizio notturno, aveva il diritto di escluderlo in omissis B del delitto di cui agli articolo 81, cpv, 61 numero 10, 92 e 609 bis, nonché articolo 56 e 609 bis c.p., in relazione all'articolo 609 septies , comma IV numero 4 c.p., perché, in stato di alterazione psico-fisica, dovuta all'assunzione di sostanze stupefacenti, nonché con più azioni esecutive di medesimo disegno criminoso, anche rispetto delitto di cui al capo A , in particolare dopo aver citofonato ripetutamente al presidio di guardia medica locale, usando violenza nei confronti di G.G. , medico di guardia notturno e, dunque, pubblico ufficiale in servizio presso la Guardia Medica locale, consistita dapprima nello strattonare, con un gesto repentino, la predetta, che si era affacciata per rispondere, spingendola con forza all'interno dell'ufficio medico, mentre le intimava di non gridare, altrimenti l'avrebbe uccisa ed, una volta chiusa, alle sue spalle, la porta dell'ufficio, usandole ancora violenza, consistita nel bloccarla con il viso contro il muro dell'ingresso, mentre le ripeteva non urlare, ti voglio solo scopare, altrimenti ti ammazzo, ho un coltello lungo 4 cm , costringeva la predetta a subire un atto sessuale, consistente nel bacio sulle labbra usandole, altresì, violenza, consistita nel ghermire alle spalle la G. che, dopo il bacio era uscita dall'ufficio, nonché nello strapparle il vestito e sfilarle gli slip ed, ancora, nel colpirla forsennatamente con pugni e calci, sbattendole il viso al suolo, compiva atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere la predetta a subire un rapporto sessuale completo, non riuscendo nell'intento per la ferma opposizione della vittima e l'intervento di terzi in omissis C del delitto di cui agli articolo 81, cpv, 582 e 585, in relazione all'articolo 576 numero 1 c.p., perché, con più azioni esecutive di medesimo disegno criminoso, pur se commesse in tempi diversi, nonché per eseguire il reato di cui al capo che precede e tenendo la condotta ivi descritta, in particolare, strattonando, più volte, con forza G.G. , nonché strappandole il vestito e colpendola con pugni e calci ed infine, scaraventandola al suolo, cagionava alla predetta lesioni personali, consistite in trauma cranico facciale non commotivo, con la distorsione del rachide cervicale, giudicate guaribili entro quaranta giorni in omissis D del delitto di cui all'articolo 628 comma I c.p., perché, per procurarsi un ingiusto profitto, usando violenza nei confronti di G.G. , consistite nel tenere la condotta descritta nel capo che precede, in particolare nello strattonarla ripetutamente con forza, nonché nel colpirla con pugni e calci, scaraventando la al suolo, strappandole il vestito e sfilandole gli slip, si impossessava del cellulare modello Nokia, abbinato alla s.i.m. omissis , che sottraeva, in tal modo alla G. in omissis . Il Tribunale di Foggia con sentenza pronunciata in data 13.7.2010, depositata il 16.9.2010, dichiarava il P.R. colpevole dei reati in epigrafe e ritenuta la continuazione tra gli stessi, lo condannava alla pena di anni 8 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia in carcere. Inoltre lo condannava al risarcimento in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separato giudizio e rifusione delle spese di costituzione e rappresentanza. 2. Avverso la pronuncia di primo grado proponevano tempestiva impugnazione con dichiarazioni rispettivamente del 22 novembre 2010 il difensore di fiducia dell'imputato chiedendone l'assoluzione e del 18 novembre 2010, il difensore della parte civile costituita. La corte d'appello di Bari con sentenza del 10 giugno 2011-5 settembre 2011 condannava l'imputato al pagamento in favore della parte civile G.G. di una provvisionale di Euro 10.000, alla rifusione delle spese sostenute dalla predetta parte civile liquidate per il primo grado in Euro 2.000,00 e per il secondo grado in Euro 1.500,00 per onorari oltre ad accessori di legge. Confermava nel resto l'impugnata sentenza e condannava, inoltre, l'imputato alla rifusione delle ulteriori spese sostenute dalla parte civile Ordine dei Medici di Lecce. 3. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con quattro motivi. Considerato in diritto 1. Il ricorso è articolato in quattro motivi. In particolare il ricorrente lamenta con il primo ed il terzo motivo l'erronea applicazione dell'ultimo comma dell'articolo 609 bis codice penale. I giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere il fatto di minore gravità, tenuto conto di tutte le circostanze della fattispecie. Censura poi la sentenza impugnata per aver ritenuto domicilio della parte offesa i locali della guardia medica. Infine deduce il difetto di motivazione quanto all'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo D , ossia la rapina del telefono cellulare. 2. Il ricorso è solo parzialmente fondato. 3. La sentenza della corte d'appello ha puntualmente motivato in ordine all'esclusione del fatto di minore gravità. Fondamentale per la ricostruzione dei fatti sono state le dichiarazioni della parte offesa G.G. che ha in udienza confermato quanto riferito nel corso delle indagini effettuando con assoluta certezza anche il rituale riconoscimento dell'imputato. La donna riferiva che, mentre si trovava nei locali della guardia medica di omissis , dove era in servizio notturno, apriva la porta ad un soggetto che aveva citofonato ripetuta mente, credendo che avesse bisogno di cure. L'uomo entrava nell'ufficio e intimandole di non gridare e minacciandola di ucciderla utilizzando un coltello che riferiva di avere con sé, riusciva baciarla, a stringerla sul letto e a tenerla bloccata col peso del suo corpo toccandole il seno ed al tre parti del corpo. Approfittando di un momento di distrazione e con la scusa di non sentirsi bene, la G. riusciva ad alzarsi ed uscire dall'ambulatorio ma il P. la rincorreva e la raggiungeva, strappandole il vestito, picchiandola per strada con calci e pugni, scaraventandolo a terra fino a quando non veniva messo in fuga dalle grida di alcuni abitanti del luogo richiamati dalle richieste di rifiuto della G. , alla quale aveva anche sottratto il cellulare durante la colluttazione per impedirle di chiedere l'intervento delle forze dell'ordine. La corte d'appello poi ha ritenuto che non fosse possibile riconoscere alcun beneficio o attenuante tenendo presenti non solo la gravità della condotta posta in essere dall'imputato, ma anche l'assenza di resipiscenza e l'atteggiamento dell'imputato mirante a negare ogni coinvolgimento nella vicenda senza fornire prove a sostegno del suo alibi. 4. Quanto alla violazione di domicilio deve ribadirsi quanto già ritenuto da questa corte Cass., sez. V, 27/11/1996 - 5/02/1997, numero 879 che ha affermato che è configurabile il reato di violazione di domicilio nel caso di abusiva introduzione o abusiva permanenza nei focali dello studio di un libero professionista il quale eserciti compiti che si inseriscono in un'attività procedimentale di rilevanza pubblicistica. È vero che nella specie la guardia medica è aperta al pubblico nell'orario ordinario del servizio di assistenza sanitaria. Ma nell'orario notturno l'accesso alla guardia medica è limitato a quelli che hanno necessità di assistenza medica e che quindi sono ammessi all'interno dei locali della stessa. In questo diverso contesto l'ambiente della guardia medica costituisce un'area riservata che può assimilarsi a quella di un temporaneo privato domicilio del medico chiamato a permanere lì durante la notte per potersi attivare, ove necessario, per apprestare l'assistenza sanitaria dovuta. 5. Quanto poi al reato di rapina del telefono cellulare della parte offesa, la corte d'appello ha considerato irrilevante la circostanza che il telefonino sottratto alla parte offesa non fosse stato ritrovato nel possesso dell'imputato, ma non ha motivato le ragioni del suo convincimento in ordine a tale ulteriore condotta asseritamente posta in essere dall'imputato motivazione necessaria in modo specifico avendo l'imputato, con uno dei motivi d'appello, contestato di aver commesso tale reato, ossia di essersi appropriato del telefono cellulare della parte offesa. La corte d'appello invece si imita ad ipotizzare il motivo dell'azione di impossessamento impedire alla parte offesa di chiedere l'intervento delle forze dell'ordine ma non indica le fonti della prova della condotta capo D dell'imputazione contestata all'imputato, omettendo in particolare di specificare se sia stata la parte offesa stessa a riferire in ordine alla condotta di spossessamento del telefono cellulare ad opera dell'imputato, ovvero siano state le persone sopraggiunte il cui intervento ha posto termine all'aggressione dell'imputato, ovvero ancora si tratti di una mera deduzione per inferenza dal fatto che la parte offesa, dopo l'aggressione, non abbia più ritrovato il suo telefono cellulare. 3. Pertanto il ricorso va accolto limitatamente al motivo di ricorso riguardante l'imputazione per rapina e in questa parte la sentenza impugnata va annullata con rinvio alla corte d'appello di Bari per nuovo giudizio sul punto. Nel resto, quanto alle altre imputazioni suddette, il ricorso va rigettato. P.Q.M. la Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di rapina di cui al capo D e rinvia ad altra sezione della corte d'appello di Bari per nuovo giudizio sul punto rigetta il ricorso nel resto.