Anche a prescindere dal rinvio contenuto nella disciplina collettiva, è lecito per le parti del contratto di lavoro subordinato pattuire una durata del preavviso maggiore rispetto a quella prevista dal CCNL, giacché tale pattuizione può giovare al datore di lavoro ed è altresì sicuramente favorevole al lavoratore, che resta avvantaggiato dal computo dell’intero periodo agli effetti dell’indennità di anzianità, dei miglioramenti retributivi e di carriera e dal regime di tutela della salute.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza numero 4991, depositata il 12 marzo 2015. Il caso. La Corte d’appello di Palermo, confermando la sentenza di primo grado, rigettava la domanda con cui un ex dipendente di un Istituto di Credito lamentava l’illegittimità dell’accordo di prolungamento del preavviso di dimissioni da 1 a 18 mesi , chiedendo per l’effetto la restituzione delle somme trattenute da quest’ultimo quale relativa indennità sostitutiva. Ritenevano i Giudici di merito che l’articolo 2118 c.c. disciplinasse imperativamente solo l’obbligatorietà del preavviso, la cui durata poteva invece essere oggetto di accordo tra le parti. La durata del preavviso può essere decisa dalle parti. Contro tale pronuncia, il lavoratore ricorreva alla Corte di Cassazione articolando vari motivi. Per quanto qui interessa, in particolare, il ricorrente lamentava la violazione degli articolo 98 disp. att. c.p.c. e 14 r.d.l. numero 1825/1924, affermando che tale disciplina per la quale il preavviso di dimissioni era pari a 2 mesi poteva essere derogata solo da previsioni collettive più favorevoli al lavoratore. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione la quale, affermando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. Ad avviso della Corte, infatti, il summenzionato r.d.l. risultava espressamente limitato all’ipotesi di «mancanza di norme corporative» in materia. Rinvio che, alla luce della soppressione dell’ordinamento corporativo, doveva intendersi effettuato alla norme collettive applicabili erga omnes ex d.P.R. numero 934/1962 le quali, rispetto ai dipendenti del settore credito, espressamente prevedevano la possibilità per la parti di «abbreviare o prolungare il termine» di preavviso. Il lavoratore può disporre della sua facoltà di recesso. Ad avviso della Corte, l’unico aspetto inderogabilmente previsto dalla legge riguarda quindi l’obbligo, in ipotesi di recesso, di garantire un periodo di preavviso o di corrispondere la relativa indennità sostitutiva , risultando pienamente lecita la pattuizione individuale relativa alla sua durata. Del resto, che il lavoratore subordinato possa liberamente disporre della propria facoltà di recesso è principio oggi del tutto pacifico in giurisprudenza come sempre più spesso viene affermato rispetto ai c.d. patti di stabilità cfr. Cass. nnumero 17010/2014 18547/2009 17817/2005 . In conclusione, afferma la Corte, «può dirsi che l’ordinamento rimette alle parti sociali ovvero alle stesse parti del rapporto la facoltà di disciplinare la durata del preavviso in relazione alla proprie valutazioni di convenienza, rendendo essenzialmente le parti arbitre del giudizio di maggior favore della disciplina concordata». Il sacrificio del lavoratore ha un costo? Nel caso di specie, il patto di prolungamento del preavviso aveva una durata temporale ben determinata - esaurita la quale le parti avevano la possibilità di disdetta del patto – ed era accompagnato da consistenti vantaggi per il lavoratore i.e. passaggio di livello ed erogazione di un «assegno ad personam » , circostanze che rendevano senza dubbio legittima la previsione di un preavviso di dimissioni superiore a quello previsto per l’ipotesi di licenziamento Cass. numero 23235/2009 . Brevi riflessioni conclusive. La pronuncia in commento ripercorre compiutamente, facendoli propri, principi che in materia possono dirsi ormai consolidati. In questo senso, maggiore interesse solleva la prima parte del percorso argomentativo della Corte, ove parrebbe intendersi una completa libertà delle parti di derogare la durata del preavviso previsto dal CCNL. Se non sembrano sussistere grandi dubbi nelle ipotesi in cui la durata del preavviso per l’ipotesi di licenziamento sia uguale a quello previsto per le dimissioni ancorché superiore a quello del CCNL , maggiori riflessioni suscita la sola estensione del preavviso per quest’ultima fattispecie. In questo senso la sentenza non chiarisce se anche tale previsione sia lecita come parrebbe dalla prima parte della motivazione, che tuttavia può prestarsi ad una duplice lettura indipendentemente da qualsivoglia previsione del CCNL e, soprattutto, se questa estensione abbia un costo. Ad avviso di chi scrive è necessario distinguere se il CCNL conceda o meno tale possibilità nel primo caso, prendendo quale esempio il CCNL del Credito, non sarà necessario prevedere alcun corrispettivo, atteso che la fonte collettiva non lo richiede mentre nel secondo caso un corrispettivo sarà necessario, poiché in mancanza – ed in estrema sintesi – si verificherebbe una violazione dell’articolo 2077 c.c
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 dicembre 2014 – 12 marzo 2015, numero 4991 Presidente Macioce – Relatore Buffa Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 29.6.07 la corte d'appello di Palermo, confermando la sentenza del tribunale di Agrigento del 9.4.03, ha rigettato la domanda del lavoratore C. , dipendente del Credito Emiliano, volta a sentir dichiarare l'invalidità dell'accordo individuale sottoscritto, con il quale si era prorogato da 1 a 18 mesi il periodo di preavviso, nonché, conseguentemente, volta ad ottenere la restituzione delle somme trattenute dalla banca per la violazione del preavviso da parte del lavoratore. In particolare, la corte territoriale ha ritenuto che l'inderogabilità dello articolo 2118 c.c. riguarda solo l'obbligatorietà del preavviso, la cui durata può essere regolata invece dalla contrattazione collettiva e anche da accordi individuali. 2. Ricorre avverso tale sentenza il lavoratore con quattro motivi, cui resiste la banca con controricorso. 3. Con il primo motivo si deduce ex articolo 360 numero 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli articoli 98 att. c.p.c. e 14 RDL 1825/1924, per avere la sentenza impugnata trascurato che le disposizioni del regio decreto citato che prevedono un preavviso di due mesi sono applicabili, salvo che vi sia una disciplina più favorevole dettata dalla contrattazione collettiva, nella specie non ricorrente. Con il secondo motivo si deduce ex articolo 360 numero 3 c.p.c. violazione degli articoli 1344, 1418, 2118 c.c., 98 att. c.p.c. e 14 RDL 1825/1924, per avere la sentenza impugnata trascurato che l'articolo 2118 c.c. rinvia alla contrattazione collettiva e non anche all'autonomia individuale. Con il terzo motivo di ricorso si deduce ex articolo 360 numero 3 c.p.c. violazione dell'articolo 2118 c.c. e 14 del regio decreto citato nonché dell'articolo 63 del contratto collettivo di categoria, per avere la sentenza impugnata trascurato che il termine del contratto collettivo non è derogabile a tutela della libertà di recesso del lavoratore. Con il quarto motivo di ricorso si deduce ex articolo 360 numero 3 c.p.c. violazione dell'articolo 2077 c.c., per avere la sentenza impugnata trascurato che il trattamento pattuito è complessivamente più sfavorevole per il lavoratore, dovendo effettuarsi la valutazione circa il carattere più o meno favorevole in relazione all'istituto applicabile e non anche ai vantaggi economici diversi derivanti al lavoratore. Motivi della decisione 4. Occorre premettere sul piano delle fonti disciplinatrici del preavviso e del relativo contenuto che, in tema di preavviso, l'articolo 2118 c.c. prevede che ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità . 5. L'articolo 98 att. c.c. prevede poi che nei rapporti d'impiego inerenti all'esercizio dell'impresa, in mancanza di norme corporative o di usi più favorevoli, per quanto concerne la durata del periodo di preavviso Cod. Civ. 2118 , si applicano le corrispondenti norme del Regio decreto legge 13 novembre 1924, numero 1825, convertito nella legge 18 marzo 1926, numero 562 , norme che prevedono in due mesi la durata del preavviso. In tema, poi, il c.c.numero l. per i dipendenti delle aziende di credito del 31.8.55, reso efficace erga omnes con d.P.R. numero 934/62, prevede un preavviso di un mese, salvo che intervenga tra il lavoratore e l'azienda un accordo per abbreviare o prolungare il termine . Infine, il contratto stipulato dalle parti prevede un termine di preavviso di 18 mesi. 6. La sentenza impugnata, con interpretazione corretta e coerente con il dato letterale delle disposizioni interpretate, ha ritenuto da un lato che il nucleo di inderogabilità della norma codicistica riguarda solo l'obbligatorietà del preavviso e non anche la sua durata, la cui disciplina è stata rimessa alle fonti subordinate dall'altro lato, la corte ha correttamente ritenuto inapplicabile nel caso il d.l. 1825/24, perché il decreto è applicabile solo in mancanza di norme corporative la soluzione può condividersi per la ragione che, siccome le parti sociali, nel realizzare un bilanciamento complessivo degli interessi contrastanti, tendono ad assicurare un assetto più favorevole proprio in quanto volontariamente approvato e perseguito, è ragionevole pensare che il legislatore abbia inteso demandare alla contrattazione corporativa la disciplina in deroga, essendo implicito a differenza di quanto avviene per gli usi una valutazione di convenienza e dunque di maggior favore per il lavoratore nella stessa stipula di norme applicabili alla generalità dei lavoratori. Naturalmente, oggi il riferimento alle norme corporative, una volta soppresso l'ordinamento corporativo, è da intendersi alle norme contrattuali collettive applicabili erga omnes . 7. Una volta ammessa la disciplina da parte della contrattazione collettiva della durata del preavviso, non può che affermarsi la legittimità della disciplina individuale alla quale la contrattazione collettiva come nella specie faccia rinvio per la regolamentazione della durata del preavviso. 8. Va peraltro rilevato che, anche a prescindere dal rinvio contenuto nella disciplina collettiva, questa Corte ha da tempo risolto in senso positivo in ogni caso il problema della legittimità delle pattuizioni individuali volte a regolamentare il preavviso, affermando Sez. L, Sentenza numero 3741 del 09/06/1981 che, nel rapporto di lavoro dipendente, il preavviso si pone come condizione di liceità del recesso, la cui inosservanza e sanzionata dall'Obbligo di corrispondere da parte del recedente una indennità sostitutiva pertanto esso non può essere preventivamente escluso dalla volontà delle parti ne essere limitato nella sua durata rispetto a quello fissato dalla contrattazione collettiva è lecito invece, mediante accordo individuale, pattuirne una maggior durata giacche tale pattuizione può giovare al datore di lavoro, come avviene nel caso in cui non è agevole la sostituzione del lavoratore recedente, ed è sicuramente favorevole a quest'ultimo che resta avvantaggiato dal computo dell'intero periodo agli effetti della indennità di anzianità, dei miglioramenti retributivi e di carriera e dal regime di tutela della salute, v. pure Cass. numero 5929/79 . Nel medesimo senso si è ritenuto Sez. L, Sentenza numero 18547 del 20/08/2009 Sez. L, Sentenza numero 17817 del 07/09/2005 che il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell'ipotesi di pattuizione di una garanzia di durata minima dello stesso, e che non contrasta pertanto con alcuna norma o principio dell'ordinamento giuridico la clausola con cui si prevedano limiti all'esercizio di detta facoltà, stabilendosi a carico del lavoratore un obbligo risarcitorio per l'ipotesi di dimissioni anticipate rispetto ad un periodo di durata minima nella fattispecie, il contratto era stato stipulato per l'assunzione di un pilota presso una compagnia aerea che si assumeva i costi dell'addestramento per il conseguimento dell'abilitazione a condurre un dato tipo di aeromobile inoltre, la medesima clausola non rientra neppure in alcuna delle ipotesi di cui al secondo comma dell'articolo 1341 cod. civ., per le quali è richiesta l'approvazione specifica per iscritto. Il principio è stato ribadito ancor più di recente Sez. L, Sentenza numero 17010 del 25/07/2014 essendosi affermato che il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso dal rapporto, come nell'ipotesi di pattuizione di una garanzia di durata minima dello stesso, che comporti, fuori dell'ipotesi di giusta causa di recesso di cui all'articolo 2119 cod. civ., il risarcimento del danno a favore della parte non recedente, conseguente al mancato rispetto del periodo minimo di durata del rapporto né può prospettarsi, in relazione alle clausole pattizie che regolano l'esercizio della facoltà di recesso dal rapporto di lavoro subordinato, una limitazione della libertà contrattuale del lavoratore, in violazione della tutela assicurata dai principi dell'ordinamento. 9. Alla luce di tale ricostruzione, può dirsi che l'ordinamento rimette alle parti sociali ovvero alle stesse parti del rapporto la facoltà di disciplinare la durata del preavviso in relazione alle proprie valutazioni di convenienza, rendendo essenzialmente le parti arbitre del giudizio di maggior favore della disciplina concordata. 10. Nel descritto contesto, la durata legale o contrattuale del preavviso è dunque derogabile dall'autonomia individuale in relazione a finalità meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico, quale quella per il datore di garantirsi nel tempo la collaborazione di un lavoratore particolarmente qualificato, sottraendolo alle lusinghe della concorrenza, mediante l'attribuzione al dipendente di ulteriori benefici economici e di carriera in funzione corrispettiva del vincolo assunto dal dipendente circa la limitazione della facoltà di recesso ancorandone l'esercizio ad un più lungo periodo di preavviso. 11. La pattuizione individuale peraltro con patto ad efficacia temporanea ben determinata, esaurita la quale i contraenti hanno la possibilità di disdetta con preavviso del patto stesso di una più ampia durata del preavviso a fronte di cospicui vantaggi per il lavoratore nel caso, la promozione a funzionario di terza categoria, l'attribuzione del relativo trattamento economico e la corresponsione di un assegno ad personam di 500.000 lire lorde per tredici mensilità è dunque legittima, essendosi già affermato in sede di legittimità Sez. L, Sentenza numero 23235 del 03/11/2009 il principio, che qui va ribadito, secondo il quale, in materia di recesso dal rapporto di lavoro, è valida la clausola del contratto individuale che preveda un termine di preavviso per le dimissioni più lungo rispetto a quello stabilito per il licenziamento, ove tale facoltà di deroga sia prevista dal contratto collettivo ed il lavoratore riceva, quale corrispettivo per il maggior termine, un compenso in denaro la sentenza ha escluso altresì che tale accordo si ponga in contrasto con l'articolo 1750 cod. civ., di cui va esclusa l'applicazione, attesa l'impossibilità di ravvisare una analogia fra il contratto di lavoro subordinato e quello d'agenzia, nel quale il lavoratore autonomo sopporta il rischio economico . 12. Poiché la sentenza impugnata si è attenuta al principio su esteso, il ricorso deve essere rigettato. 13. Le spese seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro quattromila per compensi e cento per spese, oltre accessori come per legge e spese generali nella misura del 15%.