La previsione di strumenti sollecitatori non sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda in caso di omesso esercizio degli stessi, né implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell'apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio.
La sesta sezione civile della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 47/2016 del 5 gennaio scorso, ha annullato la decisione impugnata che aveva negato il diritto al risarcimento del danno ex Legge Pinto sul presupposto della mancata sollecitazione rivolta ai giudici amministrativi , da parte del soggetto ricorrente, circa la definizione del procedimento pendente. Il caso. Un processo amministrativo avanti al Tar Lazio durava circa 20 anni. Infatti, un medico aveva chiesto di partecipare ad un concorso indetto da un ospedale per la nomina a primario. Ma, nonostante l’inoltro della domanda e la sussistenza dei requisiti, l’istante non veniva neppure convocato per partecipare alla prova scritta. Su queste basi il medico proponeva, nel 1992, ricorso al Tar Lazio, depositando immediatamente l’istanza di fissazione udienza e quella di prelievo. Nonostante diverse e successive istanze di fissazione dell’udienza, la discussione veniva rimandata al 2011 e la causa decisa con sentenza del 2012 il ricorso era rigettato per carenza di giurisdizione del giudice adito. Il medico proponeva quindi ricorso ex Legge Pinto al Presidente della Corte d’Appello di competenza, il quale liquidava in Euro 8.000 i danni da ritardo. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze proponeva opposizione, che la Corte d’Appello accoglieva, rigettando la pretesa risarcitoria e condannando alle spese il medico. I motivi del rigetto, in prima battuta, dell’istanza risarcitoria. Secondo la Corte d’Appello era da escludere che la protrazione del giudizio presupposto avesse potuto arrecare un apprezzabile danno al ricorrente sotto il profilo dell'ansia collegata alla perdurante incertezza riguardo al suo esito, posto che il ricorrente era ben consapevole di aver adito un giudice, quello amministrativo, privo di giurisdizione. Inoltre, il ricorrente, dopo l'iniziale richiesta di prelievo e di fissazione di udienza, era rimasto inerte dal 1992 sino a 2010. Questo comportamento dimostrerebbe che la parte non aveva alcun interesse alla decisione ed i motivi sottostanti potrebbero essere legati alla consapevolezza del difetto di giurisdizione o alla scelta strumentale di mantenimento in piedi del processo. Irragionevole durata del processo il danno non patrimoniale è conseguenza normale. Gli Ermellini precisano che il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di modo che va ritenuto sussistente, senza bisogno di specifica prova, diretta o presuntiva, in ragione dell’obiettivo riscontro di detta violazione, sempre che non ricorrano circostanze particolari che ne evidenzino l'assenza nel caso concreto. Solo l’abuso del processo escluderebbe il diritto al risarcimento dei danni. Il diritto all’equa riparazione di cui alla l. numero 89/2001, articolo 2, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, e dalla consistenza economica o dalla importanza sociale della vicenda, salvo che l'esito del processo presupposto non abbia un riflesso sull'identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell'eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l’irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell'infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità, e, di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo - e, perciò, costituenti altrettanti deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata - deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell’indicato danno. La Corte d’Appello non ha osservato questi principi e soprattutto, nell’escludere l'equo indennizzo, non ha indicato la prova che consentirebbe di identificare un’ipotesi di abuso del processo presupposto. I giudici di merito si sono infatti limitati a ritenere che il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo fosse un dato che chiunque avrebbe potuto e dovuto conoscere sol perché la giurisprudenza sul tema era consolidata però la presunzione della Corte d’Appello si basa non su un fatto ma su altra presunzione, per altro incerta, cioè che il ricorrente conoscesse la giurisprudenza, peraltro neppure indicata dal provvedimento impugnato. La mancata sollecitazione della definizione del giudizio è motivo di esclusione del risarcimento del danno?. Risposta negativa della Cassazione. Secondo il provvedimento gravato, il fatto che il ricorrente non avesse depositato alcuna istanza di prelievo atta a sollecitare la definizione del processo pendente dal 1992 sino al 2010, era circostanza tale da far escludere il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per l’eccessiva durata del processo amministrativo, facendo ritenere inesistente la sofferenza per le lungaggini della causa. Ma questo ragionamento viene “cassato” dagli Ermellini. Infatti, in tema di equa riparazione ai sensi della l. 24 marzo 2001 numero 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall'instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell'istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa. La previsione di strumenti sollecitatori, infatti, non sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, in caso di omesso esercizio degli stessi, né implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell'apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio.
Corte di Cassazione, sez VI Civile – 2, sentenza 9 luglio 2015 – 5 gennaio 2016, numero 47 Presidente Petitti – Relatore Scalisi Svolgimento del processo Con ricorso al Presidente della Corte di Appello di Perugia F.F. chiedeva decreto di condanna del Ministero dell'Economia e delle Finanze ai sensi dell'articolo 3 della legge 89 del 2001, lamentando l'eccessiva durata del procedimento svoltosi davanti al Tar del Lazio. Nel giudizio presupposto, il ricorrente premesso di essere laureato in medicina e Chirurgia provvisto di idoneità nazionale e primario di Chirurgia Plastica all'epoca responsabile del servizio di chirurgia plastica e ricostruttiva presso l'Istituto omissis inoltrava in data 27 dicembre 1991 all'Ospedale Generale di Zona omissis , domanda di partecipazione al concorso bandito per la nomina a primario presso questo Ospedale. Tuttavia nonostante la domanda fosse stata ricevuta dall'Ente e benché il ricorrente possedesse tutti i requisiti richiesti dal bando di concorso e la domanda fosse stata presentata entro il termine previsto dal bando, lo stesso non veniva convocato a partecipare alla prova scritta del 5 febbraio 1992. In ragione di ciò F.F. , il 16 aprile 1992, provvedeva a ricorrere al Tar del Lazio per sentir riconoscere i propri diritti. In data 1 giugno 1992 il ricorrente provvedeva a depositare istanza di prelievo ed il giorno successivo istanza di fissazione udienza. Si costituiva l'Ospedale Generale omissis . Nonostante le ripetute istanze di fissazione udienza il Tar del Lazio fissava la prima udienza di discussione il 2 novembre 2011 e decideva la causa con sentenza numero 138 del 2012 con la quale il ricorso veniva dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice adito. Il Giudice designato provvedeva sulla domanda di equa riparazione con decreto 793 del 2013 e ingiungeva all'Amministrazione il pagamento della somma di Euro. 8.000,00. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze, con ricorso ex articolo 5 ter della legge numero 89 del 2001, proponeva opposizione assumendo che il decreto fosse inficiato dai vizi di violazione e falsa applicazione dell'articolo 54 del DL 112 del 2008 e, comunque, l'erroneità della liquidazione. Si costituiva F. chiedendo il rigetto del gravame. La Corte di appello di Perugia, con Decreto numero 457 del 2014, in accoglimento dell'opposizione revocava il decreto e rigettava la domanda di equa riparazione. Condannava F. al pagamento delle spese di giustizia. Secondo la Corte di Perugia nel caso di specie si doveva escludere che la protrazione del giudizio presupposto avesse potuto arrecare un apprezzabile danno al ricorrente sotto il profilo dell'ansia collegata alla perdurante incertezza riguardo al suo esito, posto che F. era ben consapevole di avere adito un giudice, quello amministrativo, privo di giurisdizione. Non solo ma il F. dopo l'iniziale richiesta di prelievo e di fissazione di udienza dal 1992 fino al 2010 era rimasto inerte. Questo comportamento dimostrerebbe che la parte non aveva alcun interesse alla decisione ed i motivi sottostanti potrebbero essere legati o alla consapevolezza del difetto di giurisdizione o alla scelta strumentale del mantenimento in piedi del processo. La cassazione di questo decreto è stata chiesta da F. per due motivi. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1.- Con il primo motivo F.F. denuncia la violazione dell'articolo 2, primo e secondo comma, della legge numero 89 del 2001 e dell'articolo 6 paragrafo 1 CEDU in relazione all'articolo 360, primo comma, numero 3 cpc. Violazione di norme di diritto con riferimento alla ravvisata inesistenza del danno non patrimoniale per l'eccessiva durata di un procedimento amministrativo in ragione della sussistenza dei precedenti giurisprudenziali sfavorevoli. Secondo il ricorrente la Corte distrettuale nell'aver escluso la sussistenza del danno morale perché il F. era ben consapevole di aver adito un giudice carente di giurisdizione, non avrebbe tenuto conto del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa corte con le sentenze nnumero 1338, 13398, 1340 e 1341 del 2004 nonché con la sentenza numero , 15093 del 2004 secondo il quale il danno non patrimoniale rappresenta una conseguenza normale ancorché non automatica né necessaria della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo di cui all'articolo 6 della CEDU. Piuttosto, va rilevato che in realtà nel ricorrente non vi era alcuna consapevolezza del difetto di giurisdizione e comunque detta consapevolezza avrebbe dovuto essere fornita di adeguato supporto probatorio e non basata su un semplice rinvio alla motivazione della sentenza del giudizio amministrativo. In sostanza nel caso in esame non si ravviserebbero gli estremi di una lite temeraria né gli estremi del cd abuso del processo. 1.1.- Il motivo è fondato È orientamento, consolidatosi dopo gli arresti delle Sezioni Unite di questa Corte, quello secondo il quale il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di modo che va ritenuto sussistente, senza bisogno di specifica prova diretta o presuntiva , in ragione dell'obiettivo riscontro di detta violazione, sempre che non ricorrano circostanze particolari che ne evidenzino l'assenza nel caso concreto Cass. S.U. numero 1338 e numero 1339 del 2004 successivamente, per tutte, Cass. numero 6898 del 2008 numero 23844 del 2007 . Il diritto all'equa riparazione di cui alla L. numero 89 del 2001, articolo 2, spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, e dalla consistenza economica o dall'importanza sociale della vicenda, salvo che l'esito del processo presupposto non abbia un riflesso sull'identificazione, o sulla misura, del pregiudizio sofferto dalla parte in conseguenza dell'eccessiva durata della causa, come quando il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire l'irragionevole durata di esso, o comunque quando risulti la piena consapevolezza dell'infondatezza delle proprie istanze o della loro inammissibilità, e, di tutte queste situazioni, comportanti abuso del processo e, perciò, costituenti altrettante deroghe alla regola della risarcibilità della sua irragionevole durata, deve dare prova la parte che le eccepisce per negare la sussistenza dell'indicato danno Cass. numero 7139 del 2006 numero 21088 del 2005 numero 19204 del 2005 . Ora, nel caso concreto, la Corte distrettuale non ha osservato questi principi e soprattutto nell’escludere l'equo indennizzo non ha indicato la prova che consentirebbe di identificare un'ipotesi di abuso del processo presupposto. Il ragionamento presuntivo della Corte distrettuale, che avrebbe potuto avere una sua specifica rilevanza, nel caso specifico, non è apprezzabile, perché da per certi e dimostrati fatti che sono rimasti semplicemente affermati. La Corte di merito, in verità, si limita a ritenere che il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo fosse un dato che chiunque avrebbe potuto e dovuto conoscere sol perché la giurisprudenza sul tema era consolidata, epperò la presunzione della Corte si fonda non su un fatto certo ma su altra presunzione, per altro incerta, cioè, che il F. conoscesse la giurisprudenza cui fa riferimento il decreto impugnato, che non è stata neppure indicata. Priva di prova è, altresì, l'esistenza di un disinteresse, della parte, alla decisione, posto che nel 2010, sia pure, dopo molto tempo, dall'instaurazione del processo, la parte ha provveduto ad avanzare istanza di prelievo. 2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 2, primo e secondo comma, della legge numero 89 del 2001 e dell'articolo 6 paragrafo 1 CEDU in relazione all'articolo 360, primo comma, numero 3 cpc. Violazione di norme di diritto con riferimento all'esclusione del danno non patrimoniale per l'eccessiva durata di un procedimento amministrativo in ragione di deposito di istanza di fissazione di udienza nel 2010. Secondo il ricorrente, la Corte di Perugia, erroneamente, avrebbe ritenuta inesistente la sofferenza per la causa, e, ciò, in considerazione del fatto che l'istanza di fissazione di udienza del 2010 sarebbe stata depositata al solo fine di riproporre il ricorso ex legge Pinto, perché l'allocazione delle posizioni giuridiche sottese al rimedio indennitario nel novero dei diritti fondamentali del cittadino comporta che la valutazione della loro eventuale violazione nel dispiegarsi di un giudizio non possa che essere necessariamente formulata in maniera oggettiva ed è esclusa solo se i ricorrenti abbiano integrato gli estremi dell'abuso del processo. 2.1.- La doglianza è fondata. Come è stato già affermato dalle Sezioni unite di questa Corte in tema di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, numero 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all'articolo 6, p. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall'instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell'istanza di prelievo o alla ritardata presentazione di essa. La previsione di strumenti sollecitatori, infatti, non sospende né differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda, in caso di omesso esercizio degli stessi, né implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell'apprezzamento della entità del lamentato pregiudizio Sez. unumero , 23 dicembre 2005, numero 28507 . D'altra parte l'affermazione della Corte di Perugia secondo la quale la scelta di mantenere in piedi il giudizio sarebbe stata strumentale al fine di proporre il ricorso ex legge Pinto non è fondata su circostanze provate e oggettivamente accettabili. In definitiva il ricorso va accolto, il decreto ingiuntivo va cassato e la causa va rinviata alla Corte di appello di Perugia anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di Appello di Perugia in altra composizione, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.