Il delitto di violenza privata ha in comune con il sequestro di persona l’elemento materiale della costrizione ma se ne differenzia in quanto nel primo ad essere lesa è la libertà psichica di autodeterminazione, mentre nel secondo la lesione riguarda la libertà di movimento.
E’ stato così deciso nella sentenza numero 49610, della Corte di Cassazione, depositata il 27 novembre 2014. Il caso. Il Tribunale, con ordinanza, rigettava la richiesta di riesame proposta dall’indagato avverso il provvedimento applicativo della custodia cautelare in carcere, in relazione alla contestazione provvisoria del reato di concorso in sequestro di persona. Il soccombente ricorreva allora in Cassazione, lamentando la violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla qualificazione giuridica del fatto. Secondo il ricorrente la condotta integrava il reato di violenza privata, poiché non vi erano elementi in grado di provare che la persona offesa, dopo che gli era stato spiegato il motivo per il quale era stato fatto salire a bordo, non avesse accettato volontariamente di partecipare al “chiarimento” richiestogli. E’ sequestro se la libertà fisica della persona è stata limitata. Il motivo è infondato. E’ pacifico in sede di legittimità che «integra il delitto di sequestro di persona la condotta di colui che costringe la vittima, con violenza o sotto minaccia, a salire su un’automobile, in quanto ai fini dell’integrazione del detto delitto è sufficiente che vi sia stata in concreto una limitazione della libertà fisica della persona, in modo da privarla della capacità di spostarsi da un luogo all’altro, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato anche ad un tempo breve» Cass., numero 6488/2005 . Sequestro di persona e violenza privata stesso elemento materiale, due lesioni diverse. In particolare, il delitto di violenza privata ha effettivamente in comune con il sequestro di persona l’elemento materiale della costrizione ma se ne differenzia in quanto nel primo ad essere lesa è la libertà psichica di autodeterminazione, mentre nel secondo la lesione riguarda la libertà di movimento. Infatti, nel sequestro di persona, «l’agente persegue il fine immediato di menomare la libertà cinetica» e «l’elemento soggettivo si sostanzia nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia per indurre taluno a fare od omettere qualcosa» Cass., numero 19548/2013 . Non rileva che la persona offesa aveva, forse, accettato volontariamente di partecipare al “chiarimento”, dal momento che la sua libertà di movimento era stata limitata essendo stato costretto a forza a salire sull’autovettura in uso all’indagato. Sulla base di tali motivi, la Suprema Corte rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 ottobre – 27 novembre 2014, numero 49610 Presidente Lombardi – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. Oggetto del ricorso è l'ordinanza in data 5-6-2014 con la quale il Tribunale di Roma ha rigettato la richiesta di riesame proposta da S.A. avverso il provvedimento emesso il 12-5-2014 dal Gip dello stesso tribunale, applicativo della custodia cautelare in carcere al predetto, con la contestazione provvisoria del reato di concorso in sequestro di persona ai danni di V.C., fatto salire a forza, dopo una colluttazione, su un'autovettura in uso all'imputato e intestata alla madre. 2. L'indagato tramite il difensore deduce tre motivi di doglianza. 3. II primo investe con le censure di violazione di legge e vizio di motivazione la qualificazione giuridica dei fatto che integrerebbe, invece, violenza privata in mancanza di elementi attestanti che C., dopo che gli era stato spiegato il motivo per il quale era stato fatto salire a bordo, non avesse accettato volontariamente di partecipare al 'chiarimento' richiestogli. Mentre la ritenuta inattendibilità della p.o., che non risultava giustificata dal timore di ritorsioni ipotizzato dal tribunale, rendeva irrilevante, ai fini della conferma della prospettazione accusatoria, la cirC. che gli spostamenti riferiti dal C. non fossero confermati dalle celle agganciate dal suo telefono cellulare. 4. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione in punto sussistenza delle esigenze cautelare in quanto il pericolo di inquinamento delle prove sarebbe meramente ipotetico e la pericolosità sociale correlata all'accuratezza, meramente congetturale, della pianificazione dell'azione, mentre l'unica pendenza per truffa non sarebbe significativa. S. Il terzo motivo lamenta vizio di motivazione sul punto dell'inadeguatezza degli arresti domiciliari presso la madre, residente in Calabria, rafforzati dal cd braccialetto '^ elettronico. Considerato in diritto 1. Il ricorso merita rigetto. 2. La prospettazione della configurabilità della violenza privata in luogo del sequestro di persona è distonica rispetto alla consolidata giurisprudenza di questa corte per la quale integra il delitto di sequestro di persona la condotta di colui che costringe la vittima, con violenza o sotto minaccia, a salire su un'automobile, in quanto ai fini dell'integrazione del detto delitto è sufficiente che vi sia stata in concreto una limitazione della libertà fisica della persona, in modo da privarla della capacità di spostarsi da un luogo all'altro, a nulla rilevando la durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato anche ad un tempo breve Cass. 6488/2005 . 3. Tale indirizzo muove dal carattere sussidiario e generico del delitto di cui all'articolo 610 cod. penumero , diretto a reprimere fatti di coercizione non espressamente considerati da altre disposizioni di legge. Esso ha in comune con il sequestro di persona l'elemento materiale della costrizione, ma se ne differenzia in quanto nella violenza privata ad essere lesa è la libertà psichica di autodeterminazione, mentre nel sequestro di persona la lesione concerne la libertà di movimento. Inoltre in quest'ultimo caso l'agente persegue il fine immediato di menomare la libertà cinetica, nel primo l'elemento soggettivo si sostanzia nella coscienza e volontà di usare violenza o minaccia per indurre taluno a fare od omettere qualcosa Cass. 19548/2013, 9731/2009, 41972/2004, 7455/1985 . 4. Ciò considerato, è inconferente lo sforzo del ricorrente di sostenere, peraltro senza il sostegno di concreti elementi, che il C., dopo che gli era stato spiegato il motivo per il quale era stato costretto a salire a bordo, avrebbe accettato volontariamente di partecipare al 'chiarimento' richiestogli, posto che comunque la sua libertà di movimento era stata limitata essendo stato costretto a forza a salire sull'autovettura in uso all'indagato. 5. Mentre l'inattendibilità complessiva della p.o., plausibilmente giustificata nell'ordinanza con il timore di ritorsioni, non fa venir meno la portata accusatoria della non rispondenza degli spostamenti riferiti dal C. all'aggancio delle celle da parte del suo telefono cellulare. 6. Non ha maggior pregio la doglianza, di cui al secondo motivo, di vizio di motivazione in punto sussistenza delle esigenze cautelare in quanto il pericolo di inquinamento delle prove per effetto di interventi minacciosi sulla p.o. è stato ritenuto concreto alla luce del comportamento reticente di questa, e la pericolosità sociale correttamente ancorata alla pianificazione dell'azione, che, essendo opera di tre giovani, non può essere frutto di un'iniziativa estemporanea dei ricorrente, ma costituisce necessariamente esecuzione di un piano concordato. 7. Neppure è viziata la motivazione in punto adeguatezza della sola misura custodiale che si sottrae all'addebito di mera apparenza posto che la valutazione negativa della personalità dell'indagato, idonea a sostenere la prognosi negativa circa l'adesione volontaria a misure cautelati attenuate anche accompagnate da particolari modalità di controllo, per loro natura funzionali alla verifica dell'osservanza delle prescrizioni inerenti alla misura, non già ad incidere sull'adeguatezza della stessa , risulta correlata al giudizio di gravità del fatto, giustificato da quanto osservato al paragrafo precedente. 8. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. penumero .