Il convivente del soggetto autore di attività di spaccio di stupefacenti risponde, a titolo di concorso, qualora abbia agevolato la detenzione della sostanza, mentre la sua punibilità è esclusa se si limita a conoscere l’attività.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 45463, depositata il 4 novembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Caltanissetta condannava una donna per avere, in concorso con il figlio, detenuto in casa, a fini di spaccio, sostanze stupefacenti. L’imputata ricorreva in Cassazione, evidenziando la ridotta dimensione dell’appartamento, l’uso promiscuo della camera matrimoniale e la mancanza di contributo alla detenzione altrui. Perciò, il rinvenimento della sostanza nella camera non poteva essere sufficiente a provare il concorso. Agevolazione. La Cassazione ricorda che il convivente del soggetto autore di attività di spaccio di stupefacenti risponde, a titolo di concorso, qualora abbia agevolato la detenzione della sostanza, mentre la sua punibilità è esclusa se si limita a conoscere l’attività. Nessun obbligo di impedire l’evento. È da escludere, quindi, il concorso del convivente nell’ipotesi di un suo semplice comportamento negativo, limitato ad assistere passivamente al reato e non impedendo o ostacolando l’esecuzione, in quanto non sussiste un obbligo giuridico di impedire l’evento ex articolo 40 c.p Infatti, il solo comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in casa di droga da parte di altri non costituisce segno univoco di partecipazione morale. Nel caso di specie, non era stato dimostrato il passaggio dalla semplice connivenza al concorso nel reato. Il comodino veniva utilizzato da tutti gli occupanti della casa, ma la Corte territoriale aveva affermato che questo fosse della donna, senza, tuttavia, dare una motivazione al riguardo. Per questo motivo, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione alla Corte d’appello di Milano.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 ottobre – 4 novembre 2014, numero 45463 Presidente Squassoni – Relatore Andreazza Ritenuto in fatto 1. F.R. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Caltanissetta che ha confermato la sentenza del G.u.p. presso il Tribunale di Caltanissetta relativamente alla condanna dello stessa per il reato di cui all'articolo 73, comma 1, del d.P.R. numero 309 del 1990 per avere, in concorso col figlio F.M.E. lecitamente detenuto a fini di spaccio, nella propria abitazione, complessivi grammi 27,16 di hashish. Con un unico complessivo motivo lamenta la mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine al motivo di gravame con cui, evidenziandosi le ridottissime dimensioni dell'appartamento, l'uso promiscuo ella camera matrimoniale e l'assenza di ogni contributo materiale o psicologico alla detenzione altrui, il fatto del rinvenimento di parte dello stupefacente nel cassetto del comodino posto in detta camera, utilizzata appunto promiscuamente quale unico dato valorizzato dai giudici , non poteva avere alcun rilievo probante circa il concorso addebitato. Considerato in diritto 2. Il ricorso è fondato. Va premesso che questa Corte ha già affermato che il convivente del soggetto autore di attività di spaccio di sostanze stupefacenti ne risponde a titolo di concorso ove abbia quanto meno agevolato la detenzione della sostanza, consentendone l'occultamento, mentre non ne risponde se si sia limitato a conoscere di tale attività Sez. 3, numero 9842 del 10/12/2008, Gentiluomini, Rv. 242996 . E' necessario, quindi, un contributo causale in termini, sia pur minimi, di facilitazione della condotta delittuosa mentre la semplice conoscenza o anche l'adesione morale, l'assistenza inerte e senza iniziative a tale condotta non realizzano la fattispecie concorsuale Sez. 4, numero 3924 del 05/02/1998, Brescia, Rv. 210638 cfr. anche Sez. 6, numero 11383 del 20/10/1994, Bonaffini, Rv. 199634 . Deve quindi, in altri termini, essere escluso il concorso dei convivente ex articolo 110 c.p. in ipotesi di semplice comportamento negativo di quest'ultimo che si limiti ad assistere passivamente alla perpetrazione dei reato e non ne impedisca od ostacoli in vario modo la esecuzione, dato che non sussiste in tale caso un obbligo giuridico di impedire l'evento ex articolo 40 c.p. giacché il solo comportamento omissivo di mancata opposizione alla detenzione in casa di droga da parte di altri non costituisce segno univoco di partecipazione morale. Di contro, per la configurazione del concorso, è sufficiente la partecipazione all'altrui attività criminosa con la volontà di adesione, che può manifestarsi in forme agevolative della detenzione, consistente nella consapevolezza di apportare un contributo causale alla condotta altrui già in atto, assicurando all'agente una certa sicurezza ovvero garantendo, anche implicitamente, una collaborazione in caso di bisogno, in modo da consolidare la consapevolezza nell'altro di poter contare su una propria attiva collaborazione cfr., con riferimento al concorso del coniuge, Sez. 6, numero 9986 del 20/05/1998, Costantino, Rv. 211587 . 3. Nella specie, la motivazione resa dai giudici della sentenza impugnata non appare indicativa del superamento , necessario, per quanto appena detto, ai fini dell'affermazione di responsabilità, della linea di demarcazione tra la semplice connivenza, non punibile, e il concorso nel reato ex articolo 110 c.p. Infatti, seppure appare logica l'affermazione per cui il rinvenimento dello stupefacente in un luogo segnatamente il comodino della camera da letto utilizzato dall'indagata proverebbe il contributo concorsuale consistente nell'occultamento delle dosi di hashish all'interno di detto comodino, nessuna risposta appare data sulla doglianza, espressamente sollevata con l'atto di appello, secondo cui detto comodino sarebbe stato posto, come risultante dal verbale di perquisizione ove si rilevava che l'armadio posto nella camera da letto conteneva vestiti anche da uomo, in luogo usato promiscuamente da tutti gli occupanti della casa, non potendo, dunque, essere ricondotto alla sola F. in altri termini, parrebbe, cioè, che la Corte territoriale, aderendo all'impostazione già seguita dal primo giudice, abbia dato per assodato che il comodino fosse della donna senza tuttavia spiegarne, come era doveroso a fronte della specifica censura mossa, il perché. Detta omissione, in quanto investente punto che, nella motivazione svolta, appare decisivo la stessa Corte, infatti, come del resto conseguente alla diversità del fatto, appare porre in seconda linea le dichiarazioni della donna ammissive della ulteriore condotta di coltivazione della piantina di cannabis indica , comporta l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Caltanissetta.