Lavori in corso sulla strada, fatturato in calo per la ‘concessionaria’: nessun risarcimento

Secondo il proprietario dell’attività commerciale, l’occupazione dell’area antistante la ‘concessionaria’ ha avuto effetti deleteri, comportando un crollo di automobili immatricolate, con effetti sui ricavi. Ma i dati messi sul tavolo non sono sufficienti per ritenere acclarato il danno lamentato dall’imprenditore.

Cartello ‘lavori in corso’ proprio davanti all’esercizio commerciale – un concessionario ‘Lancia’, per la precisione –, a seguito della occupazione, da parte dello Stato, di quell’area per la realizzazione della ‘variante’ di una strada statale. Proteste e lamentele dell’imprenditore, il quale mette sul tavolo la riduzione dell’utile netto. Tutto irrilevante, però. Perché, nonostante i dati economici negativi, è impensabile ottenere dallo Stato un risarcimento Cass., sent. numero 10191/2015, Prima Sezione Civile, depositata oggi . Utile. Punto di svolta, nella battaglia giudiziaria, è la decisione della Corte d’appello, laddove, in controtendenza rispetto a quanto stabilito in Tribunale, si ritiene priva di fondamento la richiesta di «risarcimento dei danni» proposta da un imprenditore e legata alla «riduzione dell’utile netto della sua impresa», riduzione consequenziale, a suo dire, alla «illegittima occupazione dell’area antistante l’esercizio commerciale», una concessionaria ‘Lancia’. Per i giudici, in sostanza, non è acclarato il «nesso di causalità tra l’occupazione illegittima dell’area antistante l’esercizio commerciale e il peggioramento dei conti dell’impresa negli anni 1993 e 1994». A dar forza a questa visione anche, sempre secondo i giudici, «l’esistenza di un secondo accesso, da altra strada principale, all’esercizio commerciale». Peraltro, viene aggiunto, va tenuta presente anche la «crisi economica» che in quegli anni aveva inciso negativamente anche «su altre imprese omogenee». Nessuna possibilità di risarcimento, quindi, per l’imprenditore, che aveva rivolto i propri strali contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Danno. Per il proprietario della concessionaria d’automobili, però, la visione dei giudici è troppo semplicistica, soprattutto perché è stato trascurato un particolare non secondario «la ‘statale’, strada particolarmente idonea per dimensioni e illuminazione, costituiva l’unico accesso all’officina e l’ingresso principale della struttura commerciale, visibile per le pareti quasi integralmente a vetrina e dunque adibita ad esposizione». Difatti, «l’occupazione» di quella area «aveva ridotto il traffico sulla ‘statale’» e, aggiunge l’imprenditore, «anche il bacino di utenza dell’esercizio commerciale», provocando, allo stesso tempo, «disagi alla clientela» e favorendo «aziende concorrenti posizionate» meglio, ossia «all’imbocco del viale d’accesso alla sua concessionaria». E dinanzi ai giudici della Cassazione l’uomo ribadisce che quella precaria situazione aveva avuto effetti negativi «ne era conseguita una riduzione del volume degli affari», sostiene. Più precisamente, egli afferma che «tra il 1990 e il 1994 il fatturato si era ridotto» notevolmente, passando da oltre 6miliardi di lire a neanche 3miliardi di lire, aggiungendo che «il numero delle vetture immatricolate» era passato «da 370 a 118». Evidente, quindi, per l’imprenditore la «riduzione degli affari» determinata dalla «occupazione illegittima tra il 1990 e il 1994». Nonostante tutto, però, la ricostruzione proposta dall’uomo viene ritenuta non sufficiente dai giudici del ‘Palazzaccio’. Questi ultimi, difatti, condividendo le valutazioni compiute in Appello, ricordano che «incombe sul danneggiato l’onere di provare il nesso tra il comportamento addebitato al presunto danneggiante e il fatto dannoso», ed evidenziano che, in questo caso, è mancata, invece, la ‘prova provata’ della «esistenza del danno». Su questo fronte, in particolare, viene ritenuta «semplicistica e fuorviante» la «comparazione proposta tra i risultati di esercizio del 1990 e del 1994, senza alcuna considerazione per l’andamento del mercato negli anni precedenti e in quelli intermedi, posto che il danno si assume verificato negli anni 1993 e 1994». Piuttosto, sarebbe stata utile una «valutazione comparativa con l’andamento di altre aziende omogenee, nel corso dell’illecita occupazione», soprattutto tenendo presente che nelle vicinanze della «concessionaria dell’imprenditore» vi erano «aziende concorrenti che avrebbero ben potuto offrire un termine di comparazione particolarmente significativo». Evidente, per i giudici, la «carenza della prova di un danno». E ciò, ovviamente, conduce a confermare la decisione emessa in Appello nessun risarcimento per il proprietario della concessionaria ‘Lancia’.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 11 marzo – 19 maggio 2015, numero 10191 Presidente Salvago - Relatore Nappi Svolgimento del processo Per quanto qui ancora rileva, con la sentenza impu gnata la Corte d'appello di Napoli, in riforma della sentenza di primo grado, rigettò la domanda pro posta da M.D.G. nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri e della Ascosa Ferroviaria s.c. a r.l., per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni lamentati dall'attore per la riduzione dell'utile netto della sua impresa di concessionario Lancia quale conseguenza dell'illegittima occupazione dell'area antistante l'esercizio commerciale. Ritennero i giudici del merito che non risultasse provato un nesso di causalità tra l'occupazione il legittima dell'area antistante l'esercizio commerciale e il peggioramento dei conti dell'impresa di M.D.G. negli anni 1993 e 1994. Infatti non era stato compiuto alcun accertamento, né si poteva procedervi a distanza di vent'anni dai fat ti, sullo stato dei luoghi durante l'occupazione, non si era considerata l'esistenza di un secondo accesso all'esercizio commerciale da altra strada principale, non era stata valutata l'eventuale in cidenza della crisi economica di quegli anni anche su altre imprese omogenee né si era tenuto conto delle ragioni che avevano indotto negli anni successivi M.D.G. a lasciare la Lancia per la Citroenumero Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione M.D.G., deducendo un unico com plesso motivo d'impugnazione, cui resistono con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Ascosa Ferroviaria s.c.a r.l Motivi della decisione l. Con l'unico complesso motivo il ricorrente dedu ce violazione e falsa applicazione degli articolo 2043, 2697, 1226 c.c., vizi di motivazione della decisio ne impugnata. Sostiene che la statale variante SS 7 bis, strada particolarmente idonea per dimensioni e illuminazione, costituiva l'unico accesso all'officina e l'ingresso principale della struttura commerciale, visibile per le pareti quasi integralmente a vetrina e dunque adibita a esposizione. La situazione così descritta dal C.T.U. non era stata contestata dalle parti convenute, che solo nella comparsa conclusionale avevano tardivamente criticato la consu lenza sicché il relativo motivo d'appello andava dichiarato inammissibile. La consulenza di parte aveva in realtà dimostrato che l'occupazione aveva ridotto il traffico sulla statale, e di conseguenza anche il bacino di utenza dell'esercizio commerciale, causato disagi alla clientela, favorito aziende concorrenti posizionate all'imbocco del viale di accesso alla sua concessionaria, reso difficoltoso il collegamento tra l'officina e le altre aree operative dell'azienda, con un calo di produttività della mano d'opera. Ne era conseguita una riduzione del volume degli affari, tanto che tra il 1990 e il 1994 il fatturato si era ridotto da £. 6.120.116.034 a £. 2.771.584.682, il numero delle vetture immatricolate da 370 a 118, il numero degli addetti era diminuito di tre unità. Contrariamente a quanto afferma la sentenza impu gnata, lo stato dei luoghi durante l'occupazione dell'area antistante risulta dunque ben descritto e non fu mai contestato nel corso del giudizio di primo grado. Né l'accesso alternativo cui fanno riferimento i giudici d'appello era idoneo per le sue insufficienti dimensioni perché appartenenti a terzi che avevano negato la costituzione di una servitù a favore della sede dell'azienda. Quanto alla incidenza della crisi dell'auto in que gli anni, supposta notoria, nulla era stato provato dai convenuti. E comunque rimaneva evidente la ri duzione degli affari determinata dall'occupazione illegittima tra il 1990 e il 1994, pur essendo la crisi ben più risalente rispetto a quegli anni tanto che nel 1995, dopo la riapertura della va riante, il fatturato dell'azienda era risalito già nel 1995 a £. 5.202.844.043, essendo di nuovo cre sciuto a 141 il numero delle vetture immatricolate. Mentre il cambiamento della casa automobilistica di riferimento era avvenuto solo nel 2005. In ogni caso il giudice, accertata l'esistenza del danno, avrebbe potuto liquidarlo equitativamente, ove avesse ritenuto carente la prova della sua effettiva entità. Errata è infine la dichiarazione di assorbimento del suo appello incidentale, essendo egli titolare esclusivo della concessionaria, cui era estraneo Salvatore D.G. anche in favore del quale era stata pronunciata la sentenza di primo grado. 2. Il ricorso è infondato. Non sussistono innanzitutto le dedotte violazioni di legge. E' indiscusso infatti che incombe sul danneggiato l'onere di provare il nesso di causalità tra il comportamento addebitato al presunto danneggiante e il fatto dannoso Cass., sez. III, 11 maggio 2009, numero 10743, m. 608087, Cass., sez. III, 23 maggio 2001, numero 7026, m. 546918 . Sicché non può il ricorrente addebitare ai convenuti una carenza di ini ziativa istruttoria sul punto. Né può essere addebitata ai giudici d'appello una mancata valutazione equitativa dei danno in mancanza della prova del nesso causale, posto che può «farsi ricorso alla liquidazione in via equitativa, allorché sussistano i presupposti di cui all'articolo 1226 c.c., solo a condizione che l'esistenza del danno sia comunque dimostrata, sulla scorta di elementi idonei a fornire parametri plausibili di quantificazione» Cass., sez. I, 15 febbraio 2008, numero 3794, m. 602100 . Quanto alla dedotta inammissibilità dell'appello, per violazione del contraddittorio sugli accertamenti tecnici del consulente, il ricorrente incorre in un palese equivoco. Vero è, infatti, che, secondo la giurisprudenza di questa corte invocata dal ricorrente, «le osservazioni critiche alla consulenza tecnica d'ufficio non possono essere formulate in comparsa conclusionale - e pertanto se ivi contenute non possono essere esaminate dal giudice - perché in tal modo es se rimarrebbero sottratte al contraddittorio e al dibattito processuale» Cass., sez. II, 1 luglio 2002, numero 9517, m. 555473, Cass., sez. II, 22 marzo 2013, numero 7335, m. 626059, Cass., sez. VI, 9 settem bre 2013, numero 20636, m. 627796 . Ma questa giurisprudenza, intesa a esimere il giudice dalla moti vazione su rilievi di parte non formulati tempesti vamente, non incide affatto sul potere del giudice di valutare criticamente la consulenza tecnica d'ufficio, indipendentemente da sollecitazioni di parte. E' ovvio infatti che «le valutazioni espresse dal consulente tecnico d'ufficio non hanno effi cacia vincolante per il giudice e, tuttavia, egli può legittimamente disattenderle soltanto attraver so una valutazione critica, che sia ancorata alle risultanze processuali e risulti congruamente e lo gicamente motivata, dovendo il giudice indicare gli elementi di cui si è avvalso per ritenere erronei gli argomenti sui quali il consulente si è basato, ovvero gli elementi probatori, i criteri di valutazione e gli argomenti logico - giuridici per addi venire alla decisione contrastante con il parere del c.t.u.» Cass., sez. I, 3 marzo 2011, numero 5148, m. 616967 . Il problema posto dal ricorso di M.D.G. attiene dunque esclusivamente alla congruità della motivazione esibita dal giudice d'appello. E sotto questo profilo le censure dedotte risultano incom patibili con il giudizio di legittimità. E' del tutto plausibile in realtà il rilievo, determinante nella decisione impugnata, circa la to tale carenza di qualsiasi valutazione comparativa con l'andamento di altre aziende omogenee nel corso dell'illecita occupazione. E tanto più questa carenza assume rilievo determinante, se si consideri che, come lo stesso ricorrente deduce, v'erano nei pressi della sua concessionaria altre aziende concorrenti, che avrebbero ben potuto offrire un termine di comparazione particolarmente significativo. Semplicistica poi, e fuorviante, è la comparazione proposta dal ricorrente tra i risultati di esercizio del 1990 e del 1994, senza alcuna considerazio ne per l'andamento del mercato negli anni precedenti e in quelli intermedi, posto che il danno si assume verificato negli anni 1993 e 1994. Il rigetto della domanda proposta dal ricorrente risulta pertanto plausibilmente, e dunque incensurabilmente, giustificato. Ed è indiscutibile che, accertata la carenza della prova di un danno risar cibile, risultasse assorbito il motivo dell'appello incidentale circa l'effettiva titolarità del diritto al risarcimento di tale danno. Si deve pertanto concludere con il rigetto del ri corso. Le spese seguono la soccombenza e sono a ca rico del ricorrente, che ne rimborserà l'importo in favore di entrambi i resistenti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorren te al rimborso delle spese in favore delle parti resistenti, liquidandole in complessivi E. 7.200, di cui E. 7.000 per onorari, in favore di ciascuna delle parti, oltre spese generali e accessori come per legge e spese prenotate a debito per la Presidenza del Consiglio.