L’apposizione della marcatura CE contraffatta può integrare la fattispecie della frode nell’esercizio del commercio, in quanto tale marcatura è finalizzata a tutelare gli interessi degli utilizzatori, attestando la rispondenza del prodotto alle disposizioni comunitarie e pertanto la conformità dello stesso a standard minimi di qualità.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 9310/13, depositata il 27 febbraio. Il caso. Il legale rappresentante di una srl, indagato per tentata frode nell’esercizio del commercio articolo 515 c.p. , ricorre contro l’ordinanza del Tribunale che respinge la sua richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo. A suo dire, infatti, non sussisterebbe il fumus commissi delicti nella fattispecie, la marcatura CE apposta sui prodotti non sarebbe stata contraffatta, bensì legittima, dal momento che essa non ha lo scopo di attribuire la paternità dei prodotti ad un’impresa o di certificarne la qualità, ma assolve a una funzione di mera attestazione di conformità delle merci alle direttive comunitarie, requisito soddisfatto dai giocattoli sequestrati. CE significa «China Export»? Gli Ermellini rilevano che i prodotti in oggetto erano stati contrassegnati con marchio CE contraffatto in quanto non conforme alle specifiche previste secondo i ricorrenti, esso starebbe a significare «China Export» e sarebbe pertanto un’indicazione veritiera circa la provenienza dei giocattoli. Quando si configura il tentativo. La S.C. ricorda che la fattispecie dell’articolo 515 c.p. si perfeziona con la consegna materiale della merce all’acquirente, ma per la configurabilità del tentativo non è necessario che vi sia qualche forma di contrattazione finalizzata alla vendita è sufficiente, infatti, che venga accertata la destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite rileva anche la mera detenzione in magazzino della merce, in quanto è indicativa della successiva immissione del prodotto nella rete distributiva. Nella fattispecie, a giudizio della Cassazione, ricorrevano condizioni analoghe a quelle menzionate. La marcatura CE garantisce la qualità del prodotto. Quanto all’apposizione della marcatura CE contraffatta, la giurisprudenza della Corte ha già affermato che tale condotta può integrare la fattispecie dell’articolo 515 c.p Tale marcatura, infatti, è finalizzata a tutelare gli interessi degli utilizzatori, attestando la rispondenza del prodotto alle disposizioni comunitarie e pertanto la conformità dello stesso a standard minimi di qualità ciò premesso, è evidente che la consegna di merce con marcatura contraffatta, attestante la rispondenza a specifiche costruttive che assicurano la sussistenza dei requisiti di sicurezza e qualità richiesti dalla normativa comunitaria, determina senza dubbio la divergenza qualitativa necessaria per configurare l’illecito penale. Le norme sui giocattoli. Secondo i giudici di legittimità, le conclusioni prospettate valgono anche nel caso specifico dei giocattoli il D. Lgs. numero 54/2011, richiamato dal ricorrente, prevede la sola sanzione amministrativa, salvo che il fatto costituisca reato, in caso di immissione sul mercato di un giocattolo privo del marchio CE. Tali disposizioni, però, riguardano evidentemente una fattispecie diversa dalla contraffazione e inoltre, come detto, sono applicabili salvo che il fatto costituisca reato ciò è sufficiente per escludere l’esistenza di un rapporto di specialità tra la violazione amministrativa e quella penale. Per questi motivi la Cassazione, ritenendo che i giudici del riesame abbiano correttamente ritenuto la sussistenza del fumus del reato ipotizzato, rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 – 27 febbraio 2013, numero 9310 Presidente Squassoni – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Teramo, con ordinanza del 10.5.2012, ha respinto la richiesta di riesame, presentata nell'interesse di B.P. , avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 5.3.2012 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale nell'ambito di un procedimento penale che vede il B. indagato del delitto di cui agli articolo 56, 515 cod, penumero quale legale rappresentante della “Pamax Import Export s.r.l.” e relativamente ad articoli merceologici contrassegnati da marcatura CE contraffatta. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Premessa la riproduzione testuale di motivi nuovi presentati al giudice del riesame, deduce, con un unico motivo di ricorso, la violazione di legge ed il vizio di motivazione, rappresentando che il provvedimento impugnato si presenterebbe carente sotto il profilo motivazionale sia per quanto attiene alla individuazione del fumus commissi delicti, sia con riferimento alle argomentazioni sviluppate dalla difesa, che non sarebbero state prese in considerazione. Aggiunge che, nella fattispecie, il delitto di frode in commercio non sarebbe configurabile, neppure nella forma del tentativo e che non potrebbe ritenersi ipotizzabile neanche la violazione dell'articolo 571 cod. penumero e ciò in considerazione del fatto che la marcatura CE non ha lo scopo di qualificare i prodotti attribuendone la paternità ad una impresa o certificarne la qualità, origine e provenienza, in quanto assolve ad una funzione di mera attestazione di conformità delle merci alle direttive comunitarie al fine di consentirne la circolazione in ambito comunitario. Rileva, inoltre, che la mercé sequestrata sarebbe stata dotata delle richieste certificazioni di conformità, cosicché la marcatura CE sarebbe stata legittimamente apposta e che, in ogni caso, laddove fossero state rilevate violazioni delle norme che ne disciplinano l'utilizzazione, queste sarebbero applicabili solo se avessero rilevanza penale, circostanza da escludere con riferimento ai giocattoli, stante la espressa abrogazione del d.lgs. 131/91 ad opera del d.lgs. 54/2011 ed in considerazione del fatto che quelli sequestrati sarebbero risultati conformi ai requisiti di sicurezza di cui all'articolo 9 d.lgs. 54/2001. Osserva, inoltre, che, in ogni caso, la immissione sul mercato in assenza della marcatura CE sarebbe sanzionata solo amministrativamente. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. Va preliminarmente rilevato che il ricorso, come specificato in premessa, contiene censure concernenti anche il vizio di motivazione. La costante giurisprudenza di questa Corte si è però ripetutamente espressa nel senso che il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro probatorio o preventivo può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non anche con riferimento ai motivi di cui all'articolo 606, lettera e cod. proc. penumero pur rientrando, nella violazione di legge, la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali SS.UU. numero 5876, 13 febbraio 2004. Conf. Sez. V numero 35532, 1 ottobre 2010 Sez. VI numero 7472, 20 febbraio 2009 Sez. V numero 8434, 28 febbraio 2007 . Ne consegue che il ricorso proposto può essere preso in esame esclusivamente entro l'ambito di operatività come sopra definito. 4. Ciò premesso, è specificato nel provvedimento impugnato che, a seguito delle indagini espletate, la mercé sequestrata è risultata contrassegnata con marcatura CE contraffatta perché non conforme alle specifiche previste. Si legge poi in ricorso pag. 13 , che l'acronimo “CE” starebbe a significare, secondo i verbalizzanti, “China Export”, trattandosi di prodotti di provenienza cinese circostanza che, secondo il ricorrente, altro non costituirebbe se non una corretta informazione circa la provenienza del prodotto . Quanto accertato in fatto dai giudici del merito corrisponde, dunque, ad un modus operandi che è già stato preso in esame dalla giurisprudenza di questa Corte, ritenendo astrattamente ipotizzabile il tentativo di frode in commercio. 5. Come è noto, l'articolo 515 cod. penumero si riferisce alla condotta di colui che, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita. La consumazione del reato coincide con la consegna materiale della mercé all'acquirente ma, per la configurabilità del tentativo, non è affatto necessaria la sussistenza di una qualche forma di contrattazione finalizzata alla vendita. Invero, come si è già avuto modo di affermare, non è richiesta l'effettiva messa in vendita del prodotto, poiché per la configurabilità del tentativo di frode in commercio è sufficiente l'accertamento della destinazione alla vendita di un prodotto diverso per origine, provenienza, qualità o quantità da quelle dichiarate o pattuite Sez. III numero 41758, 25 novembre 2010 Sez. III numero 6885, 18 febbraio 2009 Sez. III numero 23099, 14 giugno 2007 Sez. III numero 42920, 29 novembre 2001 . Configura, inoltre, il tentativo, anche la mera detenzione in magazzino di merce non rispondente per origine, provenienza, qualità o quantità a quella dichiarata o pattuita, trattandosi di dato pacificamente indicativo della successiva immissione nella rete distributiva di tali prodotti Sez. III numero 3479, 26 gennaio 2009 Sez. III numero 1454, 16 gennaio 2009 Sez. III numero 36056, 8 settembre 2004 e ciò anche nel caso in cui la mercé sia detenuta da un commerciante all'ingrosso, dovendosi pacificamente riconoscere, in considerazione delle condotte tipizzate, che la disposizione in esame tuteli tanto i consumatori quanto gli stessi commercianti Sez. III 36056/04 cit. , ovvero quando presso il magazzino di prodotti finiti dell'impresa di produzione sia detenuta mercé con false indicazioni di provenienza destinata non al consumatore finale ma ad utilizzatori commerciali intermedi Sez. III numero 22313, 6 giugno 2011 . Nella fattispecie in esame, secondo quanto emerge dal ricorso e dal provvedimento impugnato, si versava in condizioni analoghe a quelle prese in esame dalle menzionate decisioni, cosicché la destinazione all'immissione in commercio dei prodotti risulta evidente. 6. Quanto all'apposizione della marcatura CE contraffatta, come si è accennato, questa Corte ha già avuto modo di riconoscere che tale condotta è astrattamente riconducibile alla fattispecie contemplata dall'articolo 515 cod. penumero Sez. III numero 27704, 16 luglio 2010 . In quell'occasione - concernente proprio un caso di apposizione di marchio CE contraffatto, indicativo della locuzione “China – Export” - si è presa in esame, richiamando altri precedenti giurisprudenziali Sez. Il numero 36228, 18 settembre 2009 , la funzione della marcatura CE, individuandola come finalizzata alla tutela degli interessi pubblici della salute e sicurezza degli utilizzatoti dei prodotti mediante la attestazione della rispondenza alle disposizioni comunitarie che ne prevedono l'utilizzo ed osservando che la stessa, pur non fungendo da marchio di qualità o di origine, costituisce comunque un marchio amministrativo, che evidenzia la possibilità di libera circolazione del prodotto nel mercato comunitario. Nella medesima pronuncia si è altresì ricordato come, in altra occasione si fosse affermato che la marcatura CE attesta la conformità del prodotto a standards minimi di qualità e costituisce, pertanto, una garanzia della qualità e della sicurezza della merce che si acquista Sez. III numero 23819, 9 giugno 2009, concernente una ipotesi di tentativo di frode in commercio posto in essere anche attraverso la commercializzazione di prodotti recanti il marchio CE contraffatto, indicativo della locuzione “China – Export” . 7. Date tali premesse, il Collegio ritiene pienamente condivisibili i principi affermati nelle decisioni richiamate e dagli stessi non intende discostarsi. Invero, se, come si è già affermato, l'interesse tutelato dalla disposizione in esame è quello dello Stato e del consumatore al leale esercizio del commercio ed il reato in essa previsto è integrato dalla semplice messa in vendita di un bene difforme da quello dichiarato, è evidente che la consegna di mercé recante una marcatura contraffatta, attestante la rispondenza a specifiche costruttive che assicurano la sussistenza dei requisiti di sicurezza e qualità richiesti dalla normativa comunitaria, determina senz'altro quella divergenza qualitativa che si ritiene necessaria per configurare l'illecito penale. 8. A conclusioni analoghe deve inoltre pervenirsi anche con riferimento specifico ai giocattoli, rispetto ai quali il ricorrente richiama la normativa in materia di etichettatura. Dal 12.5.2011 è infatti in vigore il d.lgs. 11.4.2011 numero 54, recante “Attuazione della direttiva 2009/48/CE sulla sicurezza dei giocattoli” il quale, nell'articolo 33, ha disposto l'abrogazione del d.lgs. 27 settembre 1991, numero 313, ad eccezione dell'articolo 2, comma 1, e dell'allegato II, parte II, punto 3, a decorrere dal 20 luglio 2011 mentre per l'articolo 2, comma 1 e l'allegato II, parte II, punto 3, l'abrogazione è disposta a decorrere dal 20 luglio 2013 . Le nuove disposizioni non prevedono alcuna sanzione penale per le condotte precedentemente contemplate dall’articolo 11 del d.lgs. 313/91, disponendo l'articolo 31 del d.lgs. 54/2011 la sanzione amministrativa, salvo che il fatto costituisca reato, per il fabbricante o l'importatore che immettano sul mercato un giocattolo privo della marcatura CE comma 4 e per il distributore che mette a disposizione sul mercato un giocattolo privo di marcatura CE o delle avvertenze di cui all'articolo 10 comma 7 . Va in primo luogo osservato, con riferimento alle richiamate disposizioni, che le stesse riguardano fattispecie diverse dalla contraffazione del marchio, prendendo in considerazione la mera mancanza del marchio medesimo. Deve poi rilevarsi che le suddette violazioni amministrative sono applicabili, per espressa disposizione legislativa, salvo che il fatto costituisca reato. Tali evenienze risultano, da sole, sufficienti ad escludere la sussistenza di un rapporto di specialità tra la violazione amministrativa e quella penale e, segnatamente, l'applicabilità articolo 9 L. 24 novembre 1981, numero 689. Vale la pena richiamare, a tale proposito quanto recentemente affermato in tema dalle Sezioni Unite di questa Corte SS.UU. numero 22225, 8 giugno 2012 anche con richiami a precedenti pronunce, chiarendo che il rapporto di specialità deve essere verificato nel confronto strutturale tra le fattispecie astratte e ricordando che l'articolo 9 citato “diretto a privilegiare la specialità e quindi l'apparenza del concorso costituisce un'importante chiave di lettura in tutti i casi in cui, ad una condotta penalmente sanzionata, si aggiunga soprattutto se ciò avvenga in tempi successivi rispetto all'entrata in vigore della prima norma una disciplina normativa che la preveda anche come violazione di natura amministrativa” SS.UU. numero 1963, 21 gennaio 2011 e rammentando come in altra occasione si sia invitato ad “una applicazione del principio di specialità, secondo un approccio strutturale, che non trascuri l'utilizzo dei normali criteri di interpretazione concernenti la ratio delle norme, le loro finalità e il loro inserimento sistematico, al fine di ottenere che il risultato interpretativo sia conforme ad una ragionevole prevedibilità, come intesa dalla giurisprudenza della Corte EDU” SS.UU. numero 1235, 19 gennaio 2011 . Resta dunque da aggiungere soltanto che la inesistenza di un rapporto di specialità emerge con evidenza dal semplice raffronto tra le due disposizioni in esame. 9. I giudici del riesame hanno dunque del tutto correttamente ritenuto la sussistenza del fumus del reato ipotizzato ed il provvedimento impugnato risulta immune da censure. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese del procedimento.