Non costituisce giusta causa ai sensi del combinato disposto della L. numero 604/66 e dell’articolo 2103 c.c. l’opposizione al trasferimento, offerto 8 mesi prima del licenziamento, presso una controllata della società datrice, se il lavoratore non era stato avvertito che il diniego avrebbe comportato il recesso e se l’azienda, contrariamente a quanto dichiarato, sia prima che dopo lo stesso, ha assunto personale adibito anche alle medesime mansioni.
E’ questo, in estrema sintesi, il principio di diritto enunciato dalla Cassazione Sezione Lavoro numero 06/13, depositata lo scorso 2 gennaio. La vicenda affrontata. È una vertenza iniziata nel 2003, perciò, ratione temporis , non è stata applicata la c.d. riforma Fornero. Un’azienda, con oltre 300 dipendenti, stabiliva la riorganizzazione dell’organico con una sensibile riduzione dello stesso da 465 a 319 unità. 8 mesi prima dell’effettivo licenziamento, offriva alla ricorrente un trasferimento presso una sua controllata, con sede nella stessa città, con meno di 15 dipendenti, asserendo l’impossibilità di provvedere a nuove assunzioni e di adibirla a mansioni equivalenti. Ciò nonostante in primo grado, con l’acquisizione del libro matricola dell’azienda, era emerso che aveva assunto 5 nuovi impiegati. Inoltre aveva omesso di avvertire la lavoratrice che il rifiuto avrebbe comportato il suo licenziamento per giusta causa. Impugnava il provvedimento per i motivi di cui sopra e la S.C. ha sancito la sua illegittimità poiché la ditta non ha fornito la prova né gli adeguati motivi di tale scelta, enunciando la massima in epigrafe. Trasferimento «solo in presenza di comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive». Il combinato disposto degli articolo 2103 c.c. e 13 L. numero 300/70 disciplina la facoltà del datore di trasferire il dipendente presso un’altra sede «solo in presenza di comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive» che obbligatoriamente dovranno essere comunicate per iscritto al lavoratore. Le suddette ragioni devono sussistere al momento del licenziamento e non dopo e sono fondate su valutazioni oggettive del datore, che dovrà motivarle espressamente, altrimenti potrà incorrere in una contestazione di condotta antisindacale ed il licenziamento sarà annullabile, perché illegittimo. Il rifiuto da parte del lavoratore comporta un recesso per giusta causa, salvo che la nuova sede sia ad oltre 80 km di distanza dalla sua residenza Cass. nnumero 15860/12, 6117/05, 27/01, 4389/97 . Non è sanzionabile se basato su motivi soggettivi, discriminatori o se ciò comporta una sua dequalificazione Cass. numero 4709/12 . In questi casi oltre all’ordinario ricorso alle competenti autorità ex articolo 414 o 700 c.p.c. e c.d. ricorso Fornero l’impiegato potrà presentare istanza alla Commissione per le pari opportunità sì che il consigliere od un suo membro agisca in sua vece od aderisca al ricorso per licenziamento discriminatorio. L’onere della prova del datore e del lavoratore Il datore ha il dovere di motivare e dimostrare la sussistenza delle argomentazioni sopra indicate, mentre il dipendente che impugni il licenziamento dovrà solo contestare l’assenza della giusta causa o del giustificato motivo. Nella fattispecie ciò non è avvenuto, anzi dall’istruttoria è emerso un comportamento scorretto della ditta che aveva negato la possibilità di effettuare assunzioni, salvo averle effettuate prima e dopo il licenziamento della ricorrente. Inoltre, malgrado la stessa si fosse offerta di ricoprire anche qualifiche inferiori a quelle cui era adibita, la società non aveva provato l’esistenza, al suo interno, di tali incarichi né di ruoli analoghi a quello ricoperto dalla donna. Non aveva nemmeno dimostrato la possibilità di reperire posti equivalenti, assegnati, poi, a nuovi impiegati. Stop al licenziamento ex L. 604/66 per diniego di dislocazione mutato l’orientamento in materia? Da quanto sinora esplicato la risposta sarebbe positiva. Infatti poche settimane fa la Cass., sez. Lav., numero 20614/12 ha confermato l’applicabilità della norma, risolvendo un caso analogo in cui un operaio era stato licenziato per l’opposizione al collocamento presso un’altra sede, distante oltre 160 km, per l’incremento della produzione. La ditta, poi, aveva provveduto ad una nuova assunzione ad hoc di un altro manovale per far fronte a questa emergenza temporanea. Nel nostro caso, però, l’azienda aveva negato esigenze occupazionali, salvo poi procedere a dette assunzioni, senza fornire spiegazioni di questa contraddittoria scelta, risultata perciò arbitraria e, a ben vedere, antisindacale. La principale novità consiste in una contestazione delle presunte giustificazioni del trasferimento antecedente al licenziamento 8 mesi . Esse, infatti, devono essere contestuali e sussistenti al momento dello stessi, né successive, come finora sancito dalla legge e dalla giurisprudenza, né, come sancito da questa decisone, anteriori. Infatti, sinora, il rifiuto preventivo, anteriore al trasferimento, era stato preso in considerazione solo per i casi di demansionamento se il dipendente lo aveva accettato, quale extrema ratio , per non incorrervi Cass. sez. lav. nnumero 5780/12 e 4060/08 . Da ciò discende l’assenza di giusta causa, l’illiceità del recesso e, dunque, l’accoglimento del gravame, confermando le conclusioni rassegnate nei precedenti gradi di giudizio.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 novembre 2012 – 2 gennaio 2013, numero 6 Presidente Venuti – Relatore D’Antonio Svolgimento del processo Con sentenza del 25/10/2007 la Corte d'Appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento del maggio 2003 per giustificato motivo oggettivo di dipendente della soc spa ed inquadrata in livello B2. La Corte d'Appello ha ritenuto che la società datrice di lavoro non avesse fornito la prova dell'impossibilità di ricollocare la lavoratrice in una delle sue aziende o stabilimenti .dove occupava più di 300 dipendenti in mansioni equivalenti. La si era limitata ad affermare che vi era stata una sensibile contrazione dell'organico da 465 a 319 . che non \ Ì erano stille assunzioni dopo il licenziamento della ricorrente e che la lavoratrice aveva rifiutato l'offerta di ricolloca/ione presso altra società del gruppo . La Corte territoriale ha rilevato, invece che dall'esame del libro matricola era risultato che la .prima e dopo il licenziamento, aveva assunto a Bergamo cinque impiegali di cui uno in gennaio in B1 ed uno ad ottobre in 2 con mansioni di segretaria di direzione , e nella sede di Mozzo, un impiegalo nel marzo 2004 in V. - mansioni impiegatizie che la ricorrente avrebbe potuto svolgere, ma la società non aveva allegato né provato alcuna ragione giustificativa della necessità di procedere a nuove assunzioni i dell'impossibilità di adibire alle stesse mansioni la lavoratrice. La Corte ha poi rilevato che la società non avrebbe potuto invocare a giustificazione il rifiuto della lavoratrice ad essere licenziata dalla società e riassunta presso altra società controllata in Bergamo con meno di 15 dipendenti. Rileva infatti che a proposta era stata rifiutata per ragioni di convenienza non sindacabili ed era comunque, irrilevante essendo stata fatta un anno prima del licenziamento mentre si doveva avere riguardo al momento del licenziamento. Osserva ancora la Corte che successivamente alla lavoratrice non era stata Lalla altra proposta e tanto meno le era stato rappresentato che la ricollocazione era legata alla necessità di sopprimere il suo posto di lavoro. Avverso delta sentenza propone ricorso in Cassazione la soc ora con nuova denominazione pa. Si costituisce la con controricorso. La ricorrerne ha depositalo memoria ex art 378 c.p.c. Motivi della decisione Con il primo motiva la ricorrente denunci li violazione dell'art 3 della legge numero 604 del 1966 in relazione all'articolo 2697 C.C. articolo numero 3 c.p.c. . Censura la sentenza nella parte in cui afferma che il datore di lavoro non aveva provato l'impossibilità al momento del licenziamento di ricollocare la lavoratrice in altra mansione . Rileva che. secondo l'insegnamento della Suprema Corte . il lavoratore ha l'onere di allegare e provare le circostanze utili a dimostrare resistenza in azienda di un posto di lavoro cui poter essere adibito e che, là dove il lavoratore abbia assillo a tale onere probatorio, il datore di lavoro deve dimostrare l'impossibilità di adibire il lavorali»re alle posizioni lavorative da quest'ultimo indicate come disponibili. Con il secondo motivo denuncia violazioni dell'aria della legge n 604 del 966 in relazione all'articolo 2103 c.c art 360 numero 3 c.p.c. , nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione art 360 n 5 c.p.c. . Censura la sentenza in quanto in contrasto con il principio che l'impossibilità di adibire il lavoratore a diverse mansioni deve essere valutata con riferimento all'organizzazione aziendale esistente all'epoca del licenziamento escludendosi la rilevanza di fatti sopravvenuti, aveva dato rilevanza alle assunzioni relative, tuttavia ad epoche successive al licenziamento una a gennaio in B1, altra in C2 ad ottobre ed a Mozzo in C2 nel marzo 2004 . Osserva, inoltre, che in modo contraddittorio e senza motivazione la sentenza aveva escluso la rilevanza del rifiuto della lavoratrice di un altro posto di lavoro offertole circa otto mesi prima del licenziamento, in quanto secondo la Corte, occorreva fare riferimento al momento del licenziamento. La ricorrente, inoltre, rileva con riferimento alla valutazione di alternative in mansioni equivalenti che la Corte aveva allargato la verifica anche a posizioni alternative in mansioni inferiori C2 o superiori B1 e che quanto a tale non si trattava di una nuova assunzione essendo una lavoratrice già in forza all’azienda con inquadramento in C2, la quale si era dimessa e poi aveva chiesto di essere riassunta. Le censure, congiuntamente esaminate stante la loro connessione, sono infondate. Circa il primo motivo deve rilevarsi che la ricorrente non ha dedotto di aver in appello sollevato la questione dell’inadempimento della lavoratrice all’onere di allegazione e che su di essa la corte d’appello non si sia pronunciata. Dalla sentenza impugnata emerge invece che la lavoratrice aveva impugnato il licenziamento con ampie allegazioni in fatto e deduzioni in diritto anche per non avere il datore di lavoro collocata la dipendente in altre mansioni equivalenti per le quali vi erano in azienda posti disponibili e che l’azienda si era limitata ad affermare che, al contrario, era stato dimostrato che vi era stata una sensibile contrazione dell’organico, che non vi erano state assunzioni dopo il licenziamento e che la dipendente aveva rifiutato l’offerta di ricollocazione presso altra società del gruppo . In ogni caso deve osservarsi che l’articolo 5 dell’articolo . numero 604/1966 pone a carico del datore di lavoro l’onere della prova della sussistenza del giustificato motivo di licenziamento e che, in giurisprudenza, è ormai consolidato il principio secondo cui in capo al datore di lavoro incombe, altresì. L’onere di provare l’impossibilità di adibire lo stesso lavoratore da licenziare ad altre mansioni equivalenti a quelle svolte all’interno dell’azienda nell’ambito dell’organizzazione aziendale. Questa Corte ha, in particolare, precisato cfr Cass. 6559/2010, numero 3040/2011 che il giustificato motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni tecniche, organizzative produttive è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’articolo 41 Cost. Pertanto, spetta al giudice il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, e l’onere probatorio grava per intero sul datore di lavoro, che deve dare prova anche dell’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte, onere che può essere assolto anche mediante il ricorso a risultanze di natura presuntiva ed indiziaria, mentre il lavoratore ha comunque un onere di deduzione e di allegazione di tale possibilità di reimpiego . Nella specie la lavoratrice ha adempiuto all’onere di deduzione ed allegazione sulla stessa gravante. Essa, infatti, da un lato ha esposto cfr pag. 43 del ricorso la situazione dell’ufficio evasione ed ordini dopo il licenziamento, l’esistenza di posizioni lavorative di prossima scopertura nonché nel settembre successivo al licenziamento, l’assunzione di tale . Dall’altro lato l’acquisizione del libro matricola, disposta dalla Corte d’appello su istanza della stessa lavoratrice, ha consentito di appurare l’esistenza delle assunzioni evidenziate dalla Corte stessa nella stessa lavoratrice, ha consentito di appurare l’esistenza delle assunzioni evidenziate dalla Corte stessa nella sentenza. Avverso dette circostanze la ricorrente ha rilevato con riferimento all’assunzione della che non si trattava di una nuova assunzione ma di lavoratrice in forza all’azienda come C2, la quale si era dimessa e poi aveva chiesto di essere riassunta. Con riferimento alle posizioni evidenziate dalla Corte sulla base del libro matricola deve osservarsi che la ricorrente non si duole dell’esercizio la parte della Corte di un inammissibile esercizio del potere istruttorio in ordine al quale il richiamo dell’articolo 3 della legge numero 604 del 1966 in relazione all’articolo 2697 c.c. risulta in conferente, ma osserva l’irrilevanza delle nuove assunzioni in quanto si riferivano a posizioni inferiori e superiori. Entrambe le argomentazioni non appaiono idonee a fornire la prova da parte del datore di lavoro dell’impossibilità di adibire la lavoratrice in altre mansioni all’interno dell’azienda e dunque di non poter utilizzare la lavoratrice in luogo dei nomi assunti anche in considerazione del fatto che nessuna risulta svolta dalla ricorrente alla sentenza impugnata nella parte in cui ha ricostruito la posizione lavorativa della ricorrente dall’assunzione e da ultimo la sua collocazione in B2 ma con accettazione di svolgere mansioni inferiori in forza di contratto concluso con la società. Circa il secondo motivo di impugnazione deve rilevarsi che la corte d’Appello non ha violato il principio in base al quale diverse mansioni deve essere valutato con riferimento all’organizzazione aziendale esistente all’epoca del licenziamento escludendosi la rilevanza di fatti sopravvenuti.Le assunzioni esaminate dalla Corte si riferiscono infatti, pur sempre a fatti di pochi mesi successivi al licenziamento e, pertanto, in conformità ai principi espressi da questa Corte cfr Cass. numero 6265/2000 ben dovevano essere valutati. Quanto all’offerta alla di essere licenziata dalla società per essere assunta presso altra società del gruppo con meno di 15 dipendenti deve rilevarsi che la Corte ha sottolineato sia che l’offerta risaliva a circa un anno prima del licenziamento, sia che alla lavoratrice, in violazione del principio di buona fede non era stato rappresentato che la proposta di ricollocazione era in relazione alla necessità di sopprimere il suo posto di lavoro. Non si ravvisa, pertanto, pur dovendosi dare atto che l’offerta non era di un anno prima ma di circa 8 mesi antecedente, alcuna contraddittorietà della motivazione rispetto in quanto dalla Corte enunciato circa le nuove assunzioni. Per le considerazioni che precedono il ricorso va respinto. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza. P.Q.M. Respinge il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla controricorrente Euro 40,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.