Può essere disposto d'ufficio l'aggravamento della misura cautelare a seguito della segnalazione, da parte degli organi di polizia giudiziaria, della trasgressione delle prescrizioni inerenti alla misura meno grave precedentemente applicata, trattandosi di procedura in cui le esigenze cautelari restano inalterate e che si conclude con un provvedimento sanzionatorio dovuto al comportamento trasgressivo dell'indagato e, pertanto, alla sua inaffidabilità.
Il principio è stato ribadito dalla Corte di cassazione con la sentenza n 45284/15, depositata il 12 novembre. Nei casi di trasgressione delle prescrizioni imposte da parte dell’indagato, infatti, si sostiene che, proprio perché non muterebbe il periculum in mora , non si rientrerebbe nell’ipotesi di cui all'articolo 299, comma 4, c.p.p., che prevede l'adozione di una misura cautelare più grave a seguito di richiesta del p.m., posto che in questi casi si presuppone l'aggravamento delle esigenze cautelari, l'accertamento della cui sussistenza richiederebbe il contraddittorio di tutte le parti. Il giudice può applicare un misura cautelare più grave, ma deve essere ancorata a motivazioni effettive e non astratte. Se non che ad un più approfondito esame, ben si comprende come il ragionamento sottostante ad un potere d’ufficio del giudice, per il caso di violazione delle prescrizioni alle misure in precedenza imposte, sia alquanto forzato. Innanzi tutto, l’articolo 276 c.p.p. non prevede un meccanismo automatico tra violazione e aggravamento della misura il giudice ha un potere discrezionale in merito, che deve essere ricollegato all’entità, ai motivi e alle circostanze della violazione. Se così è, viene meno la ragione per la quale si possa accettare di per sé un potere ufficioso in materia se manca, infatti, un dovere del giudice di applicare la “sanzione” cautelare, allora ciò che può giustificarla è l’esercizio di un potere, sostanzialmente motivato da ragioni di opportunità e di strumentalità, elementi tipici dell’azione di parte. Se poi si guarda all’impianto sistematico del codice di rito ed ai principi fondamentali del giusto processo, a cui si deve uniformare anche il processo cautelare, fermo restando le sue peculiarità, è indubbio che il potere del giudice di applicare una misura cautelare contro il reo deve essere sollecitato da una iniziativa del pubblico ministero e, se ciò non è escluso da espresse norme di legge, si deve procedere secondo i dettami del contraddittorio e, quindi, quanto meno permettere l’interlocuzione della difesa. L’articolo 276 c.p.p. nel suo tenore letterale non deroga a nessuno dei principi propri della procedura cautelare ed è indubbio che l’articolo 299, comma 4, c.p.p. ben può essere letto in raccordo ad essi. Si legge infatti che «fermo quanto previsto dall’articolo 276, quando le esigenze cautelari risultano aggravate, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, sostituisce la misura applicata con un’altra più grave ovvero ne dispone l’applicazione con modalità più gravose». Dal tenore letterale risulta allora che la previsione dell’articolo 276 rappresenta un altro caso in cui si può procedere all’aggravamento della misura in precedenza applicata, ma non anche che la procedura prevista dall’articolo 299, comma 4, c.p.p. non sia applicabile al caso di cui all’articolo 276 c.p.p D’altra parte, se la funzione dell’aggravamento di cui all’articolo 276 c.p.p. dovesse essere semplicemente quella “sanzionatoria”, il principio della domanda e del contraddittorio dovrebbero valere a maggior ragione, visti i principi di “alta” civiltà che dovrebbero regnare all’interno del processo penale italiano. Se non che è del tutto evidente che la ragione che può portare il giudice ad aggravare, ex articolo 276 c.p.p., la misura in atto deve trovare una ragione che va oltre la semplice violazione delle prescrizioni e tale ragione non può che essere rinvenuta nell’esigenza cautelare sottostante da garantire. Detto in termini assai chiari, non si può non ricollegare l’esigenza di aggravamento in questione alla effettiva incapacità della misura in atto a raggiungere lo scopo per il quale era stata posta in essere. Se così è, non vi è differenza strutturale tra il caso di cui all’articolo 276 e quello di cui all’articolo 299 c.p.p. in entrambi i casi si tratta di verificare se la misura in atto sia capace o meno di soddisfare le esigenze cautelari così come si manifestano dopo l’adozione del provvedimento originario. Utilizzando una nomenclatura classica della tradizione antica, dunque, vi possono essere due casi o l’aggravamento dell’esigenza cautelare deriva dalla violazione delle disposizioni in precedenza imposte oppure deriva da ogni altro caso. In entrambe le situazioni il giudice può applicare un misura cautelare più grave, che evidentemente deve essere ancorata a motivazioni effettive e non astratte. Conclusioni. In estrema sintesi, si può dubitare e dubitare con una certa fondatezza sull’impostazione data sul punto dalla Corte di cassazione, posto che ammettere che il giudice possa d’ufficio, senza alcuna necessità effettiva secondo gli Ermellini le esigenze cautelari dovrebbero, per definizione, in concreto «restare inalterate» , aumentare la limitazione della libertà del reo e, quindi, la sua sofferenza, senza che il tutto sia previsto da una norma penale, si pone al di fuori del sistema costituzionale vigente visto alla luce della giurisprudenza costituzionale e degli indirizzi più edificanti della Corte europea per i diritti dell’uomo. Il tempo dirà se e come tale impostazione cambierà sperando di non dover attendere i posteri per conoscere l’ardua sentenza.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 ottobre – 12 novembre 2015, numero 45284 Presidente Franco – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa in data 17/07/2015, depositata in data 25/05/2015, il tribunale della libertà di Salerno rigettava l'appello cautelare proposto nell'interesse dell'indagato C.A. A., avente ad oggetto l'ordinanza cautelare emessa dal tribunale di Salerno in data 3/06/2015 questi, in particolare, attinto dalla misura cautelare degli arresti domiciliari per il reato di cui all'articolo 73, T.U. Stup., era stato successivamente sottoposto alla misura custodiale detentiva carceraria per i reati di cui agli articolo 612 bis cod. penumero ai danni dei genitori di un minore, anch'esso vittima di atti persecutori e, unitamente ai genitori, vittima di lesioni personali volontarie poste in essere sempre dall'indagato ai loro danni, nonché per i reati di cui all'articolo 572 cod. penumero ai danni della moglie e della figlia minore in virtù di ordinanza cautelare emessa dal GIP dei medesimo tribunale datata 18/05/2015. 2. Ha proposto personalmente ricorso C.A. A., impugnando la predetta ordinanza con cui deduce un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. cod. proc. penumero a violazione di legge in relazione agli articolo 125, comma 3, 275, comma 2 bis, 291, 299, comma 4, 178, comma 1, lett. b e 179, cod. proc. penumero anzitutto, sarebbe stato violato il principio della domanda cautelare, in quanto - si sostiene in ricorso - l'aggravamento della misura custodiate non sarebbe dovuto alla sola trasgressione delle prescrizioni imposte, facendo riferimento il tribunale del riesame al ritrovamento di un'ascia ed all'estrema pericolosità dell'indagato che avrebbe manifestato una fervida progettualità criminosa ed una spiccata attitudine delinquenziale in secondo luogo, si duole il ricorrente per aver i giudici violato il disposto dell'articolo 276, comma primo, cod. proc. penumero , non risultando congrua la motivazione di pericolosità non essendosi nemmeno accertato se l'indagato avesse utilizzato il telefono per comunicare con terzi né essendo provati i contati con tale B. infine, il tribunale avrebbe richiamato una valutazione integrativa sulla personalità operata in altro procedimento che non avrebbe potuto essere richiamata in quello sub íudice . 2.1. In data 26/10/2015 è pervenuta a mezzo fax presso la Cancelleria di questa Corte dichiarazione di rinuncia al ricorso presentata dal difensore di fiducia che afferma di aver avuto espressa richiesta in tal senso dal proprio assistito . Considerato in diritto 3. Preliminarmente il Collegio ritiene inefficace la rinuncia all'impugnazione sottoscritta dal difensore di fiducia dell'indagato, in quanto non risulta dagli atti in possesso di questa Corte che il difensore sia munito di procura speciale. Ed invero, maggioritaria e da condividersi è la giurisprudenza di questa Corte che ritiene inefficace l'atto di rinuncia al ricorso per cassazione non sottoscritto dell'indagato, ma dal solo difensore non munito di procura speciale, in quanto la rinuncia, non costituendo espressione dell'esercizio del diritto di difesa, richiede la manifestazione inequivoca della volontà dell'interessato, espressa personalmente o per mezzo di procuratore speciale da ultimo Sez. 2, numero 5378 dei 05/12/2014 - dep. 05/02/2015, Preiti e altro, Rv. 262276 . 4. Per il resto, il ricorso è manifestamente infondato. 4.1. Ed invero, al fine di meglio lumeggiare la situazione processuale è utile richiamare l'ordinanza emessa dal tribunale di Salerno che aveva rigettato l'istanza de libertate dell'indagato, aggravando contestualmente la misura degli arresti domiciliari con quella in carcere in considerazione delle plurime violazioni alle prescrizioni imposte all'indagato, in particolare del divieto di comunicazione con persone esterne al nucleo familiare, denunciate dalla moglie e riscontrate dalla P.G., che rinveniva nell'abitazione e nella disponibilità dell'indagato un'utenza cellulare nella sua disponibilità da cui erano state eseguite diverse chiamate. 5. Premesso quanto sopra, il tribunale del riesame, in sede di appello cautelare, ha respinto la doglianza difensiva, esattamente identica a quella oggetto del ricorso, relativa alla presunta violazione del principio della domanda cautelare per aver aggravato il tribunale d'ufficio la misura cautelare in assenza di richiesta del P.M. Sul punto, il tribunale del riesame motivava il rigetto della doglianza, richiamando giurisprudenza di questa Corte che facoltizza l'A.G., in caso di trasgressione delle prescrizioni imposte con la misura cautelare, ad aggravare la misura cautelare anche in assenza di istanza del P.M. La difesa, con argomentazioni sostanzialmente identiche, si duole davanti a questa Corte della violazione del principio della domanda cautelare, asserendo che la misura sarebbe stata aggravata non solo per aver trasgredito alle prescrizioni imposte, facendo riferimento al rinvenimento di un'ascia ed alla conseguente valutazione di pericolosità dell'indagato operata dal tribunale cautelare. Trattasi, all'evidenza, di argomentazioni prive di pregio, posto che la motivazione dei tribunale del riesame quanto alle ragioni dell'aggravamento si fondava sulle evidenze probatorie valorizzate dal tribunale di Salerno che aveva dato atto della reiterata trasgressione delle prescrizioni imposte all'indagato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, in particolare quanto al divieto di comunicazione con terzi estranei al nucleo familiare, oggetto di riscontro da parte della P.g. In diritto, peraltro, i giudici del riesame mostrano di fare buongoverno del principio, ormai consolidato, secondo cui può essere disposto d'ufficio l'aggravamento della misura cautelare a seguito della segnalazione, da parte degli organi di polizia giudiziaria, della trasgressione delle prescrizioni inerenti alla misura meno grave precedentemente applicata, trattandosi di procedura in cui le esigenze cautelari restano inalterate e che si conclude con un provvedimento sanzionatorio dovuto al comportamento trasgressivo dell'indagato e, pertanto, alla sua inaffidabilità né, in tal caso, rileva l'ipotesi di cui all'articolo 299, comma quarto, che prevede l'adozione di una misura cautelare più grave a seguito di richiesta del P.M. e presuppone l'aggravamento delle esigenze cautelari, l'accertamento della cui sussistenza richiede il contraddittorio di tutte le parti da ultimo la citata, nell'ordinanza impugnata, Sez. 5, numero 489 del 02/07/2014 - dep. 08/01/2015, Ivanciu, Rv. 262209 . Né, del resto, le recenti modifiche apportate alla disciplina custodiate hanno mutato la normativa relativa all'aggravamento, dovendosi infatti evidenziare che l'articolo 276 cod. proc.penumero prevede, al comma primo non interessato da modifiche , che In caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il giudice può disporre la sostituzione o il cumulo con altra più grave, tenuto conto dell'entità, dei motivi e delle circostanze della violazione . 6. Quanto, poi, al secondo profilo di doglianza, secondo cui non sarebbe congrua la motivazione di pericolosità sottesa all'aggravamento, anche alla luce della nuova normativa, anche sotto tale profilo il tribunale del riesame valorizza quanto emergente dall'ordinanza del tribunale di Salerno che evidenziava come, oltre alla violazione delle prescrizioni imposte con la misura, la pericolosità dell'indagato andava desunta anche dal rinvenimento di un'ascia all'interno dell'abitazione, ara che la moglie dell'indagato aveva riferito che il marito intendesse uccidere i carabinieri, nonché dalle condotte di maltrattamento proseguite anche in regime di arresti domiciliari, ciò che denotava scarsa capacità di autocontrollo, totale disprezzo verso i dettami della legge e delle regole di convivenza civile, della totale inaffidabilità del soggetto e della conseguente inadeguatezza del regime cautelare attenuato, rimesso all'autodeterminazione al rispetto di limiti e prescrizioni a ciò si aggiungeva, peraltro, la valutazione - condotta dal tribunale dei riesame sulla scorta della documentazione trasmessagli - relativa agli esiti dei gravame interposto avverso l'ordinanza con cui il GIP del medesimo tribunale aveva applicato la misura custodiale detentiva in data 18/05/2015, essendosi espresso il tribunale in quella sede sulla pericolosità del ricorrente in maniera inequivoca richiamando sia gli episodi di trasgressione alle prescrizioni imposte con la misura applicatagli per il delitto di cui all'articolo 73, T.U. Stup., giungendo alla conclusione dell'inidoneità di qualsiasi altra misura diversa da quella custodiale detentiva carceraria a salvaguardare le esigenze cautelare. Orbene, a fronte di tale apparato argomentativo immune da vizi logici e coerente con le emergenze processuali, la difesa del ricorrente ha svolto censure che sì appalesano, all'evidenza, generiche,4n quanto non si confrontano minimamente con le argomentazioni sviluppate dai giudici dei riesame nell'impugnata ordinanza, apparendo quindi sotto tale profilo il ricorso affetto dal vizio di aspecificità è, infatti, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione v., tra le tante Sez. 4, numero 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849 . Le censure, peraltro, appaiono manifestamente infondate, atteso che il divieto, ai sensi dell'articolo 275, comma secondo bis, cod. proc. penumero di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere non impedisce di adottare la più grave misura cautelare qualora ogni altra misura si riveli inadeguata e gli arresti domiciliari, già disposti, si rivelino inidonei a contenere l'indagato e ad assicurare la salvaguardia delle esigenze sottese all'applicazione della misura, avendo il reo trasgredito alle prescrizioni imposte con la misura attenuata, peraltro dimostrando una pericolosità non contenibile con la meno grave misura detentiva, come ben evidenziato dai giudici del riesame. Quanto, poi, alla pretesa illegittimità dei richiamo alla valutazione di pericolosità operata dal tribunale in sede di riesame dell'ordinanza custodiale 18/5/2015, trattasi di censura priva di pregio, atteso che il tribunale si è limitato a richiamare elementi di valutazione svolti nell'ambito del procedimento collegato, il cui materiale indiziario era da ritenersi valutabile in quanto facente parte dei patrimonio cognitivo dello stesso giudice dei riesame, senza che ciò abbia comportato alcuna lesione della posizione processuale dell'indagato, perfettamente a conoscenza degli elementi valutabili anche nel predetto procedimento essendo questi infatti parimenti destinatario della misura. 7. II ricorso dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile. All'inammissibilità del ricorso segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese dei procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in euro 1000,00 mille/00 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. La Corte dispone inoltre che copia dei presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell'Istituto Penitenziario competente a norma dell'articolo 94, comma 1 ter, disp. att. c.p.p