Il giudice di merito ha la possibilità di negare l’ordine di esibizione di documenti soltanto se ne sia dubbia l’esistenza o il possesso da parte del destinatario dell’ordine, oppure l’acquisizione sia inammissibile, irrilevante o sovrabbondante.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 23481, depositata il 4 novembre 2014. Il caso. La Corte d’appello di Messina rigettava la domanda di un lavoratore volta ad ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato con conseguente condanna della società per cui lavorava al pagamento delle retribuzioni. L’uomo ricorreva in Cassazione, lamentando l’immotivato rigetto della richiesta istruttoria di ordinare alla società di esibire una serie di documentazioni specificamente indicati, da cui sarebbe emerso il suo stabile inserimento nell’organizzazione aziendale e gerarchica. Inoltre, contestava ai giudici di merito di non aver deciso, o motivato, riguardo alla dedotta violazione dell’articolo 1 l. numero 1369/1960 «Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro» , applicabile ratione temporis. Onere del giudice. La Corte di Cassazione ricorda che il giudice di merito ha la possibilità di negare l’ordine di esibizione di documenti soltanto se ne sia dubbia l’esistenza o il possesso da parte del destinatario dell’ordine, oppure l’acquisizione sia inammissibile, irrilevante o sovrabbondante. Nel caso di specie, la Corte territoriale non aveva motivato la decisione, neanche in relazione ad un’ipotetica sovrabbondanza dell’acquisizione documentale. Norma applicabile. In più, gli Ermellini rimproverano i giudici di merito anche su un altro punto il riferimento all’articolo 1, l. numero 1369/1960 non costituiva un’eccezione o una domanda nuova, ma una semplice allegazione di causa petendi in punto di diritto. Le preclusioni previste dall’articolo 437, comma 2, c.p.c. riguardano soltanto le eccezioni e le domande nuove, non l’esplicitazione delle norme giuridiche applicabili, rientranti nel potere d’ufficio del giudice. Nel caso specifico, il ricorrente affermava che la sua assunzione presso delle ditte appaltatrici fosse fittizia, perché avvenuta mediante contratti simulati, mentre in realtà lavorava presso la società convenuta. Se si denuncia la simulazione soggettiva nel lato datoriale del rapporto di lavoro, implicitamente si allega un’interposizione fittizia nel rapporto medesimo, cioè proprio la fattispecie regolata dall’articolo 1 l. numero 1369/1960. Di conseguenza, la Corte d’appello si sarebbe dovuta pronunciare sulla questione. A farlo, invece, dovrà essere la Corte d’appello di Reggio Calabria, dopo il rinvio operato dalla Corte di Cassazione in accoglimento del ricorso.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 9 ottobre – 4 novembre 2014, numero 23481 Presidente Roselli – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza depositata il 19.5.11 la Corte d'appello di Messina rigettava il gravame interposto da Q.M. contro la sentenza con cui il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva rigettato la sua domanda volta ad ottenere l'accertamento di un rapporto lavoro subordinato alle dipendenze della Raffineria di Milazzo s.c.p.a. e la conseguente condanna della società al pagamento di retribuzioni. A tal fine il lavoratore aveva esposto di aver espletato mansioni di assistente del capo commesse della Raffineria, seguendone le direttive e rispettando il suo stesso orario di lavoro ciò nonostante, la società non aveva mai voluto regolarizzare il rapporto lavorativo, imponendo - anzi - a terze ditte appaltatici di assumerlo con contratti simulati. Affermava, invece, la Corte territoriale che era carente la prova della dedotta subordinazione. Per la cassazione di tale sentenza ricorre Q.M. affidandosi a due motivi. La Raffineria di Milazzo s.c.p.a. resiste con controricorso, poi ulteriormente illustrato con memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1- Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 c.p.c. e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale immotivatamente rigettato la richiesta istruttoria - formulata nell'atto introduttivo di lite e coltivata in quello d'appello - di ordinare alla società convenuta l'esibizione di una serie di documenti specificamente indicati, dai quali sarebbe emerso che il ricorrente aveva sempre lavorato alle dipendenze della Raffineria di Milazzo s.c.p.a. ciò avrebbe confermato che - contrariamente a quanto ritenuto dalla gravata pronuncia - l'indicazione del ricorrente, in alcuni documenti aziendali, come capo commessa non era frutto di errore, ma rappresentava in modo veritiero la reale posizione lavorativa del Q. inoltre, la sentenza impugnata aveva esaminato le deposizioni testimoniali in modo incompleto, laddove da una loro verifica completa sarebbe emerso, invece, lo stabile inserimento del ricorrente nell'organizzazione aziendale e gerarchica della Raffineria, da cui dipendeva anche per quanto riguardava la richiesta di permessi e congedi. Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per avere l'impugnata sentenza omesso di statuire o comunque di motivare in ordine alla dedotta violazione dell'articolo 1 legge numero 1369/60, applicabile ratione temporis nel caso di specie poiché il rapporto lavorativo con la società controricorrente era sorto fin dal novembre 1999. 2 - I due motivi - da esaminarsi congiuntamente perché connessi - sono fondati nei termini qui di seguito chiariti, ossia nella parte in cui denunciano degli errores in procedendo, sebbene erroneamente veicolati ex articolo 360 c.p.c. co. 1 numero 3 anziché numero 4 il che non importa inammissibilità delle censure cfr. Cass. S.U. numero 17931/2013 . Riguardo al primo motivo, si tenga presente che il giudice di merito può negare l'ordine di esibizione di documenti soltanto ove ne sia dubbia l'esistenza e/o il possesso da parte del destinatario dell'ordine medesimo, oppure quando la loro acquisizione sia per altri versi inammissibile, irrilevante o sovrabbondante. Nessuna motivazione a riguardo è stata svolta dalla gravata pronuncia, nemmeno in relazione ad un'ipotetica sovrabbondanza dell'acquisizione documentale invocata risulta - anzi - il contrario dal momento che la Corte territoriale parla di carenza di prova e non di positivo ed indiscutibile accertamento dell'estraneità della Raffineria di Milazzo S.c.p.A. rispetto alla posizione lavorativa del ricorrente. Sul secondo motivo deve osservarsi che già nel ricorso introduttivo di lite il Q. aveva sostanzialmente allegato un'ipotesi di interposizione fittizia nel rapporto di lavoro, atteso che si legge a pag. 2 della stessa impugnata sentenza che egli aveva lamentato che la Raffineria non aveva mai voluto regolarizzargli il rapporto imponendo a ditte terze appaltatici di assumerlo con contratti tutti simulati . Ora, a parte l'ovvio rilievo che - contrariamente a quanto affermato in controricorso e neh impugnata sentenza - il riferimento all'articolo 1 legge numero 1369/60 non costituisce un'eccezione o una domanda nuova, bensì una mera allegazione di causa petendi in punto di diritto, è appena il caso di rammentare che le preclusioni di cui all'articolo 437 co. 2 c.p.c. riguardano esclusivamente le eccezioni e le domande nuove, non anche la mera esplicitazione delle norme giuridiche applicabili, che rientrano pur sempre nei poteri d'ufficio del giudice da mihifactum, dabo tibi ius . Nel caso in esame la domanda del ricorrente, per come riassunta dagli stessi giudici d'appello, si basava sulla seguente causa petendi in punto di fatto l'assunzione del ricorrente presso ditte appaltatrici era fittizia perché avvenuta mediante contratti simulati, essendo il vero datore di lavoro del Q. soltanto la Raffineria di Milazzo s.c.p.a Ogni qual volta si denunci una simulazione soggettiva nel lato datoriale del rapporto di lavoro come avvenuto nel caso di specie, alla stregua delle stesse affermazioni della gravata pronuncia non si fa altro che allegare un'ipotesi di interposizione fittizia nel rapporto medesimo, vale a dire una vicenda regolata dall'articolo 1 della citata legge numero 1369/60. Dunque, a fronte di tale causa petendi non poteva la Corte territoriale esimersi dal verificare l'effettivo ricorrere d'una violazione dell'articolo 1 legge numero 1369/60. In sostanza, l'impugnata sentenza sembra aver confuso la natura dell'azione con la norma invocata, per l'effetto considerando mutatio libelli la pura e semplice puntualizzazione del dato normativo invocato a sostegno della domanda il che può avvenire in ogni stato e grado del giudizio, trattandosi di mera difesa in punto di diritto . 3 - In conclusione, il ricorso è da accogliersi, con conseguente cassazione della gravata sentenza e con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Reggio Calabria. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'appello di Reggio Calabria.