Il diritto alla percezione degli assegni familiari sorge in virtù del solo possesso dei requisiti di legge, risultando da tale momento trasmissibile agli eredi.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 27382, depositata il 23 dicembre 2014. Il caso. La Corte d’Appello di Firenze, confermando la sentenza di primo grado, accertava il diritto degli eredi di una lavoratrice a percepire l’assegno per nucleo familiare sulla pensione ai superstiti goduta dalla loro dante causa. Ad avviso dei Giudici di merito, infatti, la prestazione richiesta poteva essere trasferita agli eredi anche qualora l’assicurata non avesse tempestivamente avviato la relativa procedura amministrativa. Contro tale pronuncia l’INPS ricorreva alla Corte di Cassazione, articolando vari motivi. Il diritto agli assegni familiari si trasmette di diritto agli eredi. Ricorso che tuttavia viene considerato dalla Corte «manifestamente infondato» e, per ciò, deciso direttamente in camera di consiglio. Ed infatti, la Cassazione rileva come secondo il suo consolidato orientamento ex multis Cass. numero 20405/2012 il diritto ai trattamenti richiesti sorge in capo agli assicurati per la sola sussistenza dei requisiti di legge, mentre le relative richieste amministrative hanno la «mera funzione di atto di avvio della procedura amministrativa che è necessario espletare». Tale accertamento ha natura puramente dichiarativa del diritto vantato dal richiedente, i cui effetti retroagiscono – nei limiti della prescrizione – al momento in cui sono venuti ad esistenza i requisiti richiesti dalla legge. La mancata presentazione della domanda non costituisce una rinuncia al diritto. La Corte prosegue affermando che nel caso in cui l’assicurato deceda senza aver presentato la domanda all’INPS, tale omissione non può di per sé essere considerata sua rinuncia al diritto. Pertanto, il credito alla prestazione economica quantificata per legge, sia pure condizionato alla verifica da parte dell’INPS del possesso dei relativi requisiti, non può che ritenersi già acquisito nel patrimonio del defunto e, come tale, trasmissibile agli eredi. Questi sono legittimati a farlo valere avanzando la relativa domanda all’Istituto, il quale a sua volta è tenuto ad accertare nei loro confronti l’esistenza delle condizioni di legge e, se presenti, erogare le relative prestazioni. La Corte di Cassazione è tenuta ad uniformarsi ai suoi precedenti. Sulla base di queste premesse, preso atto che il Giudice di merito aveva correttamente accertato il possesso in capo alla dante causa dei requisiti richiesti di legge, la Corte ritiene – anche per la funzione di nomofilachia attribuitale dal nostro ordinamento - di doversi conformare ai propri precedenti e, per l’effetto, rigettare il ricorso dell’INPS.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 20 novembre – 23 dicembre 2014, numero 23782 Presidente Curzio – Relatore Blasutto Ragioni di fatto e di diritto La Corte pronuncia in camera di consiglio ex articolo 375 c.p.c. a seguito di relazione a norma dell'articolo 380-bis c.p.c., condivisa dal Collegio, preso atto dell'assenza di memorie delle parti. La Corte d'appello di Firenze respingeva l'appello dell'INPS avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da P.F., P.F., P.G. e P.L., eredi di N.E., nei confronti dell'Inps, per l'erogazione dell' assegno per nucleo familiare sulla pensione ai superstiti goduta dalla dante causa, ritenendo che agli eredi potesse essere trasferito il relativo diritto, ancorché la dante causa non avesse proposto la relativa domanda amministrativa. Contro questa sentenza ricorre per cassazione l'Inps, mentre gli eredi di N.E. resistono con controricorso. In limine, deve rilevarsi la manifesta infondatezza del ricorso ex articolo 375, primo comma, numero 5 cod. proc. civ., per cui la causa può essere trattata in camera di consiglio ex articolo 380 bis, primo comma, cod. proc. civ Infatti, quanto alla trasmissibilità agli eredi del diritto agli assegni familiari, che 1'Inps contesta, questa Corte ha affermato che il diritto alla percezione dell'assegno per il nucleo familiare di cui al D.L. 13 marzo 1988, numero 69, articolo 2, convertito nella L. 13 maggio 1988, numero 153, sorge per la sola sussistenza dei requisiti di legge, avendo la richiesta finalizzata ad ottenerlo la mera funzione di atto di avvio della procedura amministrativa che è necessario espletare, la quale sfocia in un accertamento avente natura meramente dichiarativa del diritto, i cui effetti pertanto retroagiscono, nel limiti della prescrizione, al momento in cui sono venuti ad esistenza i suddetti requisiti. Pertanto, ove l'assicurato deceda senza aver presentato la domanda omissione che di per sé non può essere considerata rinuncia al diritto , il credito alla prestazione economica quantificata per legge, sia pure condizionato alla verifica, da parte dell'ente previdenziale, delle condizioni per l'attribuzione del beneficio in capo al de cuius deve ritenersi già acquisito al patrimonio del defunto e, come tale, trasmissibile agli eredi, legittimati a farlo valere avanzando la relativa domanda all'INPS, tenuto ad accertare nei loro confronti l'esistenza delle condizioni di legge. Tale orientamento è stato recentemente confermato con ordinanza di questa Corte numero 20405 del 2012. Nel caso in esame, è stato positivamente accertato dal giudice di merito il possesso, in capo alla dante causa, dei requisiti per il riconoscimento del diritto all'assegno, il cui credito, entrato nel patrimonio della defunta, è stato trasmesso agli eredi che hanno agito per il relativo riconoscimento. La motivazione della impugnata sentenza ha deciso in conformità ai principi di diritto espressi da questa Corte e risulta dunque immune dalle censure che le sono state mosse. Né vi sono elementi che giustifichino l'esonero di questa Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti, sul quale si fonda, per larga parte, l'assolvimento della funzione assegnatale dall'articolo 65 dell'ordinamento giudiziario di cui al r.d. 30 gennaio 1941, numero 12 e succ. modificazioni, ma di rilevanza costituzionale, essendo anche strumentale al suo espletamento il principio, sancito dall'articolo 111 Cost., dell'indeclinabilità del controllo di legittimità delle sentenze di assicurare l'esatta osservanza, l'uniforme interpretazione della legge e l'unità del diritto oggettivo nazionale. 11 ricorso va dunque respinto con condanna dell'INPS al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità nella misura di € 100,00 per esborsi, € 2.500,,00 per compensi professionali, oltre Iva, Cpa e rimborso forfettario delle spese nella misura del 15%.