Il giudizio ecclesiastico non ferma quello innanzi al giudice italiano

In attesa della delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio, il giudizio innanzi al giudice italiano di cessazione degli effetti civili non viene sospeso.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 1526, depositata il 23 gennaio 2013, precisando che fra giudizio ecclesiastico di nullità del matrimonio concordatario e giudizio di cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste rapporto di pregiudizialità tale da sospendere necessariamente il secondo. Il caso. Il Tribunale di Parma dichiarava, con sentenza definitiva, la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario tra due persone, condannando l’uomo a corrispondere all’ex moglie un assegno di oltre 1.200 euro. L’uomo, tuttavia, proponeva appello chiedendo la sospensione del processo per la pendenza del giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio. Eccezione che veniva però respinta e che ha portato l’interessato a proporre ricorso per cassazione. Il giudizio ecclesiastico non produce effetti nell’ordinamento italiano in maniera automatica. Anche la S.C. ritiene infondata la richiesta. Secondo il consolidato orientamento di legittimità, infatti, «fra giudizio ecclesiastico di nullità del matrimonio concordatario e giudizio di cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste rapporto di pregiudizialità tale che il secondo debba essere necessariamente sospeso» ex articolo 295 c.p.c. , in attesa di definizione del primo. Non c’è alcun rapporto di pregiudizialità fra le cause. Il ricorrente, nel caso di specie, ritiene che il sopraggiungere del passaggio in giudicato della sentenza di delibazione comporterebbe la cessazione della materia del contendere nel giudizio in merito all’assegno divorzile. Ma anche sotto questo profilo, non essendoci alcun rapporto di pregiudizialità fra le cause, la questione non è fondata.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 ottobre 2012 – 23 gennaio 2013, numero 1526 Presidente Fioretti – Relatore De Chiara Svolgimento del processo Il Tribunale di Parma dichiarò dapprima, con sentenza non definitiva, la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario tra i sigg. S B. e A L. e poi, con la sentenza definitiva, condannò l'ex marito a corrispondere alla ex moglie un assegno di Euro 1.291,14 mensili. Il sig. B. impugnò la seconda sentenza, tra l'altro riproponendo l'eccezione, già disattesa dal Tribunale, di sospensione del processo per la pendenza del giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio. La Corte di Bologna ha respinto sia tale eccezione che l'appello. Il sig. B. ha quindi proposto ricorso per cassazione, cui la sig.ra L. ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie, con allegati, rispettivamente, la sentenza in data 31 maggio 2012 con cui la Corte d'appello di Bologna ha dichiarato l'esecutività in Italia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, e il ricorso per cassazione con cui detta sentenza è stata impugnata, notificato il 4 ottobre 2012. Il ricorrente ha anche chiesto, con la memoria e nella discussione orale, la sospensione del giudizio di cassazione in attesa del giudicato sulla delibazione della sentenza ecclesiastica. Motivi della decisione 1. - Con l'unico motivo di ricorso si ripropone, anche in questa sede, la questione della sospensione del processo per la pendenza del giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, sottolinenandosi che tale questione è sollevata non già con riferimento al giudizio di divorzio la cui decisione in primo grado non è stata appellata , bensì con riferimento al giudizio sul riconoscimento dell'assegno divorzile, destinato a concludersi per cessazione della materia del contendere una volta passata in giudicato la sentenza dichiarativa dell'efficacia in Italia della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. 2. - Il motivo è infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte fra giudizio eccelsiastico di nullità del matrimonio concordatario e giudizio di cessazione degli effetti civili dello stesso non sussiste rapporto di pregiudizialità tale che il secondo debba essere necessariamente sospeso, ai sensi dell'articolo 295 c.p.c., a causa della pendenza del primo e in attesa della sua definizione, trattandosi di procedimenti autonomi non solo sfocianti in decisioni di diversa natura e aventi finalità e presupposti diversi, ma aventi specifico rilievo in ordinamenti diversi, tanto che la decisione ecclesiastica solo a seguito di giudizio eventuale di delibazione, e non automaticamente, può produrre effetti nell'ordinamento italiano Cass. 24990/2010, 11020/2005, 11751/2001 ed altre . Né un rapporto di pregiudizialità è configurabile ove si prenda in considerazione - come fa il ricorrente - in luogo del giudizio ecclesiastico il successivo giudizio civile di delibazione della sentenza che lo conclude quest'ultimo giudizio, infatti, non ha ad oggetto la nullità del matrimonio, bensì la declaratoria di esecutività della sentenza ecclesiastica che l'ha pronunciata. Il ricorrente tuttavia, come si è visto, pone la questione sotto il particolare profilo che il sopraggiungere del passaggio in giudicato della sentenza di delibazione comporterebbe la cessazione della materia del contendere nel giudizio, ancora in corso, riguardante l'assegno divorzile. Neppure sotto tale profilo, però, la questione è fondata, per la decisiva ragione che la sospensione del processo ai sensi dell'articolo 295 c.p.c. è prevista solo in relazione al rapporto di pregiudizialità fra le cause, non già affinché si produca, nelle more, la cessazione della materia del contendere. 3. - Il ricorso va in conclusione respinto e per le stesse ragioni va respinta la richiesta di sospensione del presente giudizio di legittimità. Le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, non sussistendo i presupposti per la condanna aggravata ai sensi dell'articolo 385, quarto comma, c.p.c. invocata dal P.M P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, liquidate in Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per compensi di avvocato, oltre accessori di legge.