La vendita in sede fallimentare di un immobile incluso nei piani di espropriazione di un Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale per gli insediamenti produttivi finisce per sottrarre il bene alla sua originaria destinazione, non consentendo allo stesso di perseguire le finalità di pubblico interesse che ne hanno giustificato la cessione a prezzo di favore. Ne consegue, in presenza di un una clausola limitativa di alienazione a terzi contenuta in un atto disciplinare presupposto, l’obbligo di adeguare il prezzo di vendita all’effettivo valore dell’immobile, ripagando il Consorzio dei costi di sistemazione delle aree.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 20885/15, depositata il 15 ottobre. La vicenda processuale . Un Consorzio industriale otteneva dal Tribunale un decreto ingiuntivo per il pagamento di somme contro un società aggiudicataria di una procedura fallimentare. Nel provvedimento di aggiudicazione, infatti, era stato previsto l’accollo di taluni esborsi contemplati in un apposito disciplinare per atti di disposizione del compendio di lotti immobiliari del fallito. La società ingiunta si opponeva al monitorio eccependo che la situazione venutasi a creare non era assimilabile a vendita forzata, perché rientrante in un factum de non alienando con effetti obbligatori inter partes . Il giudice di primo grado rigettava la spiegata opposizione. Del pari anche l’appello veniva respinto in quanto, con l’adesione alla procedura di vendita all’asta, la società aggiudicataria aveva posto in essere un comportamento concludente volto ad accettare la previsione dell’accollo, tenuto peraltro conto che detta disposizione era contenuta nell’avviso di vendita, richiamata nel decreto di trasferimento oltre che nella relazione di stima. Le norme del disciplinare, inoltre, avrebbero natura pubblicistica, poiché preordinate alla tutela di un interesse pubblico perseguito dal Consorzio di evitare speculazioni edilizie. Ricorre per cassazione la società aggiudicataria, la quale, innanzi tutto, si duole per aver il giudice d’appello ritenuto pubblica la natura del Consorzio, quando invece gli interessi dedotti nel disciplinare de quo erano eminentemente privati ed a valenza imprenditoriale. Inoltre ne contestava l’interpretazione operata del negozio all’epoca concluso, attesa la sua sicura riconducibilità all’articolo 1379 c.c. con ciò non potendosi assimilare la vendita volontaria a quella fallimentare. La paventata autorizzazione del Consorzio sarebbe servita ad evitare speculazioni che però sono del tutto estranee agli organi fallimentari. Le previsioni di pubblico interesse sono opponibili alla procedura fallimentare. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso perché infondato. Spiegano gli Ermellini che il vincolo dedotto nel disciplinare non può essere assimilato ad un divieto convenzionale di alienazione ex articolo 1379 c.c. . La natura pubblicistica del vincolo deriva da norma di legge L. 1958/158 e L. 1969/739 giacché le opere previste a fini espropriativi concernono l’impianto, l’esercizio e l’attrezzatura di servizi in una zona industriale e portuale. La ratio legis è orientata, e da qui l’interesse pubblico di cui è portatore il Consorzio, a favorire la creazione di impianti di stabilimento destinati all’esercizio di attività produttive nelle aeree espropriate. Ne è prova la circostanza che il disciplinare in questione non contiene solo norme tese a regolamentare il trasferimento delle aree espropriate, ma prevede anche oneri e sanzioni a carico dei privati assegnatari. Fra queste proprio quelle di divieto di alienazione a terzi per un periodo di 19 anni ed 11 mesi dalla data di stipulazione del contratto di assegnazione, senza preventiva autorizzazione del Consorzio. Detto altrimenti dall’impianto normativo e convenzionale, è corretto ritenere che gli obblighi imposti al cessionario conformino il diritto di proprietà sugli immobili ceduti”. Ne segue la piena opponibilità alla procedura fallimentare delle previsioni di pubblico interesse, con tutto ciò che concerne la successione del curatore negli obblighi imposti dall’originario assegnatario poi dichiarato fallito. Dalla sentenza in commento si evince che in casi simili, al fine di evitare speculazioni da parte degli assegnatari dei lotti, il momento pianificatorio “a monte” e quello convenzionale “a valle” sono strettamente interdipendenti. L’angolazione prospettica è evidente la cessione del bene, col suo statuto giuridico che ne conforma la funzionalità, non è fine a se stesso, ma concorre pur sempre alla realizzazione dell’assetto urbanistico prefigurato dal piano. Ecco perché il Consorzio, pur non essendo dotato di poteri autoritativi, persegue finalità di pubblico interesse, così che anche il cessionario dell’area è sottoposto all’esigenza che venga assicurata la realizzazione degli obiettivi imposti dalla normativa di settore. Da ciò l’inapplicabilità dell’articolo 1379 c.c. che opera solo nella prospettiva della tutela di interessi eminentemente privati. In definitiva se il prezzo di assegnazione delle aree alla società assegnataria resta favorevole sia per titolarità che contesto aziendale , è giusto, coerentemente alle finalità pubbliche, che il Consorzio rientri dei costi di sistemazione delle aree nel momento in cui, in forza di un atto dispositivo, cessi la loro destinazione all’originaria attività produttiva.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 8 luglio – 15 ottobre 2015, numero 20885 Presidente Salmè – Relatore Barreca Svolgimento del processo 1. Il Tribunale di Padova aveva emesso in favore dell'istante Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova un decreto ingiuntivo col quale veniva ingiunto alla società Acciaierie Venete S.p.A. il pagamento della somma di £. 889.860.972, oltre interessi e spese. L'ingiunta era stata aggiudicataria, in una procedura fallimentare, di beni immobili dei fallimenti Galtarossa Icomsa Zincheria s.r.l. e Galtarossa s.p.a. e nel provvedimento di aggiudicazione era previsto l'”accollo” a carico dell'aggiudicatario di quanto sarebbe stato da corrispondere al Consorzio ai sensi dell'articolo 10 di apposito disciplinare in questo era stabilito che le società poi fallite già assegnatarie dei lotti di terreno per la costruzione di impianti destinati ad attività produttive in forza di atti del 7 dicembre 1989 e del 4 gennaio 1990 cui si riferiva il disciplinare non avrebbero potuto compiere atti di disposizione degli immobili per un periodo infra ventennale diciannove anni e undici mesi senza autorizzazione del Consorzio e quest'ultima era condizionata al pagamento in favore del Consorzio -in solido tra le assegnatarie e l'acquirente di un corrispettivo pari al 20% della differenza tra il prezzo in vigore al momento dell'assegnazione e quello in vigore al momento dell'autorizzazione. Il Consorzio aveva agito in monitorio per ottenere questo pagamento. 1.1 . La società Acciaierie Venete S.p.A. aveva proposto opposizione a decreto ingiuntivo, sostenendo che l'articolo 10 del disciplinare non sarebbe stato applicabile, essendo mancato un atto di disposizione volontario da parte dell'assegnatario che la norma sarebbe stata diretta ad evitare trasferimenti volontari del lotto acquistato ad un prezzo di favore al fine di impedire speculazioni che perciò la situazione contemplata dalla norma non era assimilabile a quella della vendita forzata inoltre, che si sarebbe trattato di un pactum de non alienando avente efficacia meramente obbligatoria tra le parti stipulanti, da interpretarsi in senso restrittivo. 1.2. Il Consorzio aveva resistito, deducendo che il curatore fallimentare sarebbe subentrato negli impegni convenzionalmente assunti dalle società assegnatarie dei lotti e, nel promuoverne la vendita, avrebbe compiuto un atto di disposizione assoggettabile alla previsione del disciplinare. Aveva aggiunto che il provvedimento del giudice delegato che prevedeva detto “accollo” avrebbe dovuto essere impugnato ai sensi dell'articolo 26 della legge fallimentare. 1.3. Il Tribunale, concessa la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, con sentenza del 19 settembre 2005, aveva rigettato l'opposizione delle Acciaierie Venete S.p.A., confermando il decreto e condannando l'opponente al pagamento delle spese processuali. 2. Avverso la sentenza la società già opponente proponeva appello, a cui resisteva il Consorzio. Con la sentenza impugnata, pubblicata il 12 dicembre 2011, la Corte d'Appello di Venezia ha rigettato l'appello, condannando l'appellante al pagamento delle spese del grado. 3. Contro questa sentenza Acciaierie Venete S.p.A. propone ricorso affidato a dieci motivi. Il Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova si difende con controricorso e memoria. Motivi della decisione 1. La Corte d'Appello ha respinto l'impugnazione per le seguenti ragioni a con l'adesione alla procedura di vendita all'asta la società appellante avrebbe accettato, sia pure implicitamente, di accollarsi l'obbligazione verso il Consorzio per il pagamento del contributo previsto dall'articolo 10 del disciplinare, dal momento che la relativa previsione era contenuta nell'avviso di vendita all'asta degli immobili e l'impegno era richiamato nel decreto di trasferimento, oltre che nella relazione di stima dell'esperto b la fattispecie sarebbe analoga a quella contemplata dall'articolo 586 cod. proc. civ., in relazione all'articolo 508 cod. proc. civ Acciaierie Venete S.p.A., con l'adesione al bando di vendita recante l'esplicita previsione dell'esistenza dell'onere a carico del concorrente all'incanto , avrebbe assunto su di sé l'obbligazione del pagamento al Consorzio del contributo previsto dall'articolo 10 del disciplinare, perfezionatasi a suo carico con l'aggiudicazione dell'immobile c l'obbligazione in parola gravava sulle società Galtarossa già assegnatarie dei terreni e poi fallite, e quindi la procedura fallimentare bene avrebbe trasferito questa obbligazione in capo all'aggiudicataria, sia pure nell'interesse della massa dei creditori d le norme del disciplinare che “ detta le disposizioni per l'assegnazione delle aree pervenute nella disponibilità del Consorzio per la Zona Industriale e per il Porto Fluviale di Padova, destinate alle opere per l'impianto e la sistemazione degli stabilimenti industriali, artigianali e commerciali facenti parte del Consorzio stesso” non si limiterebbero a regolamentare i trasferimenti ai privati delle aree, ma, prevedendo anche oneri e sanzioni a carico dei privati assegnatari, avrebbero natura pubblicistica, essendo preordinate alla tutela dell'interesse pubblico perseguito dal Consorzio. Con la conseguenza che il divieto di alienazione non avrebbe rilevanza esclusivamente privatistica ed efficacia meramente obbligatoria ai sensi dell'articolo 1379 cod. civ., ma si estenderebbe anche nei confronti dei terzi, e degli aventi causa degli assegnatari medesimi, come da precedente di legittimità numero 9508/1997, richiamato in sentenza e la società aggiudicataria non avrebbe assunto, in via di manleva, un obbligo altrui, ma sarebbe stata obbligata in proprio, in ragione della previsione contenuta nell'avviso di vendita, secondo cui l'adesione a quest'ultimo avrebbe comportato, oltre all'accollo dell'obbligazione verso il Consorzio, l'espressa rinuncia da parte dell'aggiudicatario alla richiesta in capo al fallimento della somma da pagare quindi, la rinuncia al regresso verso il fallimento . 2. Le affermazioni sub a , b ed c sono censurate con gli ultimi quattro motivi di ricorso i primi sei sono diretti a contestare quanto ritenuto dalla Corte di merito in punto di successione dell'aggiudicataria nell'obbligazione nascente dall'articolo 10 del disciplinare affermazione sub e ed in punto di opponibilità del vincolo di inalienabilità infraventennale in quanto preordinato alla tutela di pubblici interessi affermazione sub d . Seguendo l'ordine espositivo della ricorrente, che peraltro rispetta l'ordine logico delle questioni, vanno esaminati i primi sei motivi. 2.1. Col primo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 36, comma quarto, della legge numero 317 del 1991, “ per non aver applicato al caso di specie le norme civilistiche ”. La ricorrente sostiene che sarebbe errata la sentenza che ha ritenuto le norme del disciplinare a natura pubblicistica, in quanto preordinate alla tutela dell'interesse pubblico perseguito dal Consorzio. La Corte di merito non avrebbe considerato che quest'ultimo è qualificato dal menzionato articolo 36 della legge numero 317 del 1991 intitolata “ Interventi per l'innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese” come ente pubblico economico il Consorzio di sviluppo industriale, costituito ai sensi della vigente legislazione così come è il Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova , opererebbe in posizione di assoluta parità con l'altro contraente, sicché il disciplinare allegato al contratto di assegnazione delle aree che sarebbe un contratto di compravendita regolamenta il rapporto contrattuale nato tra soggetti che opererebbero su un piano di parità, legati da diritti e obblighi reciproci di natura privatistica. 2.2. Col secondo motivo si svolgono censure analoghe, sotto il profilo del vizio di motivazione in merito alla natura imprenditoriale dell'attività esercitata dal Consorzio. Questa sarebbe stata esclusa dalla Corte di merito, che avrebbe ritenuto la natura pubblicistica degli interessi perseguiti, senza adeguata motivazione. 2.3. Col terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto nell'interpretazione dell'articolo 10 del disciplinare in riferimento all'articolo 1379 cod. civ. ed agli articolo 1362 e 1363 cod. civ., sull'interpretazione dei contratti, per non avere la Corte d'Appello riconosciuto la natura obbligatoria della clausola del disciplinare e la sua riconducibilità all'articolo 1379 cod. civ. e per avere assimilato alla vendita volontaria la vendita fallimentare, la quale non avrebbe potuto essere assoggettata all'autorizzazione del Consorzio che sarebbe servita ad evitare speculazioni, invece estranee agli organi fallimentari . 2.4. Col quarto motivo si censura la motivazione della sentenza per avere richiamato il precedente di legittimità numero 9508/1997, che, secondo la ricorrente, avrebbe una motivazione addirittura contrastante con le ragioni poste a fondamento della decisione impugnata. Inoltre, la Corte d'Appello non avrebbe tenuto conto di altra, più pertinente, giurisprudenza di legittimità, espressa dalle sentenze numero 6517/1980 e numero 6748/1987 indicate già nei gradi di merito a sostegno delle ragioni della società odierna ricorrente. 2.5. Col quinto motivo si deduce violazione dell'articolo 1379 cod. civ. in relazione alla disciplina fallimentare ed agli articolo 42, 52 e 93 legge fallimentare, per non avere la Corte d'Appello escluso la compatibilità con la disciplina fallimentare della clausola dell'articolo 10 del disciplinare, in quanto contenente un divieto convenzionale di alienazione riconducibile all'articolo 1379 cod. civ. e perciò inopponibile alla massa, quindi al terzo aggiudicatario. 2.6. Col sesto motivo si svolgono censure analoghe sotto il profilo del vizio di motivazione sull'applicabilità dell'articolo 10 del disciplinare alla vendita fallimentare. 3. I motivi da esaminarsi congiuntamente poiché concernenti una sola decisiva questione non sono fondati. La questione che essi pongono riguarda la natura del vincolo di che trattasi e la sua opponibilità alla procedura concorsuale e, quindi, all'aggiudicatario della vendita in sede fallimentare. Quanto al primo aspetto, non coglie nel segno la ricorrente laddove riconduce il vincolo ad un divieto convenzionale di alienazione regolato dall'articolo 1379 cod. civ Con la legge 4 febbraio 1958 numero 158 in G.U. numero 69 del 20/03/1958, recante “ Norme relative all'espropriazione di terreni e all’attuazione di opere nella zona industriale e nel porto fluviale di Padova ” , modificata dalla legge 1 ottobre 1969 numero 739 fin G.U. numero 279 del 05/11/1969 recante “ Modifiche alla legge 4 febbraio 1958, numero 158, contenente norme relative all'espropriazione di terreni e all'attuazione di opere nella zona industriale e nel porto fluviale di Padova ” , si è prevista la pubblica utilità a fini espropriativi di tutte le opere occorrenti per l'impianto, l'esercizio e l'attrezzatura dei servizi della zona industriale e portuale di Padova, nonché delle opere occorrenti per l'impianto e la sistemazione nella zona stessa di stabilimenti industriali, artigianali e commerciali tecnicamente organizzati e costruzioni annesse. Si è quindi previsto che, all'esito dell'espropriazione per pubblica utilità allo stesso affidata, il Consorzio per la Zona Industriale e per il Porto Fluviale di Padova provvedesse alla assegnazione delle aree, provenienti dalle espropriazioni, a singole aziende per l'impianto di stabilimenti industriali, artigianali e commerciali tecnicamente organizzati ed opere annesse, alle condizioni previste dalla stessa normativa speciale. È così palesato l'interesse pubblico a favorire l'impianto di stabilimenti destinati ad attività produttive sulle aree allo scopo espropriate. Le aree espropriabili erano quelle ricomprese in piani particolareggiati deliberati dagli organi del Consorzio ed esse, per la realizzazione degli obbiettivi di legge, erano cedute in proprietà “assegnate” a singole aziende per l'impianto degli stabilimenti. A seguito dell'esproprio, il bene era destinato direttamente al soddisfacimento dell'anzidetta finalità d'interesse pubblico. Questa era raggiunta anche mediante l'attribuzione al Consorzio del compito, oltre che di sistemare l'area destinata allo sviluppo degli insediamenti produttivi, di realizzare le opere necessarie per i servizi pubblici della zona industriale e del porto fluviale. Per quanto è dato evincere dagli scritti di parte, gli atti di cessione del 7 dicembre 1989 e del 4 gennaio 1990 vennero stipulati tra il Consorzio e le società Galtarossa per l'assegnazione di aree destinate ad insediamenti produttivi ai sensi della richiamata normativa. Il disciplinare relativo alla cessione in proprietà delle aree come si afferma nella sentenza impugnata contiene norme che non si limitano a regolamentare il trasferimento, “ ma prevedono anche oneri e sanzioni a carico dei privati assegnatari ”. Tra queste, la previsione dell'articolo 10, per la quale “Per atti di disposizione sugli immobili per un periodo di 19 anni e 11 mesi dalla data di stipulazione del contratto di assegnazione, l'assegnatario non potrà cedere a terzi in tutto o in parte la proprietà dell'area e/o delle costruzioni, né costituire sopra detto immobile diritto reale di godimento, senza preventiva autorizzazione del Consiglio Direttivo del Consorzio. L'autorizzazione è condizionata al pagamento in solido tra assegnatario e l'acquirente al Consorzio di un corrispettivo pari al 20% della differenza fra il prezzo in vigore al momento dell'ultima assegnazione e quello in vigore al momento dell'autorizzazione di cui sopra . omissis . ”. La clausola prevede altresì un'apposita disciplina per l'affitto e per la successione mortis causa , nonché l'esenzione dall'autorizzazione “qualora si tratti di trasferimento dell'immobile unitamente all'azienda sullo stesso insediata, fermo l'obbligo, tuttavia, del cedente di comunicare immediatamente al Consorzio il nominativo del nuovo utente e l'obbligo di non modificare l'oggetto dell'attività aziendale” . Come rilevato nel precedente di questa Corte numero 9508/97 citato in sentenza relativo all'analoga fattispecie dell'assegnazione ai privati di immobili compresi nei piani particolareggiati delle aree destinate gli insediamenti produttivi ai sensi dell'articolo 27 della legge numero 865/1971 – “il momento pianificatorio e quello convenzionale sono pertanto legati da un rapporto di interdipendenza infatti, se la cessione trova il suo ineliminabile presupposto nell'esistenza del piano, quest'ultimo richiede, per la sua concreta attuazione, che l'area sia trasferita in proprietà o concessa in superficie ad un operatore economico. La cessione del bene non è quindi fine a sé stessa, ma concorre alla realizzazione dell'assetto urbanistico prefigurato nel piano”. Sebbene nel caso di specie la normativa speciale non preveda il potere di incidere unilateralmente sul rapporto in capo al Consorzio che, in quanto ente pubblico economico, non è dotato di poteri autoritativi , tuttavia le finalità di pubblico interesse dallo stesso perseguite finalità, il cui raggiungimento contrariamente a quanto sotteso ai primi due motivi di ricorso ben può essere affidato ad un ente pubblico economico consentono di affermare che anche gli obblighi posti a carico del cessionario circa l'utilizzazione dell'area trovino il loro presupposto nell'esigenza di assicurare la realizzazione degli obbiettivi perseguiti dalla normativa speciale. Quindi, si tratta di obblighi preordinati alla tutela di interessi che trascendono quelli che caratterizzano la posizione dell'alienante in una compravendita che rilevi solo sul piano privatistico. Appunto perché finalizzato alla tutela di un interesse pubblico che si realizza per il tramite Consorzio alienante rectius , cedente ma non è proprio di quest'ultimo come se si trattasse di una parte privata -, il divieto di alienazione se non previa autorizzazione non è riconducibile alla regola posta dall'articolo 1379 cod. civ Questa norma, infatti, accorda prevalenza all'interesse di uno dei contraenti, subordinando la validità della clausola negoziale al fatto che si tratti di un interesse “apprezzabile”, ma sempre nella prospettiva della tutela di interessi privati. Nel caso di specie, rileva invece l'interesse pubblico, perseguito, per il tramite del Consorzio, allo sviluppo industriale o comunque produttivo dell'area, espropriata e sistemata allo scopo a spese dello stesso Consorzio. Pertanto, se il prezzo di assegnazione resta favorevole per gli assegnatari originari e per coloro che vi succedono, non solo nella titolarità dell'immobile, ma anche dell'azienda, purché si mantenga l'oggetto dell'attività aziendale come da detta previsione del disciplinare , è coerente con la tutela dell'interesse generale perseguito dal Consorzio che questo recuperi i costi di sistemazione delle aree qualora, a seguito dell'atto dispositivo, venga meno la destinazione delle stesse all'originaria attività produttiva. Considerato tale impianto normativo e convenzionale, è corretto ritenere che gli obblighi imposti al cessionario conformino il diritto di proprietà sugli immobili ceduti. 3.1. Dato ciò, la vendita in sede fallimentare di un immobile incluso nei piani di espropriazione del Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova per gli insediamenti produttivi finisce per sottrarre il bene alla sua originaria destinazione. Essa non consente di perseguire più le finalità di pubblico interesse che hanno giustificato la cessione a prezzo di favore, sicché si viene a determinare la situazione del tutto analoga a quella che si ha in caso di atto di disposizione dell'assegnatario che impone di adeguare il prezzo di vendita all'effettivo valore dell'immobile, ripagando il Consorzio dei costi di sistemazione delle aree. La differente natura degli interessi perseguiti non consente alcuna equiparazione tra gli obblighi degli assegnatari delle aree espropriate e gli obblighi volontariamente assunti dal contraente privato, per la tutela di interessi di natura individuale, con clausole contrattuali riconducibili all'articolo 1379 cod. civ. clausole, queste ultime, incompatibili, di norma, con la procedura fallimentare . Ne segue, in primo luogo, l'opponibilità alla procedura fallimentare delle previsioni del disciplinare dettate nel pubblico interesse, quindi la successione del curatore negli obblighi imposti all'originario assegnatario poi fallito. Ne segue, altresì, la compatibilità dell'obbligo posto dall'articolo 10 del disciplinare con le norme che regolano la procedura fallimentare. E ciò anche in ragione del fatto che le previsioni di legge e convenzionali di cui si è detto non sottraggono, in assoluto, all'assegnatario la facoltà di disporre del bene né prevedono la risoluzione dell'assegnazione, come nel caso esaminato da Cass. numero 9508/97, di cui si è detto , ma la subordinano al rilascio dell'autorizzazione, condizionata soltanto al pagamento del corrispettivo al Consorzio. Questo pagamento consente un adeguamento del prezzo originario di vendita che non è in contrasto con gli interessi della massa. Con l'ulteriore previsione della solidarietà, per tale pagamento, tra assegnatario cui è subentrato il Fallimento ed aggiudicatario avente causa dalla procedura , a maggior tutela dei pubblici interessi. Si tratta di conclusioni coerenti con i precedenti di legittimità citati in sentenza Cass. numero 9508/97 ed in ricorso Cass. numero 6517/80 e numero 6748/87 , in quanto da essi si trae il principio generale per il quale l'opponibilità o meno alle procedure esecutive e concorsuali dei vincoli di indisponibilità o dei divieti di alienazione sugli immobili che ne sono oggetto dipende dalla natura del vincolo e dalla relativa disciplina, legale e/o convenzionale. Anzi, proprio il primo dei due precedenti che la società ricorrente cita a sostegno dei propri assunti smentisce questi ultimi e corrobora le conclusioni sopra raggiunte poiché riconosce il subentro del curatore fallimentare nell'amministrazione, ma anche negli obblighi degli assegnatari degli alloggi economici e popolari, con riserva di dominio in favore dell'ente venditore compreso, tra questi obblighi, quello del pagamento del prezzo residuo per il definitivo trasferimento della proprietà così Cass. numero 6517/80 . I primi sei motivi di ricorso vanno perciò rigettati. 4. Quanto posto a fondamento di tale rigetto consente di confermare le affermazioni della Corte d'Appello riportate sopra sub c e d , costituenti una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere la decisione. Pertanto, ritenuta l'opponibilità alla procedura fallimentare del divieto di alienazione senza autorizzazione e delle condizioni poste per il rilascio dell'autorizzazione da parte del Consorzio, e ritenuta, quindi, l'assoggettabilità a tali condizioni dell'aggiudicatario della vendita coattiva, restano assorbite le questioni poste con il settimo e con l'ottavo motivo di ricorso relative alle affermazioni della sentenza riportate sopra sotto la lettera b . Col settimo motivo si denuncia infatti la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla affermata applicazione analogica al caso di specie dell'articolo 508 cod. proc. civ. richiamato dall'articolo 586 cod. proc. civ. e con l'ottavo l'insufficienza di motivazione sui presupposti di applicabilità dell'articolo 508 cod. proc. civ Il richiamo in effetti scorretto che la Corte d'Appello ha fatto degli articolo 508 e 586 cod. proc. civ. è assorbito da quanto detto a proposito della successione del Fallimento negli impegni negoziali della società fallita. 4.1. In merito poi, alle affermazioni del giudice del gravame secondo cui con l'adesione alla procedura di vendita l'appellante avrebbe accettato di accollarsi l'obbligazione verso il Consorzio, si osserva quanto segue. Se intesa come autonoma ratio decidendi , tale che la Corte d'Appello avrebbe fondato la propria decisione, non sull'applicabilità diretta dell'articolo 10 del disciplinare, ma sulla volontaria assunzione di un impegno che sarebbe disceso direttamente dalla partecipazione dell'aggiudicataria alla vendita all'asta, essa non risulta, in sé, censurata dalla ricorrente in tal senso è il precedente di cui a Cass. numero 8348/14, prodotto con la memoria della resistente , fatto salvo quanto si dirà a proposito degli ultimi due motivi di ricorso. Questi tuttavia non pongono la censura che pur avrebbe potuto essere formulata avverso la sentenza di merito che la vicenda traslativa all'esito della vendita coattiva non si possa configurare come sembra aver fatto la Corte d'Appello come effetto di una proposta della procedura, contenuta nel bando di gara, cui sia seguita l'accettazione dell'aggiudicatario e quindi nemmeno pongono la questione della configurabilità della partecipazione alla procedura di vendita all'asta in sede fallimentare come autonoma fonte di obbligazioni dell'aggiudicatario nei confronti di terzi come sembra aver ritenuto la Corte di merito. In ogni caso, anche tale, discutibile, ratio decidendi sarebbe assorbita da quanto già detto a proposito dell'operatività dell'articolo 10 del disciplinare. Se, invece, il riferimento fatto dalla Corte di merito alla menzione dell'obbligo nell'avviso di vendita venga apprezzato come riscontro, da parte del giudice del gravame, della pubblicità data alla clausola del disciplinare contenente il divieto di alienazione senza autorizzazione e le condizioni per il relativo rilascio , l'argomento consente di superare le perplessità manifestate dall'appellante, oggi ricorrente, in punto di mancata trascrizione del vincolo al fine di ritenerne l'opponibilità ai terzi, ed in specie agli acquirenti in sede fallimentare . In conclusione, i motivi settimo ed ottavo sono assorbiti a seguito del rigetto dei precedenti. 5. Col nono motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 1273 cod. civ., perché, pur avendo la Corte d'Appello ritenuto sussistente un accollo di quanto sarebbe stato da corrispondere al Consorzio ai sensi dell'articolo 10 del disciplinare, non ne avrebbe tratto le dovute conseguenze. In particolare, non avrebbe applicato, come sostenuto da Acciaierie Venete S.p.A., le norme in materia di accollo specificamente, su la mancanza di qualsivoglia riconoscimento di debito nei confronti del Consorzio da parte dell'aggiudicataria, essendo configurabile soltanto un accollo interno nei rapporti tra l'aggiudicataria ed il Fallimento l'opponibilità al Consorzio di tutte le eccezioni relative al rapporto tra accollato Fallimento Galtarossa e creditore Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova , quindi sull'esistenza e sulla validità dell'originaria obbligazione prima fra tutte la inapplicabilità dell'articolo 10 del disciplinare . Col decimo motivo la stessa censura è ricondotta al vizio di omessa motivazione sull'opponibilità al creditore Consorzio da parte dell'accollante Acciaierie Venete delle eccezioni spettanti al debitore originario Fallimento . 5.1. Il rigetto dei due ultimi motivi consegue alle ragioni sopra esposte in merito alla successione del Fallimento nell'obbligazione nei confronti del Consorzio già gravante sulle società originarie assegnatarie delle aree espropriate, che comporta l'assoggettamento agli stessi obblighi della società aggiudicataria. Restano così superate anche tutte le questioni riguardanti le previsioni inserite nell'avviso di vendita. Queste previsioni risultano infatti dirette per lo più a disciplinare i rapporti tra l'aggiudicataria ed il Fallimento quali obbligati in solido nei confronti del Consorzio, in specie in merito all'azione di regresso della prima verso il secondo ed alla relativa rinuncia rapporti, invero, del tutto estranei al contenzioso in oggetto. In conclusione, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore del resistente, nell'importo di Euro 10.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.