Legittima la costituzione di parte civile in un processo penale -per il ristoro di danni morali da parte di chi non sia legato da stretti rapporti parentali e neppure conviva con la vittima, quando, comunque, si vede privato di un rapporto di affectio familiaris che gli comporti un’incisione nella propria sfera affettiva, come tale rientrante nell’ambito dell’articolo 2059 c.c
Il caso. Venivano rinviati a giudizio, a titolo di omicidio colposo, l’amministratore unico ed il responsabile di cantiere di una società per l’infortunio mortale verificatosi sul luogo di lavoro ai danni di un lavoratore subordinato. La sentenza di primo grado, confermata anche in appello, condannava i due imputati alle pene di legge meglio ritenute ed al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, nello specifico la madre della vittima ed i componenti del gruppo familiare italiano che lo aveva accolto nel nostro paese, in quanto lo stesso era cittadino extracomunitario. L’addebito investiva i due imputati perché, nelle rispettive qualità, avevano consentito al lavoratore di operare sul tetto di un capannone senza l’ausilio di dispositivi di trattenuta o altri presidi anticaduta, oltreché di aver fornito delle cinture si sicurezza, che però non erano in concreto utilizzabili giacché erano assenti punti di aggancio per le stesse nella fattispecie l’uomo era precipitato per otto metri nel vano di un lucernaio che non era assolutamente coperto, né in altro modo opportunamente protetto. Avverso la sentenza di secondo grado ricorrono per cassazione entrambi i prevenuti, che, nonostante impugnino con due distinti atti, lamentano però i medesimi vizi l’amministratore unico, inoltre, denunzia anche la mancata considerazione - quale causa di propria esclusione di responsabilità - della esistenza di una valida delega di funzioni per la tutela della sicurezza e salute dei lavoratori conferita al coimputato, il quale, anche in linea fattuale, avrebbe provveduto alla predisposizione dei presidi antinfortunistici e vigilato sul loro impiego. Gli altri due motivi di doglianza concernono - violazione di legge e illogicità della motivazione, quanto alla conferma dell’ordinanza che ammette la costituzione di parte civile del consorzio familiare avente accolto in Italia la povera vittima, in quanto non si sarebbe trattato di una situazione qualificata da stabilità nè da un reciproco programma di condivisione di vita - vizio motivazionale in relazione all’asserito mancato assolvimento delle obbligazioni antinfortunistiche, giacché la sentenza non avrebbe tenuto conto di fotografie attestanti la presenza di punti di ancoraggio per l’aggancio delle cinture, del costante sollecito da parte della società ad utilizzare le cinture stesse e della effettiva copertura del lucernaio al momento dell’infortunio. Legittima la costituzione di parte civile da parte di soggetti non legati da stretti vincoli parentali. La Suprema Corte ha ritenuto privi di fondamento tutti i motivi di ricorso prospettati dagli imputati, rigettando, conseguentemente, entrambi i ricorsi. Quanto alla contestata costituzione di parte civile, gli Ermellini ribadiscono l’orientamento ormai consolidato della stessa Corte, secondo cui nel procedimento penale è legittima la costituzione di parte civile da parte di soggetti non legati da stretta parentela e pure non conviventi con la vittima, e ciò al fine di ottenere il ristoro dei danni morali, dal momento che la perdita definitiva di un rapporto di affectio familiaris può comportare l’incisione dell’interesse all’integrità morale, riconducibile all’articolo 2 Cost. sotto l’aspetto dell’intangibilità degli affetti, la cui lesione può comportare risarcimento ai sensi dell’articolo 2059 c.c. pur restando preclusa, in tale ipotesi, la riparazione dei danni patrimoniali . Quindi, i componenti della famiglia che ha ospitato nel nostro paese il lavoratore deceduto sono stati pregiudicati dal triste evento luttuoso e, di conseguenza, ben erano legittimati a costituirsi parte civile nel procedimento in oggetto per ottenere il ristoro dei danni morali patiti. Quanto alla censura inerente l’assolvimento delle obbligazioni antinfortunistiche, la Corte ritiene che essa sia priva di fondamento, risolvendosi in una richiesta di un nuovo accertamento di fatto, non consentito in sede di legittimità, dal momento che la sentenza ha compiutamente e congruamente considerato ogni aspetto fattuale. Dall’istruttoria è infatti emerso che le funi di aggancio per le cinture sono state posizionate solo dopo l’infortunio, che la fune raffigurata nelle foto prodotte dalla difesa non era ancorata ad alcun punto fisso e quindi era totalmente disfunzionale, che non erano presenti altri validi punti di aggancio e che, quindi, non sussistevano le condizioni strutturali per un’efficace funzionalità dei presidi. Infine, quanto alla dedotta esistenza di una delega di funzioni rilasciata dall’amministratore unico in capo al responsabile del cantiere, la Corte rileva come in sentenza non si dia neppure atto della delega stessa, in quanto la documentazione prodotta agli atti dall’amministratore null’altro sarebbe che una delega di responsabilità penale, priva, quindi, di qualsiasi valore, non essendo tale responsabilità in alcun modo trasferibile da un soggetto ad un altro. Inoltre, la suddetta documentazione non ha consentito di ritenere che al delegato fosse stata fornita alcuna dotazione di mezzi finanziari per far fronte autonomamente alla predisposizione dei compiti affidati. Per tutte le considerazioni che precedono, i ricorsi sono stati rigettati, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali da parte dei ricorrenti.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 1° febbraio - 8 novembre 2012, numero 43434 Presidente Marzano – Relatore Zecca Ritenuto in fatto La Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza di condanna del Tribunale di Treviso che aveva ritenuto i due imputati M. amministratore unico della società General Works srl e B. responsabile di cantiere della stessa società responsabili del delitto di omicidio colposo per un infortunio mortale verificatosi il omissis in occasione e a causa di prestazione di lavoro subordinato, a loro addebitato, e li aveva condannati, attribuite le attenuanti generiche, alle pene ritenute congrue e sospese ex articolo 163 cp. oltre che al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite e, per quanto rileva rispetto ai ricorsi proposti, in favore di E P. madre del lavoratore morto, nonché dei componenti del gruppo familiare Be. entro il quale il P. di fatto era stato accolto come componente. L'addebito investiva i due imputati nelle loro rispettive qualità perché avevano consentito al lavoratore P.I. , privo delle cinture di sicurezza, fornite ma non utilizzabili, e privo di presidi di trattenuta o di altri dispostivi anticaduta, di operare sul tetto di un capannone dove insistevano cavi e altro materiale e un lucernario non coperto, nel vano del quale il lavoratore era precipitato per circa otto metri conseguendo le lesioni che lo avevano condotto a morte. La sentenza di appello affermava la risarcibilità del danno cagionato da reato ai componenti di una stabile convivenza quale che sia il tipo di legame sul quale la convivenza si regge e affermava ancora la piena responsabilità degli imputati per l'omicidio colposo ad essi addebitato con riguardo alla condizione della superficie ove si svolgeva il lavoro alla accertata assenza di punti di aggancio per le cinture di sicurezza alla verificata assenza di delega delle responsabilità per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Contro la sentenza di appello propongono due distinti ricorsi per cassazione gli imputati i quali denunziano A B. responsabile di cantiere della stessa società denunzia 1 violazione di legge ex articolo 606 co. 1 lett. c cpp., e 74 cpp, in uno a motivazione manifestamente illogica nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato l'ordinanza ammissiva della costituzione di parte civile del consorzio familiare Be. che incontestatamente aveva accolto in Italia I P. per ospitarlo nella sua abitazione e aveva prestato garanzia per l'acquisto di un ciclomotore ma aveva poi fatto derivare dalla condizione di benefattore del P. lavoratore privo di permesso di soggiorno l'aspettativa che costui avrebbe in futuro ricambiato o restituito i benefici ricevuti. Il diritto a risarcimento sarebbe stato così costruito su una mera aspettativa che faceva sorgere da un atto gratuito di liberalità non ancora tramutato in una stabile situazione di contribuzione tra conviventi qualificata da aspetti di stabilità e reciproca condivisione di progetti e programmi. Nessun patto e nessuna legge erano stati allegati a fondamento della pretesa del gruppo Benedetti, nessun danno attuale era stato allegato a fondamento della pretesa risarcitoria azionata nel processo penale, restavano affermazioni prive di riscontro quelle attestanti un crescere del reddito del P. e la sua intenzione di avviare una attività in proprio con uno dei Be. A. . Rilevava il ricorrente che le affermazioni di sentenza relative al rapporto tra condanna generica al risarcimento del danno assunta in sede penale e separato giudizio civile stravolgeva la qualità della questione di legittimazione della parte civile posta e risolveva in questioni di merito questioni che investivano a monte la legittimazione all'esercizio della azione civile. 2 Vizio di motivazione ex articolo 606 co. 1 lett. e cpp in relazione al dedotto mancato assolvimento delle obbligazioni antinfortunistiche per avere l'imputazione definitiva e la sentenza impugnata accertata la dotazione di cinture di sicurezza e per non avere la sentenza impugnata valutato la conferma anche fotografica della esistenza di punti di ancoraggio per le cinture, tali che rendevano utile la loro dotazione per avere la sentenza impugnata trasformato il senso della dichiarazione testuale dell'ispettore T. dello SPISAL e per avere qualificato come fatti riferiti dal teste quelle che erano solo valutazioni dello stesso così tralasciando di affermare che gli imputati avevano dato piena attuazione al precetto dell'articolo 10 del DPR 164/1956. Il ricorrente B. censurava la mancata considerazione della pienezza della prova circa le sue direttive continuamente indirizzate a imporre t'uso delle cinture e della prova relativa alla sua assenza dal cantiere nel momento della precipitazione del P. . Il lucernario nel quale il lavoratore era caduto era coperto sicché non c'era prima del sinistro apertura da cautelare ai sensi dell'articolo 68 DPR 164/1956 Improvvisa e imprevedibile era stata la violazione da parte dell'infortunato delle prescrizioni circa l'uso della cintura. M.M. denunzia 1 violazione di legge ex articolo 606 co. 1 lett. c cpp., e 74 cpp, in uno a motivazione manifestamente illogica nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato l'ordinanza ammissiva della costituzione di parte civile del consorzio familiare Be. che incontestatamente aveva accolto in Italia I P. per ospitarlo nella sua abitazione e aveva prestato garanzia per l'acquisto di un ciclomotore ma aveva poi fatto derivare dalla condizione di benefattore del P. lavoratore privo di permesso di soggiorno l'aspettativa che costui avrebbe in futuro ricambiato o restituito i benefici ricevuti. Il diritto a risarcimento sarebbe stato così costruito su una mera aspettativa che faceva sorgere da un atto gratuito di liberalità non ancora tramutato in una stabile situazione di contribuzione tra conviventi qualificata da aspetti di stabilità e reciproca condivisione di progetti e programmi. Nessun patto e nessuna legge erano stati allegati a fondamento della pretesa del gruppo Benedetti, nessun danno attuale era stato allegato a fondamento della pretesa risarcitoria azionata nel processo penale, restavano affermazioni prive di riscontro quelle attestanti un crescere del reddito del P. e la sua intenzione di avviare una attività in proprio con uno dei Be. A. . Rilevava il ricorrente che le affermazioni di sentenza relative al rapporto tra condanna generica al risarcimento del danno assunta in sede penale e separato giudizio civile stravolgeva la qualità della questione di legittimazione della parte civile posta e risolveva in questioni di merito questioni che investivano a monte la legittimazione all'esercizio della azione civile. 2 Vizio di motivazione ex articolo 606 co. 1 lett e cpp in relazione al dedotto mancato assolvimento delle obbligazioni antinfortunistiche per avere l'imputazione definitiva e la sentenza impugnata accertata la dotazione di cinture di sicurezza e per non avere la sentenza impugnata valutato la conferma anche fotografica della esistenza di punti di ancoraggio per le cinture, tali che rendevano utile la loro dotazione per avere la sentenza impugnata trasformato il senso della dichiarazione testuale dell'ispettore T. dello SPISAL e per avere qualificato come fatti riferiti dal teste quelle che erano solo valutazioni dello stesso così tralasciando di affermare che gli imputati avevano dato piena attuazione al precetto dell'articolo 10 del DPR 164/1956. 3 Vizio di motivazione ex articolo 606 co. 1 lett e cpp sotto i profili della illogicità manifesta e dell'assenza di motivazione in relazione alla mancata considerazione quale causa di esclusione di responsabilità della esistenza di valida delega di funzioni per la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori conferita al B. che al di là della delega gestiva anche in linea di fatto il cantiere provvedeva ai presidi antinfortunistici e vigilava sul Toro impiego. Di fronte a così complessa delega di funzioni e alla implicita dotazione di necessarie risorse economiche non accompagnata da alcuna ingerenza di fatto del M. , la sentenza di appello doveva escludere la responsabilità del M. per causa della sola sua posizione apicale. Giusto il tenore letterale del Piano Operativo di Sicurezza ancora esibito in sede di legittimità e attestante il poteri del B. e la ampiezza della delega a lui conferita. I ricorsi erano decisi all'udienza del giorno 1 Febbraio 2012 dopo il compimento degli incombenti stabiliti dal codice di rito. Considerato in diritto La censura proposta dall'uno e dall'altro ricorrente in ordine alla conferma della ordinanza ammissiva della costituzione di parte civile del consorzio familiare Be. non ha fondamento sotto alcun profilo e deve essere rigettata. In linea generale Cass. penumero Sez. V, ud. 05-06-2008 24-09-2008, numero 36657 ha ribadito il principio, anch'esso da tempo consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui per la pronunci, di una condanna generica al risarcimento dei danni in favore della vittima del reato non si richiede alcuna indagine sulla concreta esistenza di un danno risarcibile, sufficiente essendo accertare la potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e l'esistenza di un nesso di causalità fra questo e il pregiudizio lamentato Cass. 19 ottobre 2000, Mattioli e altri Cass. 19 gennaio 1993, Bonaga . La decisione impugnata che di tale principio ha fatto uso è esente da ogni censura già sotto questo primo profilo. In linea ancora generale è da ritenere legittima la costituzione di parte civile nel processo penale di un soggetto non legato da rapporti di stretta parentela e non convivente con la vittima del reato come il figlio della moglie di quest'ultimo, al fine di ottenere il risarcimento dei danni morali, considerato che la definitiva perdita di un rapporto di “affectio familiaris” può comportare l'incisione dell'interesse all'integrità morale, ricollegabile all'articolo 2 Cost. sub specie di intangibilità della sfera degli affetti, la cui lesione comporta la riparazione ex articolo 2059 cod. civ. mentre è, in tal caso, escluso il risarcimento dei danni patrimoniali. In linea specifica la giurisprudenza di questa Corte Cass. civ. Sez. III, 29-04-2005, numero 8976 Cass. civ. Sez. Ili 29/4/2005 numero 8976 ha anche affermato la risarcibilità del danno subito da persona convivente derivatogli quale vittima secondaria dalla lesione materiale cagionata alla persona con la quale convive dalla condotta illecita del terzo e ha collegato tale danno alla provata turbativa dell'equilibrio affettivo e patrimoniale instaurato mediante una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale. La sentenza impugnata accertato il rapporto di convivenza con il lavoratore in attualità di guadagno, rapporto esplicitamente ritenuto esistente dagli stessi ricorsi per cassazione - pg 5 di ciascun ricorso- ha correttamente applicato i principi più sopra riassunti nel loro profilo patrimoniale e affettivo, e ha ben ritenuto che Be.Fr.St. , P.E. e Be.Anumero Ca. fossero legittimati a costituirsi parte civile contro i responsabili della morte di I P. partecipe di quel consorzio familiare. Anche la censura relativa al vizio di motivazione in relazione al dedotto mancato assolvimento delle obbligazioni antinfortunistiche è comune ai due ricorsi. Anche tale censura non ha fondamento alcuno e deve essere rigettata. I ricorrenti sostanzialmente richiedono un nuovo e non consentito accertamento in fatto tra l'altro ignorando lo specifico accertamento di sentenza secondo il quale le funi di trattenuta per l'aggancio delle cinture di sicurezza rappresentate nelle fotografie acquisite agi atti, erano state installate solo dopo l'infortunio in forza delle prescrizioni impartite dall'ente competente, mentre la fune raffigurata nelle foto prodotte dalla difesa, non risultava ancorata ad alcun punto fisso, e dunque non costituiva in nessun modo ancoraggio sicuro per le cinture. La motivazione impugnata si è motivatamente soffermata sulla inesistenza di altri validi punti di aggancio la balaustra gialla ecc. La motivazione impugnata si presenta dunque con i caratteri della compiutezza e della coerenza, è priva di discontinuità argomentative e di contraddizioni, apodissi, aporie. La motivazione concretamente articolata rende superflue le argomentazioni relative alle disposizioni circa l'obbligo d'impiego delle cinture, perché evidenzia una condizione strutturale di non utile agganciabilità delle cinture che vanificava sia la fornitura che l'ipotetico ordine d'impiego delle stesse cinture. I denunziati vizi di motivazione non sono in modo alcuno ravvisabili. Il ricorso del M. propone una ulteriore censura la terza per denunziare vizi di motivazione sotto i profili della illogicità manifesta e della mancanza totale di motivazione in punto di conseguenze della esistenza non rilevata dalla sentenza di valida delega di funzioni tale da trasferire sul delegato ogni responsabilità derivante dalle norme antinfortunistiche. Anche questa terza censura non ha fondamento, posto che la censura no/n investe specificamente la motivazione ben presente in contrasto con quanto sostenuto dal motivo di censura dedicata dalla sentenza impugnata alla questione. La sentenza impugnata con accertamento di fatto logico e coerente e non suscettibile di ulteriore rielaborazione in sede di legittimità ha individuato nella documentazione offerta dal M. una delega di responsabilità penali in danno del B. e ha ritenuto non delegabile la responsabilità penale. La motivazione si è completata con l'ulteriore accertamento in fatto secondo il quale la documentazione prodotta non consentiva di ritenere che al delegato per la sicurezza fosse stata fornita una dotazione di mezzi finanziari per provvedere in autonomia alla realizzazione dei compiti di sicurezza affidati. La decisione è pienamente conforme a tutti i principi costantemente somministrati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte. In conclusione i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti devono essere condannati, ciascuno, al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.