In tema di sospensione cautelare dal servizio, connessa alla pendenza di un procedimento penale conclusosi con sentenza di assoluzione o di proscioglimento, implicante l’automatica caducazione della misura cautelare, il lavoratore ha diritto alle retribuzioni non corrisposte nel relativo periodo di sospensione.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 15444, depositata il 7 luglio 2014. Il caso. Nei confronti di una lavoratrice, a seguito del decesso di uno dei pazienti ospitati nella struttura presso la quale lavorava, veniva disposta la sospensione cautelare dal servizio, per aver la stessa omesso la vigilanza cui era tenuta, in qualità di accompagnatrice. La donna presentava lettera di dimissioni e chiedeva al Tribunale l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di sospensione cautelare, per mancanza dei presupposti del licenziamento, nonché contestuale condanna dell’associazione datrice alla corresponsione della retribuzione relativa al periodo di durata della sospensione sino alle dimissioni. La domanda veniva accolta dal giudice di prime cure e confermata in appello. Avverso la sentenza della Corte d’appello proponeva ricorso per cassazione l’associazione datrice di lavoro. La sospensione cautelare. La sospensione cautelare si configura come istituto i cui effetti permangono sino a quando non intervenga l’accertamento demandato al procedimento penale o disciplinare. Il relativo diritto alle retribuzioni non corrisposte nel relativo periodo è condizionato alla conclusione di tale procedimento in senso favorevole al lavoratore, venendo definitivamente meno, con essa, la possibilità di risoluzione del rapporto di lavoro, in vista del quale la sospensione era stata disposta Cass., numero 12631/99 . Solo ove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole al dipendente il provvedimento cautelare culmina con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto, con perdita ex tunc del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima Cass., numero 22863/08 . Natura provvisoria e non sanzionatoria del provvedimento. Nel caso di specie, il rapporto di lavoro si è risolto per le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice prima della conclusione definitiva in senso favorevole alla predetta del procedimento penale, cosicché nessun procedimento disciplinare ha avuto corso, con conseguente caducazione della misura della sospensione, stante la natura meramente cautelare della stessa. Non può, infatti, in alcun modo conferirsi natura sanzionatoria al provvedimento di sospensione di natura provvisoria. L’articolo 7, comma 27, C.C.N.L. del ’95, nel prevedere l’automatica perdita di efficacia della misura ove intervenga una sentenza di assoluzione o il proscioglimento con formula piena, stabilisce il conguaglio di «quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio», perfettamente in conformità con la natura non sanzionatoria ma meramente cautelare-provvisoria della misura. Ripristino del trattamento economico. Nel caso di specie, nei confronti del dipendente cui era stata disposta la misura cautelare poi rimasta caducata a seguito di assoluzione, è stato, correttamente, disposto il ripristino con effetto ex tunc dell’intero trattamento economico, con inclusione nella retribuzione di tutto ciò che gli sarebbe spettato ove avesse prestato la normale attività lavorativa Cass., numero 18835/13 . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 maggio – 7 luglio 2014, numero 15444 Presidente Lamorgese – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 23.2.2007, la Corte di appello di Caltanissetta rigettava il gravame proposto dall'Associazione Oasi Maria SS. Onlus avverso la decisione del Tribunale di Nicosia con cui era stato dichiarato il diritto di A.R.A.C. alla corresponsione dell'intera retribuzione contrattuale dal mese di agosto 1998 al dicembre 2001, nonché del TFR ed era stata disposta la condanna dell'associazione al pagamento della somma di Euro 12.801,38, oltre accessori di legge, nonché al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali. Rilevava la Corte che, a seguito della morte, in data 20.7.1998, di uno dei pazienti ospitati nella struttura dell'associazione nel corso di un'uscita ludico terapeutica in un vicino parco di proprietà dell'Oasi, durante la quale anche la A. , quale accompagnatrice, aveva omesso la vigilanza cui era tenuta, era stata disposta la sospensione cautelare dal servizio della predetta per la gravità dei fatti contestatile e che il procedimento penale instauratosi a carico della stessa si era concluso, in data 17.7.2002, con sentenza di assoluzione per carenza dell'elemento psicologico, per avere l'evento dannoso trovato origine nel fatto di un soggetto terzo rimasto ignoto, il quale, approfittando dell'allontanamento del minore dal gruppo, lo aveva soffocato in una vasca. Esponeva che in data 31.12.2001 l'A. aveva presentato lettera di dimissioni e che, con ricorso dell'11.11.2003, aveva chiesto l'accertamento dell'illegittimità del provvedimento di sospensione cautelare per non essere sussistenti i presupposti del licenziamento, e la condanna dell'associazione alla corresponsione della retribuzione, percepita in misura del 50%, per la residua parte, relativamente a tutto il periodo di durata della sospensione sino alle dimissioni, domanda accolta dal giudice di prime cure, con sentenza confermata in sede di gravame sul rilievo che in sede penale non era stata accertata alcuna violazione specifica in capo alla A. , essendosi il fatto verificato per fatto doloso di un terzo rimasto ignoto. La Corte del merito osservava che il giudice civile era tenuto ad un'autonoma valutazione del fatto, indipendentemente dall'esito del processo penale, e che non erano evidenziabili profili precisi di responsabilità in capo alla A. , tenuto conto del fatto che l'obbligo di vigilanza specifico del minore incombeva ad altri due lavoratori della struttura. Veniva evidenziato come l'obbligo di vigilanza incombente alla predetta fosse di natura generica, avendo l'insegnante una pluralità di compiti, rilevandosi che l'Associazione non aveva articolato alcuna prova per delineare le circostanze che avrebbero dimostrato il più pregnante e specifico obbligo di vigilanza, con direttive specifiche in rapporto al minore deceduto, e che il tutto si era verificato per un fatto imprevedibile senza colpa dell'appellata. Era da escludere, pertanto, secondo il giudice del gravame, sia la sussistenza della giusta causa di licenziamento, sia, in astratto, la proporzionalità della misura espulsiva alla gravità della condotta addebitarle, con la conseguenza che, essendo stata la sospensione cautelare disposta in mancanza dei presupposti per il recesso datoriale, il rapporto doveva ripristinarsi, con diritto della dipendente alla retribuzione per il periodo di inattività. Non poteva, invero, la sospensione cautelare assumere carattere sanzionatorio, operando come condizione sospensiva della risoluzione del rapporto con effetto retroattivo, nel senso che, verificandosi la condizione sussistenza dei presupposti per il licenziamento , il recesso doveva avere luogo dalla data della sospensione. Per la cassazione di tale decisione ricorre l'Associazione, affidando l'impugnazione a tre motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell'articolo 378 c.p.c L'A. è rimata intimata. Motivi della decisione Con il primo motivo, l'associazione denunzia omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, nonché violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 della legge 300/70, dell'articolo 58 c.c.numero l., rilevando che il giudice del gravame non ha considerato che il procedimento disciplinare non si era concluso e che la relativa sanzione non era intervenuta perché la A. aveva risolto il rapporto di lavoro per dimissioni prima che si concludesse il procedimento penale e prima che il datore potesse compiere le proprie valutazioni disciplinari, sicché la sospensione disciplinare non era venuta meno ed era rimasta valida. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c. e degli articolo 1 e 3 della legge 604/66, degli articolo 2094, 2104, 2106 c.c. e dell'articolo 654 c.p.p., nonché contraddittoria motivazione, sostenendo che l'assoluzione in sede penale era irrilevante ai fini disciplinari, avendo peraltro il giudice penale evidenziato l'inadempimento di specifici doveri professionali e la conseguente gravità dei fatti ai fini del rapporto fiduciario, incombendo a tutti gli operatori un obbligo di vigilanza sui minori, indipendentemente dal verificarsi di un fatto prevedibile. Questo, invero, non assumeva lo stesso rilievo esimente sul piano disciplinare, dovendo in tale sede considerarsi il grado di diligenza richiesta al prestatore di lavoro in ragione dei compiti affidatigli dal datore e della fiducia riposta dallo stesso. Con il terzo motivo, deduce vizio motivazionale per avere omesso la Corte di Caltanissetta di spiegare perché la violazione dell'obbligo di vigilanza, pur genericamente assunto, non sarebbe stata suscettiva di licenziamento. Il ricorso è infondato. Deve rilevarsi, in relazione alle censure articolate con il primo motivo di impugnazione, il cui esame riveste carattere assorbente, come la sospensione cautelare si configura come istituto i cui effetti permangono fin quando non intervenga l'accertamento demandato al procedimento penale o disciplinare, mentre il diritto alle retribuzioni non corrisposte nel relativo periodo è condizionato alla conclusione di tale procedimento in senso favorevole al lavoratore, venendo definitivamente meno, con essa, la possibilità di risoluzione del rapporto di lavoro, in vista del quale la sospensione era stata disposta cfr. Cass. 15.11.1999 numero 12631 . È stato anche osservato che, solo ove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole al dipendente con l'adozione della sanzione del licenziamento, la precedente sospensione dal servizio - pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacché adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo - si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto, legittimando il recesso del datore di lavoro retroattivamente, con perdita ex tunc del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima cfr. Cass. 9.9.2008 numero 22863 . Nel caso considerato, il rapporto di lavoro si è risolto per le dimissioni rassegnate dalla A. nel 2001, prima della conclusione definitiva in senso favorevole alla predetta del procedimento penale e nessun procedimento disciplinare ha avuto corso, sicché, stante la natura meramente cautelare della misura della sospensione, la stessa correttamente è stata ritenuta caducata, non potendo conferirsi al provvedimento di natura provvisoria natura sanzionatoria, e non potendo retroagire ai fini della interruzione del rapporto un atto volontariamente posto in essere dal lavoratore, privo di valenza disciplinare. Del resto, sebbene in materia di pubblico impiego e con riferimento alla disciplina della contrattazione collettiva di comparto, è stato recentemente evidenziato da questa Corte come in tema di sospensione cautelare dal servizio connessa alla pendenza di un procedimento penale, l'articolo 7, comma 27, del c.c.numero l. del comparto Ministeri del 16 maggio 1995, nel prevedere l'automatica perdita di efficacia della misura ove intervenga una sentenza di assoluzione o il proscioglimento con formula piena, stabilisce il conguaglio di quanto dovuto al lavoratore se fosse rimasto in servizio , rispondendo tale soluzione alla natura non sanzionatoria ma meramente cautelare provvisoria della misura. Nello specifico è stato previsto il ripristino con effetto ex tunc , dell'intero trattamento economico, con inclusione nella retribuzione di tutto ciò che gli sarebbe spettato ove avesse prestato la normale attività lavorativa, nei confronti del dipendente a carico del quale era stata disposta la suddetta misura cautelare poi rimasta caducata a seguito di assoluzione cfr. Cass. 7.8.2013, numero 18835 . Il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili, per essere fondati sulla vantazione di circostanze che, secondo la ricorrente, avrebbero dovuto indurre il datore ad individuare inadempienze e responsabilità della vigilante in sede disciplinare, indipendentemente dall'esito del processo penale, laddove la controversia deve risolversi sul piano delle conseguenze di diritto che si riconnettono automaticamente alla mancanza di un procedimento disciplinare ed alla risoluzione del rapporto per dimissioni della lavoratrice. Come sopra detto, è dirimente, ai fini della soluzione della controversia, la circostanza che nessun provvedimento disciplinare ha consentito alla misura cautelare e provvisoria di assume il carattere di definitività che solo avrebbe consentito di saldare gli effetti della interruzione definitiva del sinallagma contrattuale, conseguenti alla adozione di sanzione disciplinare espulsiva, a quelli della sospensione, con particolare riguardo alla privazione definitiva della retribuzione anche nel periodo della misura provvisoriamente disposta. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto. Nulla va statuito sulle spese del presente giudizio, essendo l'A. rimasta intimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per spese.