La divisibilità della soffitta condominiale deve essere valutata in concreto

Le parti comuni, di norma, sono indivisibili a meno che tale divisione possa essere operata senza che ne consegua un uso più incomodo a ciascun condomino.

Questo precetto, contenuto nell’articolo 1119 c.c., esprime un chiaro favor verso il mantenimento del regime del condominio. La valutazione della fattibilità della divisione dev’essere effettuata in concreto anche se può basarsi su comuni regole d’esperienza ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata. Questa serie di considerazioni le ha espresse la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 4978 depositata in cancelleria lo scorso 28 marzo. Alcune sentenze, oltre a dare giustizia ad un caso concreto, rappresentano un buono spunto per una rinfrescata di alcuni concetti di carattere generale alle volte poco considerati. Questa di cui ci stiamo occupando lo è stata per l’articolo 1119 c.c., norma che raramente occupa i giudici di piazza Cavour. Il caso. Un condomino acquista da altri suoi vicini le loro quote di proprietà della soffitta comune. Egli, quindi, ne resta comproprietario assieme ad altri partecipanti alla compagine. In queste condizioni, quest’ultimo ritiene di non poter utilizzare al meglio quel bene. Decide, quindi, di rivolgersi al giudice competente per chiedere la divisione della soffitta. Secondo l’attore è possibile addivenire ad una operazione degli spazi che rispecchi la seguente proporzione a lui una superficie pari a circa 700 millesimi, agli altri la restante parte. La domanda veniva respinta in entrambi i gradi di giudizio. In particolare nel giudizio d’appello si evidenziava che, ai sensi dell’articolo 1119 c.c., la divisione può avvenire solamente se, in conseguenza della stessa, l’uso della cosa non divenga più incomodo per ciascun condomino. La valutazione dello stato dei luoghi, secondo la sentenza poi impugnata, lasciava adito a pochi dubbi dividere la soffitta sarebbe stata opera di per sé molto onerosa e comportante l’instaurazione di una serie di servitù che altro non avrebbero fatto che aggravare l’uso di quel bene. Più o meno lo stesso concetto fu espresso dal Tribunale di Padova, in una sentenze resa il 21 marzo 1986. In quell’occasione l’ufficio giudiziario veneto chiarì che «l'articolo 1119 c.c. non vieta la divisione delle parti comuni dell'edificio, ma la consente unicamente allorché la stessa possa farsi senza rendere incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino. La norma è stata generalmente interpretata nel senso che la divisione non è consentita, allorché per attuarla si rende necessaria una spesa sproporzionata rispetto al valore della cosa». In questo contesto l’originario attore propone ricorso per Cassazione. A suo dire, infatti, la pronuncia d’appello era apodittica aveva affermato l’indivisibilità in astratto senza valutare le emergenze dibattimentali. In pratica il risultato cui bisognava giungere era necessariamente differente la soffitta poteva essere divisa. Per i beni comuni l’indivisibilità è la regola e la divisione l’eccezione. Questa, in sostanza, è una delle considerazioni avanzate dalla Suprema Corte di Cassazione nel respingere il ricorso. In particolare il ricorrente lamentava che senza la divisione della soffitta vi sarebbe stata una contrazione del diritto del condomino a usare il bene nel modo più conveniente rispetto alle proprie esigenze. I giudici di piazza Cavour hanno rifiutato questa presa di posizione. Secondo gli ermellini, infatti, «la logica che regge l’indivisibilità dei beni condominiali è diversa da quella egoistica postulata da parte ricorrente, che non ne coglie la essenza perché postulata al diverso principio del favor verso la divisione» Cass. 28 marzo 2012 numero 4978 . In sostanza, i beni comuni devono assolvere la funzione di garantire il miglior godimento delle porzioni di piano di proprietà esclusiva. E’ in questo contesto che dev’essere valutata l’effettività realizzabilità della divisione e non guardando all’utilità in sé che il condomino può trarre dalla singola parte di edificio. La valutazione della fattibilità della divisione è operazione rimessa al giudice di merito. Per il resto, dinanzi alle doglianze inerenti la falsa applicazione delle norme che regolano la divisione delle parti comuni, la Cassazione si è limitata a specificare che la pronuncia impugnata è assolutamente regolare e non apodittica come evidenziato dal ricorrente. Le motivazioni della sentenza d’appello, infatti, sono perfettamente logiche e coerenti rispetto ai dati emersi dall’istruttoria dividere la soffitta condominiale era operazione estremamente costosa e complessa. Quest’affermazione, dicono dalla Corte regolatrice, rispetto alle opere profilate non necessita di particolari dimostrazioni potendosi affermare intuitivamente che ciò che doveva essere realizzato in caso di divisione sarebbe stato costoso. L’indivisibilità dei beni comuni, quindi, prevale salvo eccezioni.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 gennaio – 28 marzo 2012, numero 4978 Presidente Triola – Relatore D’Ascola Motivi della decisione 2 Preliminarmente va rilevato che con la memoria depositata ex articolo 378 c.p.c., parte resistente ha eccepito la sopravvenuta carenza di interesse della ricorrente in relazione alla vendita del proprio appartamento intervenuta nelle more del giudizio. A tacer d'altro, il rilievo è privo di fondamento alla luce del primo comma dell'articolo 111 c.p.c., a mente del quale Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare, il processo prosegue tra le parti originarie . Il primo motivo di ricorso denuncia falsa applicazione degli articolo 1111, 1112, 1117 e 1119 c.c. e 115, 116 c.p.c., nonché vizi di motivazione 360 numero 3 e 5 cpc . La censura si riferisce in primo luogo alla astratta divisibilità della soffitta, sottolineando la differenza tra alcuni dei beni indicati nell'articolo 1117 c.c. che sarebbero indissolubilmente destinati e necessari ad un utilizzo comune - quali il suolo, i muri maestri, i portoni di ingresso - ed altri che potrebbero anche essere di uso esclusivo come avviene per le soffitte, talvolta riservate in proprietà esclusiva del costruttore o alienate a singoli soggetti. Ne conseguirebbe la divisibilità dei beni, pur inclusi originariamente tra quelli comuni, se non rientranti nella prima categoria. Inoltre la Corte d'appello avrebbe errato nel ritenere che la soffitta de qua sia non comodamente divisibile per incomodità d'uso , costi sproporzionati della divisione e necessità di asservimento con servitù. 2.1 Con il secondo motivo sono denunciati falsa applicazione degli articolo 720, 1116, 1119 c.c., nonché vizi di motivazione 360 numero 3 e 5 c.p.c. . Parte ricorrente sostiene che non si può comprimere il diritto individuale di disporre di un bene, in ragione del concorrente diritto di altri. A fronte di un utilizzo parziale e infruttuoso del bene, deduce la ricorrente, dovrebbero essere vietate condotte ostruzionistiche, superando i limiti posti dalla regola della unanimità, allorquando impedisca un uso più razionale ed efficiente del bene . 3 Il ricorso non merita accoglimento. È pacifico in causa cfr sentenza pag. 9 e ricorso pag. 6 che la soffitta in oggetto sia un bene comune. Ai sensi dell'articolo 1119 c.c. le parti comuni dell'edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino. Nella specie la Corte d'appello ha escluso quest'ultima possibilità con adeguata e congrua motivazione, che è incensurabile in sede di legittimità. Ha osservato che sarebbe impossibile provvedere a una suddivisione in sei parti, una - maggiore - di 617,94 millesimi e le altre per ciascuno degli appellati, titolari complessivamente dei restanti 382,06 millesimi. Questi ultimi hanno infatti chiesto in via subordinata cfr. conclusioni atto appello l'assegnazione in natura a ciascuno di essi della quota corrispondente ai propri millesimi di proprietà e la costituzione di una servitù di accesso all'antenna televisiva, all'abbaino, al tetto dell'ascensore e a tutte le altre parti comuni che si trovano nella soffitta. Poiché ovviamente non potrebbe essere imposta agli appellanti l'attribuzione congiunta della porzione minore di soffitta, la Corte d'appello si è interrogata sulla possibilità di questa peculiare forma di divisione, che deve salvaguardare l'uso della cosa con pari comodità e lo ha escluso con ineccepibili considerazioni. Ha rilevato che sorgerebbe la necessità di costruire muri divisori e scale e accessi al tetto per i condomini esclusi dal godimento di nuove parti di proprietà esclusiva ha ritenuto che la costituzione indispensabile di vie di accesso all'antenna televisiva, all'abbaino, al tetto dell'ascensore e alle parti comuni raggiungibili attualmente tramite la soffitta sarebbe enormemente costosa, implicherebbe l'imposizione di servitù e, soprattutto, renderebbe palesemente più incomodo l'uso delle cose comuni. Invano parte ricorrente critica la decisione, perché non avrebbe esaminato l'utilizzo concreto del bene. La sentenza non è apodittica, ma logica e razionale, giacché è evidente, per comune esperienza, che ogni soffitta non è usata, per i fini di cui si è detto, con assiduità tale da richiedere verifica. Ogni condomino si adopera per la buona esecuzione delle opere anzidette tetto, antenna, etc. e si augura che gli agenti atmosferici o artificiali non costringano a manutenzione frequente. Ciò non toglie che la disponibilità di quei beni sia irrinunciabile e che proprio per questo il legislatore sancisce la essenzialità di alcun parti degli immobili condominiali e in via generale limita fortemente la divisibilità delle parti comuni, tanto che la rubrica dell'articolo 1119 suona testualmente indivisibilità . Si aggiunga che intuitivamente l'accesso a tutto il tetto e alle parti indicate dovrebbe essere reso comodo con scale, anditi, percorsi, opere innegabilmente costose. È quindi apodittica non la sentenza, ma l'affermazione della ricorrente secondo cui la costosità delle opere avrebbe dovuto essere stabilita mediante consulenza tecnica. Né ha pregio la tesi secondo cui la sola ricorrente avrebbe dovuto aver diritto a una porzione esclusiva, dovendo gli altri condomini, contrariamente a quanto espressamente chiesto, restare vincolati dalla comunione della porzione residua. La logica che regge la regola di indivisibilità dei beni condominiali è diversa da quella egoistica postulata da parte ricorrente, che non ne coglie la essenza perché ispirata al diverso principio del “favor verso la divisione. Ciò vale anche a proposito delle servitù che sarebbero state necessarie per addivenire alla divisione in più parti, considerazione che parte ricorrente sottopone a critica, chiedendo che solo previo approfondimento tecnico si stabilisca che da esse derivi maggiore incomodità. Alla luce delle premesse giuridiche poste, della situazione descritta in sentenza e della conformazione dei beni soffitta e appartamenti condominiali distribuiti su più piani , la valutazione del giudice di merito appare invece congrua e razionale, non meritevole della censura astrattamente avanzata da parte ricorrente, che non ha nemmeno saputo far riferimento a un proprio progetto concretamente in grado di dimostrare la erroneità o illogicità del giudizio della Corte d'appello. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso principale e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo. Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato, relativo alla divisibilità in sei o cinque, cfr. controricorso parti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese di lite liquidate in favore dei controricorrenti in Euro 2.500 per onorari, 200 per esborsi, oltre accessori di legge.