Il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi, sempre che tali comportamenti siano contestati come finalizzati ai maltrattamenti, in quanto costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall’articolo 572 c.p., ma non in quello di lesioni che non costituisce sempre elemento essenziale del delitto di maltrattamenti , di danneggiamento e di estorsione attesa la diversa obiettività giuridica dei reati.
Questo il principio di diritto stabilito dalla Seconda sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 9654 depositata il 5 marzo 2015, la quale traccia la linea di confine tra le condotte che rimangono assorbite, in concorso apparente di norme, nella fattispecie incriminatrice del delitto di maltrattamenti in famiglia, descritto dall’articolo 572 c.p., e quelle che rimangono escluse dall’assorbimento dando luogo, invece, ad un concorso di reati. Il caso concreto. Il ricorrente, condannato in prime e seconde cure per tutta una serie di condotte di reato perpetrate ai danni della madre tranne alcune ipotesi minori nelle quali è intervenuta la remissione di querela , sostiene che i fatti sussunti nella figura delittuosa di estorsione articolo 629 c.p. in realtà erano delle minacce e violenze inquadrabili all’interno della cornice normativa dei maltrattamenti in famiglia. In ogni caso – prosegue l’imputato – andava applicata la causa di esclusione della punibilità prevista dall’articolo 649 c.p. nel caso di reati contro il patrimonio consumati nei confronti degli stretti congiunti non essendo stata provata che la condotta dell’imputato fosse stata connotata da agire violento. Sulla struttura del delitto di maltrattamenti. La Suprema Corte ha ormai da tempo affermato il principio secondo cui il reato di maltrattamenti in famiglia è integrato dalla condotta dell'agente che sottopone il coniuge e i familiari ad atti di vessazione reiterata e tali da cagionare sofferenza, prevaricazione ed umiliazioni, in quanto costituenti fonti di uno stato di disagio continuo ed incompatibile con le normali condizioni di esistenza. Rilevano infatti, entro tale prospettiva, non soltanto le percosse, le lesioni, le ingiurie, le minacce, le privazioni ed umiliazioni imposte alla vittima, ma anche gli atti di disprezzo e di offesa arrecati alla sua dignità, che si risolvano nell'inflizione di vere e proprie sofferenze morali. Ed invero, comportamenti abituali caratterizzati da una serie indeterminata di atti di molestia, di ingiuria, di minaccia ecc., rivelano l'esistenza di un programma criminoso delle cui peculiari connotazioni i singoli episodi, da valutare unitariamente, costituiscono la manifestazione esterna, e nel cui ambito il dolo si configura come dimensione volitiva comprendente il complesso dei fatti e coincidente con il fine di rendere disagevole in sommo grado, e per quanto possibile penosa, l'esistenza dei familiari da ultimo, Sez. VI, numero 4849/2015 . Anche in ambito europeo, mentre in passato ricorsi presentati alla Corte di Strasburgo da vittime spesso donne che lamentavano di essere maltrattate dal rispettivo marito/convivente/familiare, venivano usualmente analizzati alla luce dell'articolo 8 della CEDU, individuato quale fonte di un obbligo positivo discendente in capo agli Stati di adottare le misure necessarie a impedire il verificarsi di atti di violenza fisica o psicologica sorti nel contesto familiare CorteEDU, sez. IV, sent. 30 novembre 2011, Hajduova c. Slovacchia Sez. I, 14 ottobre 2010, A. c. Croazia , la recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha in più occasioni ritenuto che entrasse in gioco l’articolo 3 della CEDU che vieta il divieto di trattamenti inumani o degradanti. In particolare, prendendo in considerazione sia la violenza psicologica che quella fisica, di cui le ricorrenti erano state vittime, nonché la generale situazione di sopraffazione in cui si era trovata, la Corte ha ritenuto che i maltrattamenti subiti avessero raggiunto la soglia di gravità necessaria per integrare la violazione dell’articolo 3 CEDU CorteEDU, sez. III, sent. 28 maggio 2013, Eremia e altri c. Moldavia Sez. II, sent. 26 marzo 2013, Valiuliene c. Lituania . La diversa obiettività giuridica dell’estorsione. La sentenza in commento, su tutti i delitti di estorsione contestati all’imputato, ribadisce la sua costante giurisprudenza per la quale il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi, sempre che tali comportamenti siano contestati come finalizzati ai maltrattamenti ma anche quelli di molestia, ingiuria, ed atti persecutori anche in caso di separazione e di conseguente cessazione della convivenza Sez. VI, numero 33882/2014 , in quanto costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall’articolo 572 c.p., ma non in quello di lesioni che non costituisce sempre elemento essenziale del delitto di maltrattamenti , di danneggiamento e di estorsione attesa la diversa obiettività giuridica dei reati Sez. V, numero 5300/2015 . Alla stessa stregua, sempre in ragione della diversità del bene giuridico tutelato, concorrono con quello di maltrattamenti i reati di sequestro di persona, di riduzione in schiavitù, di violenza sessuale e di violenza privata Sez. III, numero 22769/2010 . Sulla causa di esclusione della punibilità. La Suprema Corte rigetta anche il motivo di ricorso relativo alla mancata applicazione dell’articolo 649 c.p. che esclude la punibilità dell’agente che abbia commesso il delitto contro il patrimonio in danno di un ascendente in linea retta. Tuttavia l’articolo 649, comma 3, c.p. esclude che la causa di non punibilità citata si applichi quando si tratti, espressamente, di rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, delitti contro il patrimonio che vengano commessi con violenza alle persone per violenza, la giurisprudenza consolidata intende quella “fisica” v. Cass. penumero , sez. II, numero 28210/2010 . Ed è proprio la natura violenta delle condotte estorsive ad escludere l’applicabilità nel caso di specie dell’articolo 649 c.p. In argomento il recente orientamento di legittimità pur escludendo l’operatività della causa di non punibilità per i reati di rapina, estorsione e sequestro estorsivo, ritiene che la norma non può essere interpretata nel senso di includere nel novero anche le rispettive ipotesi “tentate”, in quanto il tentato delitto è una figura di reato autonomo derivante dall’innesto tra la clausola moltiplicativa ex articolo 56 c.p. e la norma incriminatrice di parte speciale perciò, quando il legislatore fa riferimento a norme incriminatrici senza menzionare l’articolo 56 c.p. o senza menzionare testualmente la fattispecie tentata , intende riferirsi solo ai reati consumati e non a quelli tentati. E quando il riferimento al reato consumato è svolto in una norma come l’articolo 649, comma, 3 c.p. di sfavore – poiché esclude un beneficio quale è la non punibilità – esso deve essere interpretato in senso restrittivo in omaggio al principio di legalità sub specie di principio di tassatività, suo corollario, evitando dunque indebite interpretazioni analogiche in malam partem Sez. II, numero 43341/2014 .
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 gennaio – 5 marzo 2015, numero 9654 Presidente Iannelli – Relatore Di Marzio Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la corte di appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere il giorno 30 ottobre 2013 nei confronti di M.P. e da questi appellata, ha dichiarato non doversi procedere per i reati ascritti ai capi D, E, perché l'azione penale non può essere proseguita per remissione di querela ha confermato la condanna per le restanti ipotesi criminose e ha rideterminato la pena. Nel ricorso presentato nell'interesse dell'imputato, si lamentano violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo ai delitti di estorsione contestati al capo A, ritenendo non sussistenti i requisiti di fattispecie, in quanto le violenze e le minacce realizzate dall'imputato ai danni della di lui madre avrebbero dovuto essere qualificate ai sensi dell'articolo 572 cod. penumero , secondo la corretta valutazione del materiale probatorio acquisito in atti di cui si dà conto nel ricorso con riguardo al delitto di estorsione contestato al capo B, denunciando che la corte d'appello avrebbe omesso di rispondere alla doglianza circa la mancata applicazione dell'articolo 649 cod. penumero non essendo stata la condotta dell'imputato connotata da agire violento con riguardo al delitto di estorsione tentata contestato al capo C, affermando che non sarebbe stata raggiunta la prova sulla costrizione a una dazione di somme di denaro, non avendo nulla riferito al riguardo la persona offesa con riguardo al delitto di porto in luogo pubblico e senza giustificato motivo di strumenti atti ad offendere, contestato al capo H, risultando del tutto omessa la motivazione nonostante le doglianze svolte in appello al proposito. Considerato in diritto Su tutti i delitti di estorsione contestati all'imputato, deve rammentarsi che il delitto di maltrattamenti in famiglia assorbe i delitti di percosse e minacce, anche gravi, sempre che tali comportamenti siano contestati come finalizzati ai maltrattamenti, in quanto costituiscono elementi essenziali della violenza fisica o morale propria della fattispecie prevista dall'articolo 572 c.P. cfr. Cass. Sez. 6, sent. numero 33091/2003 Riv. 226443 , ma non quello di lesioni che non costituisce sempre elemento essenziale del delitto di maltrattamenti cfr. Cass. Sez. 6, Sez. 6, Sent. numero 13898/2012 Rv. 252585 Sez. 6, sent. 28367/2004 Riv. 229591, Sez. 1, Sent. numero 7043/2005 Rv. 234047 , di danneggiamento e di estorsione attesa la diversa obiettività giuridica dei reati. In particolare, la corte d'appello dà conto di come - secondo il ricco materiale probatorio acquisito in atti e menzionato a pagina 5 della sentenza - in tutte le occasioni descritte nei capi A, B, C dell'imputazione, le minacce e le violenze perpetrate dall'imputato ai danni della propria madre contestate nel presente processo erano sempre finalizzate all'ottenimento di somme di denaro così integrandosi in pieno la fattispecie della condotta estorsiva. Ne discende la manifesta infondatezza del motivo sulla riqualificazione del fatto di cui al capo A nel senso dei maltrattamenti in famiglia e della mancata prova circa la richiesta di denaro con riguardo all'estorsione tentata descritta al capo C rispetto al quale deve segnalarsi l'estrema genericità della doglianza sollevata nel ricorso, già per tale ragione di inammissibile valutazione in questa sede . Inoltre, e come argomentato esattamente dalla corte di appello, proprio la natura violenta delle condotte estorsive esclude la rilevanza nel caso di specie dell'articolo 649 cod. penumero Invece, quanto al delitto dì cui al capo H, espressamente fatto oggetto di un diffuso motivo di appello, ricordato peraltro a pagina 3 della sentenza impugnata in cui si legge che la difesa aveva chiesto assoluzione dell'imputato anche dal reato di cui al capo H perché il fatto non sussiste , la motivazione ne tratta esclusivamente a pagina 5, in cui si legge che ritiene la corte che le condotte poste in essere dall'imputato non possono non inquadrarsi il reato di cui al capo H . Tuttavia, non vi è alcuna motivazione di tale convincimento. Risulta pertanto è integrato il lamentato difetto di motivazione esposto nel ricorso. Ne discende l'annullamento della sentenza impugnata limitatamente al reato descritto al capo H, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Napoli per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente la capo H, articolo 4 I. numero 110 del 1975, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Napoli per nuovo giudizio. Rigetta nel resto il ricorso.