Nella individuazione dei reati attratti alla disciplina della messa alla prova per adulti, di cui agli articolo 168- bis e seguenti c.p.p., in ragione del mero riferimento edittale, deve guardarsi unicamente alla pena massima prevista per ciascuna ipotesi di reato, prescindendo dal rilievo che nel caso concreto potrebbe assumere la contestazione di qualsivoglia aggravante, comprese quelle ad effetto speciale.
Questo il principio di diritto stabilito dalla Sesta sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 6483 depositata il 16 gennaio 2015, che traccia il perimetro di operatività del nuovo istituto della messa alla prova per gli adulti, introdotto nell’ordinamento italiano con la legge numero 67/2014. Il caso concreto. Il GUP di Padova rigettava la richiesta di sospensione del processo con messa alla prova di due imputati di detenzione illecita di sostanze stupefacenti in quanto, essendo contestata l’aggravante ad effetto speciale dell’articolo 80 del D.P.R. numero 309 del 1990, si aveva il superamento della soglia edittale massima per accedere alla probation , prevista dal nuovo articolo 168- bis c.p. introdotto dall’articolo 3, legge numero 67/2014 . Tale novella legislativa, estendendo agli adulti un istituto applicabile da tempo dinanzi al Tribunale per i minorenni, ha inserito l’articolo 168- bis c.p. per il quale «nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quatto anni, sola, congiunta o alternativa con la pena detentiva, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 c.p.p., l’imputato può richiedere la sospensione del processo con la messa alla prova» e l’esito positivo della messa alla prova estingue il reato articolo 168- ter c.p. . Propongono ricorso in Cassazione entrambi gli imputati i quali, richiamando la lettera della norma, sostengono che, a differenza delle altre ipotesi previste dal codice di rito penale, essa si riferisce solo alla pena prevista, non considerando i possibili aumenti di pena dati dalle circostanze aggravanti, comprese quelle destinate autonomamente ad incidere sulla pena. L’esatta ipotesi di reato contestata. La Suprema Corte accoglie il ricorso e prima di entrare nel merito della quaestio iuris sottoposta al suo esame, precisa che la fattispecie incriminatrice contestata nella specie era quella dell’ipotesi descritta dal comma quinto dell’articolo 73 d.p.r. numero 309/1990 Testo unico degli stupefacenti . In particolare la legge numero 79/2014, di conversione del decreto legge numero 36/2014, in materia di disciplina degli stupefacenti, ha modificato ancora una volta il quinto comma dell'articolo 73 d.p.r. numero 309/1990, il quale recita «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329». Il legislatore ha così ripristinato il vecchio quadro edittale previsto per i fatti di lieve entità aventi ad oggetto le droghe c.d. 'leggere' dal testo originario del d.p.r. numero 309/90, estendendolo peraltro anche ai fatti corrispondenti aventi ad oggetto droghe 'pesanti', per i quali il testo univo originario prevedeva invece la pena della reclusione da uno a sei anni. Per la nuova disposizione, che sostituisce quella introdotta poco prima dal d.l. numero 146/2013, convertito dalla l. numero 10/2014, varranno gli approdi interpretativi cui la giurisprudenza è pervenuta rispetto alla previgente versione, e in special modo la qualificazione del quinto comma come fattispecie “autonoma” di reato anziché come circostanza attenuante, con conseguente sua sottrazione al giudizio di bilanciamento ex articolo 69 c.p Il nuovo limite massimo edittale di quattro anni di reclusione ha quindi aperto agli imputati per i fatti di cui al quinto comma la possibilità di chiedere di essere ammessi al nuovo istituto della sospensione del processo con messa alla prova ai sensi dei nuovi articolo 168-bis e ss. c.p E nel caso di specie, essendo il fatto sussunto pacificamente nella ipotesi criminosa regolata dal comma 5 dell’articolo 73, è senz’altro compatibile l’applicazione della messa alla prova grazie alla novella della legge numero 79/2014. La matrice deflattiva della messa alla prova. Ad indirizzare la Suprema Corte verso una soluzione diversa a quella negativa dell’accesso alla messa alla prova espressa dal GUP è innanzitutto la ratio dell’istituto le finalità del novum normativo sono innanzitutto - come ricorda Cass. penumero , sez. IV, numero 30559/2014 - l’offerta di un percorso di reinserimento alternativo ai soggetti processati per reati di minore di minore allarme sociale dimostrato dall’articolo 464- bis , comma 3, c.p.p., che condiziona la sospensione del procedimento con la messa alla prova alla prognosi favorevole in ordine al rischio di recidiva , a cui si associa una funzione deflattiva dei processi penali ed, infine, sono state valorizzate dal legislatore anche le finalità riparatorie dovendo comportare la messa alla prova ex articolo 168- bis , comma 2, c.p., l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato e di tutela della vittima l’articolo 464- quater , comma 3, c.p.p. impone a tale ultimo riguardo al giudice di valutare l’idoneità del domicilio indicato dall’imputato nel programma di trattamento . Pur partendo da tale premessa in ordine alla finalità deflattiva della messa alla prova, per gli ermellini il GUP avrebbe forzato l’interpretazione del dato normativo, laddove per il calcolo della pena edittale massima considera anche quella risultante dalle contestate circostanze aggravanti, tradendo il fine della norma di deflazionare le pendenze penali attraverso la individuazione di una nuova ipotesi di estinzione del reato mediante una definizione, alternativa e anticipata, del processo. La diversa lettura interpretativa della Suprema Corte. Più corretto ritenere, per i giudici di cassazione, che l’articolo 168- bis , comma 1, c.p., laddove definisce i requisiti oggetti di applicazione della messa alla prova, tra i reati suscettibili di rimanere attratti dalla probation , fa riferimento al dato edittale quello puniti con la pena pecuniaria o detentiva non superiore nel massimo a quattro anni , mancando sul piano letterale ogni esplicito riferimento alla possibile incidenza sulla pena delle aggravanti. E laddove il legislatore ha voluto prendere in considerazione queste ultime circostanze come in materia di competenza ex articolo 4 c.p.p. di prescrizione di cui all’articolo 157 c.p. e di misure cautelari ai sensi dell’articolo 278 c.p.p. lo ha espressamente previsto. Tale ricostruzione ermeneutica troverebbe conferma anche nei lavori preparatori che hanno portato alla legge numero 67/2014, dove viene data una spiegazione al silenzio della norma sul punto necessità di distinguere la soluzione per la messa alla prova da quelle già presenti nell’ordinamento laddove, di contro, viene esplicitamente operato un richiamo alla operatività di aggravamenti che prevedono una pena di specie diversa o di quelle ad effetto speciale. Irrilevante se per effetto dell’aggravante si radica la competenza del Giudice collegiale. Il GUP aveva supportato la negazione della messa alla prova in quanto a suo avviso poiché la contestazione dell’aggravante fa scattare la competenza del Tribunale in composizione collegiale mentre invece, l’articolo 168- bis c.p., nell’ampliare la rosa dei reati per i quali è ammissibile la messa alla prova, fa riferimento a quelli previsti nel comma 2 dell’articolo 550 c.p.p., tra i quali non risulta annoverato quello contestato ex articolo 73 d.p.r. numero 309/90. Tale necessaria perfetta coincidenza tra i reati per i quali è ammessa la citazione diretta a giudizio e quelli per i quali è ammessa la probation non è ritenuta corretta dalla Suprema Corte, essendo vero, piuttosto, il contrario. Non a caso viene infatti richiamato solo il comma 2 dell’articolo 550 c.p.p. e non al primo comma, che al limite edittale dei quattro anni fa riferimento proprio per evitare di escludere l’applicazione dell’istituto proprio per quei reati di competenza collegiale che sono puniti con la pena edittale inferiore nel massimo a quattro anni la diversa soluzione porrebbe peraltro problemi di legittimità costituzionale in quanto si avrebbe una deroga alla messa alla prova, nonostante si rientrerebbe nel limite edittale dei 4 anni, in ragione solo della competenza, monocratica o collegiale, del Tribunale . Anche tale linea interpretativa si pone nello stesso sentiero di favorire l’estensione della messa alla prova esaltandone la funzione deflattiva. Non solo, ma dal confronto comparativo tra l’articolo 550 c.p.p. che nel riferirsi al limite edittale di 4 anni cita l’articolo 4 c.p.p. il quale considera le aggravanti ad effetto speciale quale fattore edittale ai fini della definizione della competenza tra giudice monocratico e collegiale e articolo 168-bis c.p. che per la probation non ha volutamente esplicitato alcun riferimento all’art 4 c.p.p. emerge per i giudici di legittimità l’inequivocabile volontà del legislatore per individuare i reati ricadenti sotto l’ombrello normativo della messa alla prova per adulti, in ragione del mero riferimento edittale, deve guardarsi unicamente alla pena massima prevista per ciascuna ipotesi di reato, prescindendo dal rilievo che nel caso concreto potrebbe assumere la contestazione di qualsivoglia aggravante, comprese quelle ad effetto speciale.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 dicembre 2014 – 13 febbraio 2015, numero 6483 Presidente Milo – Relatore Raddusa Ritenuto in fatto e diritto 1. Con l'ordinanza in epigrafe il GUP del Tribunale di Padova ha rigettato la richiesta ex articolo 168 bis cod.penumero di sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati G.M. e C.G. , chiamati a rispondere dell'imputazione di cui agli articolo 73 LS. 2. Tanto per la ritenuta contestazione della aggravante ad effetto speciale di cui all'articolo 80 DPR 309/90, destinata, anche configurando il reato nei termini di cui al V comma dell'articolo 73 LS, a portare la pena oltre la soglia edittale minima prevista dal citato articolo 168 bis cod.penumero quale presupposto imprescindibile per l'applicabilità della probation , introdotta per gli adulti dalla legge 67/14. 3. Hanno interposto ricorso per Cassazione sia la Procura presso il Tribunale di Padova, sia i due imputati, ciascuno con autonomo ricorso. Nei tre ricorsi si adducono linee di doglianza sostanzialmente comuni. Si richiama la lettera della norma, che, a differenza di altre ipotesi previste dal codice di rito, non fa esplicito riferimento se non esclusivamente alla pena detentiva prevista, per ciascun reato quale limite insuperabile per la applicabilità della probation, prescindendo da possibili riferimenti impliciti ad aggravanti, comprese quelle destinate autonomamente ad incidere sulla pena. Il tutto in linea con i lavori preparatori che, per l'appunto, escludevano ogni possibilità interpretativa nei termini avallati dal GIP. 4. I ricorsi sono fondati condividendo la Corte le doglianze sottese ai ricorsi. Si impone, dunque, l'annullamento del provvedimento, impugnato ai sensi del comma 7 dell'articolo 464 quater cod.proc.penumero . 5. Giova premettere che la decisione contrastata muove da un presupposto concreto imprescindibile rispetto alla stessa astratta possibilità di applicare nella specie l'istituto di cui all'articolo 168 bis cod.penumero , quello della configurazione del reato contestato nei termini di cui all'ipotesi attenuata prevista dal V comma dell'articolo 73 LS configurazione - peraltro confermata dalla lettura degli atti laddove proposta e assenso della parte pubblica riposano in termini coincidenti a siffatta qualificazione del fatto - compatibile, sul piano edittale, grazie alla novella apportata dalla legge 79/14, con l'istituto invocato. 6. Tanto premesso, sono diverse le considerazioni di valenza interpretativa che spingono per una soluzione diversa da quella tracciata dal GUP. 7. Il Gup segnala, tra le diverse finalità perseguite dal legislatore attraverso la innovazione normativa in tema, unicamente quella di matrice deflattiva. Non altrettanto coerentemente, tuttavia, disegna i limiti oggettivi di applicazione dell'istituto correlati al dato edittale di rifermento, decisivi proprio nell'ottica della funzionalità deflattiva dell'istituto, ancorando il proprio giudizio alla lettura, tra quelle possibili, più rigorosa e restrittiva, che mal si attaglia con la ratio segalata a monte del reso percorso interpretativo. Vero è che la finalità deflattiva finisce per risultare compatibile con il sistema solo limitando l'applicabilità dell'istituto ad ipotesi di reato dotate di un disvalore complessivo di intensità medio-bassa. Ma tali preoccupazioni, securitarie e di certezza giuridica - implicitamente sottese al ragionamento espresso dal GUP e realizzate, di fatto, proprio attraverso la individuazione di un determinato limite edittale così da evitare di rimettere al giudice la individuazione discrezionale della modestia del fatto-non possono essere portate alle estreme conseguenze, forzando il dato normativo di riferimento. Così facendo si tradisce definitivamente lo spirito della norma, che, nel caso, tra le sue primarietà, persegue proprio il fine di deflazionare le pendenze penali attraverso la individuazione di una nuova ipotesi di estinzione del reato da concretare mediante una definizione, alternativa e anticipata, della vicenda processuale. 8. Sembra, piuttosto, alla Corte che proprio la ratio deflattiva perseguita dal legislatore costituisca la chiave di riscontro di una diversa lettura del dato normativo di riferimento, interpretato in primo luogo alla luce del relativo tenore letterale e in considerazione degli spunti di raffronto garantiti dal sistema. 8.1. L'articolo 168 bis, comma I, cod.penumero , nel rintracciare i presupposti di matrice oggettiva cui risulta subordinata l'applicazione dell'istituto grazie alla preventiva delimitazione dei fatti di reato suscettibili di rimanere attratti alla probation , ancora il relativo riferimento in primo luogo al dato edittale, richiamando al fine i reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo ad anni quattro. Manca, dunque, sul piano letterale ogni esplicito riferimento alla possibile incidenza sul tema di eventuali aggravanti. 8.2. E tale mancata esplicitazione finisce per assumere ancora maggior pregnanza ove si proceda al raffronto con altri momenti normativi ricavabili dall'ordinamento nei quali il riferimento al dato edittale assume rilievo nell'ottica singolarmente perseguita dai rispettivi istituti. Si considerino al fine, in senso apertamente opposto rispetto alla contraddittoria chiave di lettura offerta dal GUP, l'articolo 4 cod.proc.penumero , che in punto di competenza, fa esplicito riferimento alla incidenza da ascrivere alle aggravanti che prevedono una pena di specie diversa ed a quelle ad effetto speciale ancora, l'articolo 157 cod.penumero che, in materia di prescrizione, a tali aggravanti fa esplicito riferimento ai fini della determinazione del dato edittale nell'ottica volta ad individuare la lunghezza del tempo utile alla estinzione del reato e così, infine, all'articolo 278 cod.proc.penumero , avuto riguardo alla determinazione delle pene agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari. 9. Siffatta ricostruzione ermeneutica del dato di riferimento trova, inoltre, puntuale appiglio nei lavori preparatori afferenti la legge 67/14 con la quale è stato introdotto l'istituto in esame. Sia nel dossier che ebbe ad accompagnare l'approvazione del testo al Senato, sia in quello che precedette la approvazione definitiva alla Camera viene data spiegazione comune al silenzio del dato normativo sul punto. Silenzio puntualmente rimarcato proprio per distinguere la soluzione normativa in disamina da quelle, già presenti nell'ordinamento e sopra accennate in via di esempio , nelle quali il limite edittale assume rilievo quale parametro di riferimento per l'applicazione dei relativi istituti, laddove, di contro, esplicitamente, viene operato un richiamo alla operatività delle aggravamenti che prevedono una pena di specie diversa o di quelle ad effetto speciale. Il tutto da leggere, inevitabilmente, nell'ottica della maggiore competitività da ascrivere all'istituto, destinato, altrimenti, ad una modesta realizzazione della finalità deflattive. perseguite. 9.1. In questa cornice, del resto, vanno inquadrati due ulteriori aspetti ricavabili dal percorso che ha connotato la elaborazione parlamentare del dato normativo in disamina. 9.1.1. Il primo dato emerge dal fatto che al Senato la norma è pervenuta siccome già approvata dalla Camera nel testo che oggi costituisce il contenuto dell'articolo 168 bis cod.penumero . In Commissione, al Senato, il disegno di legge proveniente dalla Camera venne trattato in uno ad altri disegni di legge tra i quali spiccava, per quel che interessa, il disegno di legge distinto dal nr. 111 A.S Quest'ultimo testo recava un esplicito riferimento, nel considerare il limite edittale di accesso alla probation, alle aggravanti ad effetto speciale ed a quelle che portano ad una pena di specie diversa. Il testo approvato per essere poi nuovamente trasmesso alla Camera per la votazione finale in ragione di modifiche non apportate al tenore dell'ari . 168 bis cod.penumero , è stato, per contro, quello proveniente dalla Camera, poi trasfuso nel dato normativo definitivo, privo di tale esplicita indicazione. Tanto ad ulteriore conferma della marcata volontà, nei dinamici passaggi parlamentari, di rendere le aggravanti, quali che esse siano, ininfluenti sul limite edittale preso in considerazione per la applicabilità della norma in disamina. 9.1.2. Che, poi, l'esigenza di garantire effettività alla funzione deflattiva perseguita con la probation rappresenti un momento di assoluta pregnanza della novella tanto da dover essenzialmente guidare l'interprete nella puntuale individuazione dei fondamenti oggettivi dell'istituto è aspetto che trova ulteriore conferma nel fatto della intervenuta introduzione, rispetto all'originario tenore del disegno di legge presentato in materia, di un altro presupposto applicativo di matrice oggettiva, individuato, ratione materiae, attraverso il riferimento al novero dei reati catalogati al comma II dell'articolo 550 cod.proc.penumero in tema di citazione diretta. Ciò, dunque, prescindendo dal limite edittale dei quattro anni di reclusione che, pure, per la citazione diretta, costituisce il momento edittale di riferimento generale e procedendo ad una modifica resa in ossequio alle sollecitazioni critiche pervenute in esito alla propalazione del testo originario, atteso che il mero limite edittale rendeva poco competitivo l'istituto soprattutto in ragione della concorrenza che in concreto poteva realizzarsi con la sospensione condizionale della pena tale da consentire all'imputato di sottrarsi alla stessa senza sottostare alla prova ed al relativo giudizio quanto al rispetto delle relative prescrizioni . 10. Tale ultimo spunto logico consente alla Corte di superare definitivamente l'interpretazione di segno contrario offerta nel provvedimento impugnato. Si afferma, nella decisione contrastata, che la contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 80 LS, radica la competenza del Tribunale in composizione collegiale mentre l'articolo 168 bis cod.proc.penumero , nell'ampliare la rosa dei reati da ritenere attratti alla probation , fa esclusivamente riferimento a quelli di cui al comma II dell'articolo 550 cod.proc.penumero , tra i quali non risulta annoverato l'articolo 73 LS. Se ben compresa, nella sua evidente sinteticità, siffatta affermazione finisce per sottendere il fatto che la previsione del limite edittale dei quattro anni di reclusione ed il richiamo all'articolo 550 comma II cod.proc.penumero avrebbero determinato una precisa coincidenza tra il perimetro di operatività delle ipotesi per le quali è consentita la citazione diretta a giudizio e quelle per le quali è permessa la probation . 10.1. È vero, piuttosto, il contrario. Come puntualmente segnalato nel ricorso proposto nell'interesse del Callegari, ove il legislatore avesse inteso tracciare una siffatta coincidenza, si sarebbe al fine riportato per intero al disposto di cui all'articolo 550 cod.proc.penumero , proprio in ragione del medesimo limite edittale individuato in entrambe gli istituti in disamina. Non a caso, invece, è stato richiamato solo il secondo comma di tale ultima norma e non il primo, che al detto limite edittale fa riferimento , proprio per evitare di escludere l'applicazione dell'istituto anche per quei reati di competenza collegiale che sono puniti con pena edittale inferiore nel massimo ai quattro anni. 10.2. Piuttosto, il raffronto comparativo con l'articolo 550 cod.proc.penumero finisce per rappresentare una ulteriore ragione di conferma della scelta interpretativa qui tracciata. Tale disposizione, al primo comma, nel riferirsi al limite edittale dei quattro anni di reclusione nel massimo fa esplicito riferimento all'articolo 4 del codice di rito che, come già detto, in punto di competenza, considera al fine anche le aggravanti ad effetto speciale quale fattore incidente sul dato edittale. In presenza di una aggravante ad effetto speciale che porta il limite edittale oltre la soglia dei quattro anni, non sarà dunque possibile la citazione diretta a giudizio. Avesse inteso operare in tal senso anche per l'istituto della probation, il legislatore, alla stregua di quanto previsto dall'articolo 550 cod.proc.penumero , per il resto sostanzialmente speculare all'articolo 168 bis cod.proc.penumero , avrebbe potuto esplicitare anche nel caso un riferimento all'articolo 4 citato. Riferimento, non a caso, pretermesso. 11. Considerato quanto sopra deve dunque affermarsi in linea di principio che nella individuazione dei reati attratti alla disciplina della probation di cui agli articolo 168 bis e seguenti cod.proc.penumero in ragione del mero riferimento edittale, deve guardarsi unicamente alla pena massima prevista per ciascuna ipotesi di reato, prescindendo dal rilievo che nel caso concreto potrebbe assumere la presenza della contestazione di qualsivoglia aggravante, comprese quelle ad effetto speciale. Tanto impone l'annullamento della decisione impugnata con rinvio al giudice del merito perché rivaluti la proposta articolata dagli imputati ex articolo 168 bis cod.penumero e 464 bis cod.proc.penumero alla luce delle superiori indicazioni in diritto. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Padova.