L’inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’articolo 129 c.p.p
Questo il principio piuttosto consolidato che la Corte di Cassazione ha ribadito nella sentenza numero 1022/16, depositata il 13 gennaio. Il contesto nel quale tale principio è stato espresso è particolare, sicché più che la massima, che in sé e per sé considerata può essere condivisa alla luce dell’ordinamento attuale, interessa comprendere quando il ricorso sarebbe manifestamente infondato. E’ su tale punto, infatti, che la decisione qui analizzata si è ampiamente soffermata, riassumendo, in una sorta di vademecum per l’avvocato incauto, quali requisiti dovrebbe avere un ricorso per potersi dire non manifestamente infondato. Se non che, leggendo attentamente le motivazioni, ci si rende conto che in realtà il confine tra manifesta infondatezza e semplice infondatezza del ricorso è labilissimo e rimesso completamente al giudizio sostanzialmente insindacabile del giudice del gravame. Sicché, nell’ottica delle garanzie, è indispensabile avere in siffatta materia, come in qualsiasi altro campo fondamentale del diritto, dei criteri di giudizio, i quali all’evidenza servono non tanto per semplificare le decisione ma per definire delle gerarchie di valori ai quali i giudici devono attenersi nelle decisione da assumere. Ma si venga al punto. Il caso. Nella specie il ricorrente aveva avanzato una serie di critiche sia sotto il profilo processuale che sostanziale alla sentenza di condanna. A detta della Suprema Corte, con argomenti profusi in circa 12 pagine di motivazione e disattendendo anche il parere della Procura Generale che aveva chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza in quanto il reato si era prescritto, tutte le lagnanze difensive avanzate, alla luce degli atti di causa, erano di per sé manifestamente infondate. Ciò in quanto per esempio , sotto il profilo del mancato rinvio dell’udienza per impedimento del difensore, mancava una adeguata motivazione sull’impossibilità di nominare un sostituto posto che tale dato non poteva desumersi dal semplice rilievo che i clienti loro malgrado volevano avvalersi della personale assistenza dell’avvocato nominato. E così ancora si è riferito che la semplice riproposizione delle lagnanze disattese dalla Corte d’appello, senza che queste siano state in alcun modo sottoposte «ad autonoma e argomentata confutazione» sarebbe causa di inammissibilità. Da ultimo si è ribadito, con dovizia di massime, che il vizio di motivazione non può estendersi ad una rivalutazione dei fatti. Da tutto ciò, la Corte di Cassazione ha concluso per l’inammissibilità del ricorso e quindi per la condanna del ricorrente al pagamento della somma di € 1.000 a favore della cassa per le ammende. Conclusioni. In sé e per sé considerate tutte le massime richiamate dalla Corte, quand’anche accettabili, manifestano un indubbio problema che i massimi Giudici e lo stesso legislatore paiono non accorgersi. Finché l’inammissibilità è collegata a dati oggetti e facilmente percepibili, il problema connesso al giudizio di inammissibilità è facilmente affrontabile e criticabile. Allorché invece l’inammissibilità è connessa alla manifesta infondatezza si è di fronte a situazioni limite che solo una accurata valutazione del legislatore può e deve essere definita, non potendo tale materia essere rimessa completamente alla giurisprudenza della Corte che è chiamata a giudicare un altro giudice. Il caso di specie è emblematico. La Corte, proprio nel citare ampiamente i precedenti a cui ha voluto far riferimento, ha con ciò “dimostrato” che i criteri della manifesta infondatezza sono tutti giurisprudenziali criteri che nel tempo hanno visto quasi sempre un intervento delle Sezioni Unite, data la difformità di vedute delle diverse sezioni della Cassazione. La manifesta infondatezza del ricorso è ormai divenuta causa di inammissibilità - così si può dire alla luce dell’esperienza - principale. Ma se ciò è, quando in effetti si può affermare che essa si realizzi? L’inammissibilità in questione si attua certamente quando il ricorso è formalmente valido ma basato, dal punto di vista contenutistico, sopra elementi o se si preferisce presupposti argomentativi non accettabili. Tale situazione si verifica, dal punto di vista oggettivo, allorché dalla lettura degli atti di causa emerge un travisamento delle risultanze da parte del ricorrente, travisamento che evidentemente non può che essere accertato a posteriori. Fuori da tale sicura situazione, ogni valutazione è opinabile sicché, come accennato, deve aversi un criterio di giudizio, che non può che essere di favore alla validità del ricorso. Ciò in quanto il diritto di ricorrere in Cassazione è sancito dalla Costituzione e il diritto all’impugnazione è manifestazione del diritto di difesa e rappresenta non solo un connotato del giusto processo ma prima ancora la concretizzazione del principio secondo cui nessuno è considerato colpevole sino a condanna definitiva. Ma se così è, perché si continua a dichiarare manifestamente infondato un ricorso che, per esempio, dovrebbe a stretto rigore essere qualificato come effettuato fuori dai casi previsti dal legislatore? L’esempio tipico è dato dalla denuncia del vizio di motivazione anche nel caso di specie, non si afferma che in realtà si è avanzato un ricorso extra ordinem , poiché in realtà non si sono mosse critiche “formali” alla sentenza ma di merito, tuttavia si preferisce aggrapparsi alla manifesta infondatezza piuttosto che affermare più semplicemente che il ricorso denuncia un vizio non contemplato dalla legge. Più di tutto, però, è innegabile che una pronuncia di manifesta infondatezza, per poter essere in qualche modo accettata razionalmente specie quando conferma una condanna che altrimenti dovrebbe essere cassata, non può emettersi in mancanza di contraddittorio sul punto. Il legislatore, del resto, ha previsto una procedura ad hoc articolo 610 c.p.p. per il caso in cui il ricorso appaia inammissibile, procedura che prevede adeguati spazi al contraddittorio. Se così è, allorché il ricorso viene attribuito alla sezione competente e né nelle conclusioni della Procura Generale né nella relazione del consigliere viene in qualche modo sollevata la possibilità che il ricorso venga dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza, si domanda se una decisione simile sia conforme ai criteri di ragionevolezza ma soprattutto di giustizia. Si crede sinceramente che sul punto si possa dubitare che ciò sia. Il fatto che l’inammissibilità possa essere dichiarata in ogni tempo anche d’ufficio, in un quadro costituzione di rispetto delle garanzie, ciò non implica che la dichiarazione in questione possa avvenire a discapito del contraddittorio. Se il giudice si avvede dell’inammissibilità, prima di decidere, deve evidenziare il punto nella sua relazione e, quindi, sentire le parti e, dunque, decidere dando conto delle ragioni per le quali ha disatteso la tesi “sconfitta”. Ecco che allora si comprende che fino a che sulla manifesta infondatezza non si aprirà un vero contraddittorio, è del tutto inutile utilizzare questo strumento per rimproverare all’avvocatura in generale l’incapacità tutta da dimostrare peraltro di formulare ricorsi non manifestamente infondati id est manifestamente fondati. Non è onere del ricorrente raggiungere un alto tasso di probabilità di successo e soprattutto nulla, processualmente parlando, si può fare o incidere su ciò su cui non si può in effetti contraddire. Dopo tutto, nullu iudicium sine defensione .
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 dicembre 2015 – 13 gennaio 2016, numero 1022 Presidente D’Isa – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di L'Aquila, pronunciando nei confronti dell'odierno ricorrente, V.C. , con sentenza del 15.5.2014, confermava la sentenza del Tribunale di Chieti emessa in data 24.1.2013, con condanna al pagamento delle ulteriori spese. Il Tribunale di Chieti aveva dichiarato in primo grado V.C. responsabile del reato p. e p. dall'articolo 590 commi I, II e III in rel. all'articolo 583 1 co. numero 1 e 2, perché, in qualità di titolare ed amministratore unico dell'impresa edile Vitale srl per colpa consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia ed in particolare per avere, nei corso dei lavori di costruzione della palestra di proprietà del Comune di Ripa Teatina, erroneamente disposto i puntelli di sostegno di un solaio a predalles , puntelli montati sia in verticale che diagonalmente su due file sovrapposte di ponteggio metallico fisso dal piano di ponteggio al disotto dell'accavallamento del tegolo sulla trave laddove, atteso il tipo di solaio a predalles , i puntelli andavano montati verticalmente e avrebbero dovuto essere in un unico pezzo e con prolunghe proprie e avrebbero dovuto poggiare su basi solide articolo 24, 66 e 70 DPR 16411956 e articolo 26 DPR 547/1955 , cagionava al dipendente B.M. che a seguito del crollo del solaio rovinava al suolo lesioni personali gravi malattia con durata superiore ai 40 giorni . In omissis . L'imputato veniva condannato, alla pena di mesi 6 di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, V.C. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att. cod. proc. penumero - Inosservanza o erronea applicazione dell'articolo 581 cod. proc. penumero in relazione all'articolo 185 cod. proc. penumero , ai sensi dell'articolo 606 lett. b cod. proc. penumero . Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della sentenza, ai sensi dell'articolo 606 lett. e cod. proc. penumero , così come risulta dal testo dell'impugnata sentenza. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, ai sensi dell'articolo 606 lett. c cod. proc. penumero in relazione agli articolo 179 e 185 cod. proc. penumero . La motivazione con cui la corte di appello si sarebbe pronunciata sull'eccezione di nullità sollevata per il mancato rinvio per legittimo impedimento della difesa, con conseguente trattazione del processo ed escussione del teste chiave per la ricostruzione dei fatti di causa, sarebbe apparente e quindi del tutto mancante. La questione relativa al legittimo impedimento sarebbe stata liquidata approfittando di un evidente errore materiale di battitura nei motivi di gravame sarebbe stata erroneamente indicata la data di udienza del 15.3.2012 invece di quella del 28.6.2012. Il ricorrente trascrive l'istanza di legittimo impedimento e la conseguente ordinanza di rigetto. La corte di appello si sarebbe espressa con motivazione apparente senza tener conto della ragioni di diritto e degli elementi di fatto posti a fondamento dell'impugnazione, che pur indicando una data sbagliata faceva inequivoco riferimento all'udienza del 28.6.2012 in cui si erano svolte le attività processuali indicate. La corte di appello - ci si duole - avrebbe dovuto constatare e rilevare l'assunto difensivo indipendentemente dall'errore materiale commesso e fornire una reale motivazione sul punto. Inoltre, ad avviso del ricorrente la motivazione della sentenza impugnata appare mancante anche in relazione all'esame del merito. Dopo aver riportato correttamente i rilievi difensivi, la sentenza nulla direbbe sulla modalità di conduzione del dibattimento. Il ricorrente lamenta che l'istruttoria dibattimentale sarebbe stata ritenuta un inutile orpello vista la validità e completezza della produzione documentale, senza comprendere che tale documentazione avrebbe potuto consentire un valido controesame del teste. La sentenza impugnata avrebbe motivato del tutto illogicamente ritenendo che nessun diversa interpretazione di quanto contenuto nei documenti avrebbe mai potuto riferire il teste, al quale, quindi, sarebbe stato impedito di riferire sul solaio, per la cui caduta si sarebbero verificate le lesioni. Le acquisizioni documentali sarebbero state afferenti ad un originario diverso intervento sul solaio che ne avrebbe modificato la struttura originaria. Tale modifica della struttura avrebbe comportato l'obbligo da parte del coordinatore alla sicurezza, di modificare la tipologia di ponteggi che invece venivano posizionati come se la struttura del solaio fosse rimasta immutata. Tutto ciò non sarebbe stato dimostrato in dibattimento perché sarebbe stato impedito il controesame del teste. Nessuna motivazione sarebbe stata fornita sull'utilizzazione delle valutazioni espresse dal teste, sulla duplice e alternativa ricostruzione del crollo e nemmeno sull'insuperabile dato della scarsa conoscenza tecnica del teste. Sarebbe stata necessaria - ad avviso del ricorrente - la nomina di un perito, o, in assenza di ulteriori elementi, avrebbe dovuto essere pronunciata sentenza assolutoria, quantomeno in forma dubitativa, non essendo stata accertata la causa del crollo. Chiede, pertanto, l'accoglimento del gravame relativamente all'eccezione preliminare formulata e per l'effetto l'annullamento dell'ordinanza del 28.6.2012 e di tutti gli atti processuali successivi alla stessa compresa l'impugnata sentenza. In caso di mancato accoglimento del gravame così come proposto, ai sensi dell'articolo 606 lett. B ed E, chiede, in via subordinata ed ai sensi dell'articolo 606 Lett. C, che questa Suprema Corte voglia rilevare d'ufficio la nullità assoluta ex articolo 179 c.p.p., dell'ordinanza emessa dal Tribunale di Chieti in data 28.6.2012 con la quale veniva rigettata l'istanza difensiva di differimento del processo atteso il documentato legittimo impedimento e voglia disporre l'annullamento, ex articolo 185 c.p.p. di tutti gli atti consecutivi a quell'ordinanza compresa la sentenza pronunciata dal Tribunale di Chieti poi confermata dalla Corte di Appello di L'Aquila. Considerato in diritto 1. Tutti i motivi sopra illustrati sono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. Singolare, ad avviso del Collegio, è la definizione di evidente errore di battitura nei motivi di gravame di cui si legge nell'odierno ricorso per cassazione a proposito dei motivi di appello del 29.4.2013. In quei motivi di appello, infatti, come si evince ex actis , ci si duole dell'ordinanza emessa dal GM di Chieti il 15.3.2012. E si fa riferimento alla raccomandata del 23.2.2012 con cui si deduceva il concomitante impegno professionale dinanzi alla CDA di Napoli a carico di imputato detenuto per l'udienza del 15.3.2012. E, ancora, alla pag. 2 dell'atto di appello ci si riferisce ancora una volta all'udienza del 15.3.2012. Ebbene la Corte territoriale risponde nella sentenza proprio sulla più volte richiamata udienza del 15.3.2012 e sulla istanza avanzata con la raccomandata del 23.2.2012 del 23.2.2012, dando atto che - come si evince dal verbale del 15.3.2012 che egli stesso produce, la richiesta di rinvio per concomitante impegno professionale era stata accolta. Singolare - va ribadito - è che oggi il difensore dica che la CDA di L'Aquila avrebbe dovuto capire, attraverso un'analisi più attenta dei motivi di ricorso laddove si faceva riferimento ad un'udienza in cui era stato escusso un teste chiave piuttosto che a quella più volte specificata, nella quale era stato disposto il rinvio , relativi ad un processo caratterizzato da plurime richieste di rinvio, che egli intendesse riferirsi ad altra udienza quella successiva del 28.6.2012 e ad altra raccomandata quella che oggi produce del 25.5.2012 , che nell'atto di appello mai menziona. Peraltro - va aggiunto - questa Corte non può esimersi dal rilevare come la motivazione con cui il GM del Tribunale di Chieti in data 28.6.2012 ebbe a disattendere l'ennesima richiesta di rinvio avanzata dal difensore per concomitante impegno professionale la mancata prova dell'assoluta impossibilità di farsi sostituire, trattandosi peraltro di uno studio pluripersonale fa buon governo del costante dictum di questa Corte Suprema, corroborato da numerose ed anche recenti pronunce delle Sezioni Unite, secondo cui l'impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che da luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell'articolo 420 ter, comma quinto, cod. proc. penumero , a condizione che il difensore a prospetti l'impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni b indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della sua funzione nel diverso processo c rappresenti l'assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato d rappresenti l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'articolo 102 cod. proc. penumero sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio così Sez. Unumero numero 4909 del 18.12.2014 - dep. il 2.2.2015, Torchio, rv. 262912 . Qualche anno prima, peraltro, le Sezioni Unite avevano già precisato che, nel caso di istanza di rinvio per concomitante impegno professionale del difensore, spetta al giudice effettuare una valutazione comparativa dei diversi impegni al fine di contemperare le esigenze della difesa e quelle della giurisdizione, accertando se sia effettivamente prevalente l'impegno privilegiato dal difensore per le ragioni rappresentate nell'istanza e da riferire alla particolare natura dell'attività cui occorre presenziare, alla mancanza o assenza di un codifensore nonché all'impossibilità di avvalersi di un sostituto a norma dell'articolo 102 cod. proc. pen Sez. Unumero numero 29529 del 25.6.2009, De Marino, rv. 244109 Si tratta, del resto, di un indirizzo che le SS.UU. di questa Corte vanno ormai puntualmente ribadendo da oltre 20 anni, se è vero che già nel 1992 avevano rilevato che, perché l'impegno professionale del difensore in altro procedimento possa essere assunto quale legittimo impedimento che da luogo ad assoluta impossibilità a comparire ai sensi dell'articolo 486, comma quinto, cod. proc. penumero è necessario che il difensore prospetti l'impedimento e chieda il rinvio non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni e che non si limiti a comunicare e documentare l'esistenza di un contemporaneo impegno professionale in altro processo, ma esponga le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della sua funzione in esso per la particolare natura dell'attività a cui deve presenziare, l'assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato, l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'articolo 102 cod. proc. penumero sia nel processo a cui si intende partecipare sia in quello di cui si chiede il rinvio Sez. Unumero numero 4708 del 27.3.1992, Fogliani, rv. 190828 . Il giudice di quest'ultimo processo - si rilevava già nella sentenza Fogliani del 1992 - deve valutare accuratamente, bilanciando le esigenze di difesa dell'imputato da un lato e quelle di affermazione del diritto e della giustizia dall'altro, le documentate deduzioni difensive, anche alla luce delle eventuali necessità di una rapido esaurimento della procedura trattata, per accertare che l'impedimento non sia funzionale a manovre dilatorie o non possa nuocere all'attuazione della giustizia nel caso in esame. Il provvedimento di accoglimento o di reiezione dell'istanza deve essere conseguentemente motivato secondo criteri di logicità. 3. Nel solco delle sopra ricordate pronunce delle Sezioni Unite, le sezioni semplici di questa Corte hanno fornito, negli anni, ulteriori precisazioni. Così, ad esempio, è stato di recente condivisibilmente precisato che il difensore ha l'onere di corredare la richiesta di differimento dell'udienza per concomitante impegno professionale con la giustificazione della impossibilità di nominare un sostituto, non essendo sufficiente a tal fine né la mera affermazione di non potervi provvedere, né un apodittico richiamo alla delicatezza dei provvedimenti sez. 3, numero 19458 dell'8.4.2014, Abbati, rv. 259757 . In altra pronuncia è stato affermato che è onere del difensore che presenta istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento dare giustificazione della mancata nomina di un sostituto, la cui doverosità è desumibile, oltreché da ragioni d'ordine sistematico, dall'ultimo periodo dell'articolo 420 ter, comma quinto, cod. proc. penumero sez. 6, numero 47584 del 15.10.2014, M., rv. 261251 . Soprattutto, in un caso assolutamente speculare a quello che ci occupa, questa Corte Suprema - dopo avere ribadito che l'impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento che da luogo ad assoluta impossibilità a comparire, ai sensi dell'articolo 420 ter, comma quinto, cod. proc. penumero , a condizione che il difensore a prospetti l'impedimento non appena conosciuta la contemporaneità dei diversi impegni b indichi specificamente le ragioni che rendono essenziale l'espletamento della sua funzione nel diverso processo c rappresenti l'assenza in detto procedimento di altro codifensore che possa validamente difendere l'imputato d rappresenti l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'articolo 102 cod. proc. penumero sia nel processo a cui intende partecipare sia in quello di cui chiede il rinvio – ha escluso, e va qui ribadito, che l'impossibilità di nominare un sostituto potesse desumersi dalla deduzione del difensore secondo cui gli assistiti intendevano avvalersi della sua opera professionale, e non di quella di sostituti cfr. sez. 6, numero 20130 del 4.3.2015, Caputi, rv. 263395 . 4. Per quanto riguarda gli altri motivi, attinenti alla responsabilità del V. , il ricorrente, non senza evocare in larga misura censure in fatto non proponibili in questa sede, si è nella sostanza limitato a riprodurre le stesse questioni già devolute in appello e da quei giudici puntualmente esaminate e disattese con motivazione del tutto coerente e adeguata che il ricorrente non ha in alcun modo sottoposto ad autonoma e argomentata confutazione. È ormai pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Suprema Corte come debba essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, va valutata e ritenuta non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell'articolo 591 comma 1, lett. c cod. proc. penumero , alla inammissibilità della impugnazione in tal senso sez. 2, numero 29108 del 15.7.2011, Cannavacciuolo non mass. conf. sez. 5, numero 28011 del 15.2.2013, Sammarco, rv. 255568 sez. 4, numero 18826 del 9.2.2012, Pezzo, rv. 253849 sez. 2, numero 19951 del 15.5.2008, Lo Piccolo, rv. 240109 sez. 4, numero 34270 del 3.7.2007, Scicchitano, rv. 236945 sez. 1, numero 39598 del 30.9.2004, Burzotta, rv. 230634 sez. 4, numero 15497 del 22.2.2002, Palma, rv. 221693 . Ancora di recente, questa Corte di legittimità ha ribadito come sia inammissibile il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti con l'appello e motivatamente respinti in secondo grado, sia per l'insindacabilità delle valutazio-ni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, così prospettate, solo apparentemente denunciano un errore logico o giuridico determinato sez. 3, numero 44882 del 18.7.2014, Cariolo e altri, rv. 260608 . 5. Si contestano, peraltro alquanto genericamente, le modalità di conduzione dell'istruttoria dibattimentale da parte del giudice di primo grado in relazione, in particolare, al tempo delle acquisizioni documentali e alla mancata ammissione di domande poste dal difensore in sede di controesame e la mancata risposta alle censure sul punto da parte della Corte territoriale. Sul punto, va peraltro ricordata la consolidata e ormai risalente giurisprudenza di questa Corte Suprema secondo cui la generica doglianza sul modo di conduzione del dibattimento da parte del presidente del collegio, il quale avrebbe condizionato le deposizioni testimoniali mediante interventi senza il rispetto delle regole del contraddittorio, non può conseguire alcun risultato utile in sede di impugnazione prescindendo dalla considerazione che la violazione dell'articolo 506 cod. proc. penumero non è sanzionata a pena di nullità da alcuna norma, ogni eventuale questione attinente alla conduzione del processo deve essere, infatti, immediatamente contestata dalle parti e formalizzata nel corso del dibattimento e la decisione o mancata decisione sull'incidente, può assumere rilevanza nel giudizio di impugnazione, solo in quanto si accerti che essa abbia comportato la lesione dei diritti delle parti o viziato la decisione sez. 6, numero 909 del 18.11.1999 dep. il 27.1.2000, Spera, rv. 216626 conf. sez. 1, numero 30802 del 15.4.2002, Mattiolo, rv. 222177 . Peraltro, va ricordato che è specifico compito del giudice, in sede di direzione del dibattimento, non ammettere, tra l'altro, le domande non pertinenti, cioè quelle che esulino dai fatti oggetto di prova ex articolo 194 cod. proc. penumero . È altresì suo compito specifico, anche per garantire il principio costituzionalmente garantito della ragionevole durata del processo, disattendere le richieste di prova che appaiano superflue alla luce degli elementi istruttori già raccolti, come evidentemente ha fatto nel caso che ci occupa allorquando ha ritenuto che la testimonianza richiesta nulla potesse aggiungere al dato documentalmente già acquisito. Ai sensi dell'articolo 499 co. 6 cod. proc. pen - va ricordato - durante l'esame, il presidente ovvero il giudice monocratico in casi come quello che ci occupa , anche di ufficio, interviene per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l'esibizione del verbale nella parte in cui le dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni. E, quanto alla prova, va peraltro ricordato che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, il potere giudiziale di revoca, per superfluità, delle prove già ammesse così come, evidentemente, quello di ammissione di nuovi testi è, nel corso del dibattimento, più ampio di quello esercitabile all'inizio del dibattimento stesso, momento in cui il giudice può non ammettere soltanto le prove vietate dalla legge o quelle manifestamente superflue o irrilevanti così sez. 2, numero 9056 del 21.1.2009, Zerabib, rv. 243306, che, affermando il principio, ha ritenuto legittima la decisione del giudice che nel corso del dibattimento ha escluso, ritenutane la irrilevanza, la deposizione di un teste già citato . 6. In ultimo, va rilevato che, quanto alla responsabilità dell'imputato, si deduce vizio motivazionale o, alternativamente, violazione di legge, ma, in realtà, si richiede a questa Corte di legittimità una rivalutazione del compendio probatorio che le è inibita. Sul punto va ricordato che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti tra le varie, cfr. vedasi questa sez. 3, numero 12110 del 19.3.2009 numero 12110 e numero 23528 del 6.6.2006 . Ancora, la giurisprudenza ha affermato che l'illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento sez. 3, numero 35397 del 20.6.2007 Sez. Unite numero 24 del 24.11.1999, Spina, rv. 214794 . Più di recente è stato ribadito come ai sensi di quanto disposto dall'articolo 606 c.p.p., comma 1, lett. e , il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla ricostruzione dei fatti né all'apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell'atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile a l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato b l'assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, sez. 2, numero 21644 del 13.2.2013, Badagliacca e altri, rv. 255542 . Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c'è, in altri termini, come richiesto nel presente ricorso, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. E ciò anche alla luce del vigente testo dell'articolo 606 comma 1 lett. e cod. proc. penumero come modificato dalla l. 20.2.2006 numero 46. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il ricorrente non può, limitarsi a fornire una versione alternativa del fatto senza indicare specificamente quale sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta. Com'è stato rilevato nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte la sentenza deve essere logica rispetto a sé stessa , cioè rispetto agli atti processuali citati. In tal senso la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche da altri atti del processo , purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte, che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. 7. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa Suprema Corte, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza della Corte d'Appello di L'Aquila alcuna illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva. I giudici del gravame di merito, con motivazione specifica, coerente e logica hanno, infatti, dato conto di come l'istruttoria dibattimentale abbia consentito di ricostruire che il crollo si verificò per evidente imperizia del sistema di pun-tellamento utilizzato, alla luce del fatto che, vista l'altezza tra i due solai, le armature non rientrano negli schemi di uso corrente . I puntelli, infatti, andavano montati verticalmente in un unico pezzo o con prolunghe proprie e avrebbero dovuto poggiare su basi solide così, viene ricordato nella sentenza impugnata, è scritto testualmente dalla missiva 23.2.07 diretta alla Procura della Repubblica di Chieti dal tecnico della Prevenzione ASL D.G.C. . missiva prodotta in atti dalla stessa difesa dell'imputato . I giudici del gravame del merito ricordano che lo stesso D.G. , sentito in dibattimento in qualità di teste, ha sostanzialmente confermato il contenuto di detta missiva, nella quale si evidenziava tra l'altro che nel piano di sicurezza e coordinamento, redatto dall'arch. C.F. , alla pag. 35 pure prodotta in atti dalla difesa dell'imputato .si evince che, nella fase lavorativa relativa al solaio, deve essere utilizzato un ponteggio metallico in tubi e giunti. I puntelli devono essere ben ancorati e poggiare su ripartitori regolari. Cosa che la ditta non ha assolutamente fatto . Alla luce di dette risultanze, i giudici di appello ritengono aderendo all'analoga conclusione dal giudice di prime cure e ritenendo non esservi alcuna necessità di effettuare perizie tecniche, argomento su cui si ritorna nel presente ricorso , che i fatti si verificarono per negligenza dell'imputato, che non apprestò il ponteggio seguendo le elementari tecniche di tenuta, non potendo questi ritenersi scriminato dalla presenza di un soggetto avente le qualifiche di coordinatore della fase di progettazione e di coordinatore della fase di esecuzione , in assenza di prove circa l'esistenza di una formale investitura del medesimo degli obblighi di predisposizione dei presidi, di attuazione della normativa ergotecnica e di vigilanza sul suo concreto rispetto da parte degli operai. Con motivazione logica la Corte territoriale evidenzia, peraltro, che nello stesso Piano di sicurezza e coordinamento , prodotto in atti dalla difesa del prevenuto, sotto la voce Responsabile dei lavori appare la dicitura L'impresa esecutrice dei lavori . E l'affermazione che la designazione del coordinatore per la progettazione e del coordinatore per l'esecuzione non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di predispone le misure di sicurezza è coerente con la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità. I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l'impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele. Rispetto a tale motivata, logica e coerente pronuncia il ricorrente chiede una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma per quanto sin qui detto un siffatto modo di procedere è inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità nell'ennesimo giudice del fatto. 8. In ultimo va rilevato che, in relazione alle sospensioni della prescrizione intervenute in primo grado a causa dei rinvii delle udienze operate su istanza difensiva, il reato in contestazione non era prescritto all'atto della pronuncia della sentenza di secondo grado. Né può porsi in questa sede la questione della declaratoria della prescrizione maturata dopo la sentenza d'appello, in considerazione della manifesta infondatezza del ricorso. La giurisprudenza di questa Corte Suprema ha, infatti, più volte ribadito che l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'articolo 129 cod. proc. penumero Cass. penumero , Sez. unumero , 22 novembre 2000, numero 32, De Luca, rv. 217266 nella specie la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso conformi, Sez. unumero , 2 marzo 2005, numero 23428, Bracale, rv. 231164, e Sez. unumero , 28 febbraio 2008, numero 19601, Niccoli, rv. 239400 in ultimo Cass. penumero Sez. 2, numero 28848 dell'8.5.2013, rv. 256463 . 9. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13.6.2000 , alla condanna de. ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.