Tracce sul proprio computer, la quantità dimostra la consapevolezza e porta alla condanna

Il materiale, seppur non archiviato, costituisce elemento chiaro per valutare il comportamento dell'internauta. Peraltro l'accesso a portali difficili da reperire e ai quali registrarsi è ulteriore testimonianza a sfavore.

di Attilio IevolellaNavigare online può rappresentare, talvolta, un pericolo. Per i bambini, ad esempio. Ma anche per gli adulti, che rischiano di vedere il proprio computer 'macchiato' da files poco o per nulla legali. Ciò può succedere anche 'sotto coperta', senza che il 'navigante' se ne renda conto Ma la consistenza e la persistenza di queste tracce possono rappresentare l'elemento sufficiente per vedere riconosciuta la volontaria consapevolezza della propria navigazione online. Con tutto ciò che essa comporta Tracce sul computer L'accusa, in questo specifico caso, è quella, gravissima, di detenzione di materiale pedo-pornografico sul proprio personal computer. La condanna, in Corte d'Appello, è a due anni di reclusione, con sospensione condizionale della pena. Ma in Cassazione - che dirime la questione con la sentenza numero 28895, sezione terza penale, depositata ieri - l'imputato chiede che sia rivista e alleggerita la propria posizione.Su quali basi? Su un elemento preciso sono state trovate sul computer tracce di collegamenti a siti pedo-pornografici , ma non tracce di archiviazione o salvataggio dei files né sul computer né su altri supporti . Secondo il legale, i files recuperati erano tutti dovuti alla navigazione e salvati automaticamente dal programma di navigazione nella memoria cache , ovvero 'nascosta'. Di conseguenza, seguendo questo filo logico, l'imputato aveva cancellato il materiale, non appena avuto conoscenza del suo contenuto, e non aveva archiviato e organizzato il materiale né sul computer né su 'chiavette' né su supporti esterni . Per giunta, i filmati erano stati eliminati nel cestino, e comunque il materiale contestato sarebbe stato solo visionato, senza archiviarlo o memorizzarlo ne consegue che, secondo il legale, non era possibile ipotizzare una detenzione consapevole o il procurarsi il materiale per averne la disponibilità , perché, secondo giurisprudenza, il reato non è integrato dalla mera consultazione via internet di siti pedofili senza registrazione dei dati su disco .A questo quadro, poi, si aggiunge anche la tesi, difensiva, che l'imputato aveva deciso di collegarsi con siti pedo-pornografici per approntare un programma che ne bloccasse l'accesso, e l'imputato ha competenze tecniche per sviluppare programmi di sicurezza , sostiene il legale .tracce non rare. Eppure il castello difensivo non regge di fronte ai giudici della Cassazione, che lo smontano pezzo dopo pezzo. Il nodo è l'analisi sullo scostamento tra la semplice detenzione e il procurarsi il materiale pedo-pornografico online. Ma, in questo caso specifico, il nodo è superato da un semplice fatto l'imputato si è procurato e poi ha detenuto il materiale incriminato. Perché questa affermazione? Ci sono elementi precisi, secondo i giudici di piazza Cavour, a parlare tracce di ben 1.800 fotogrammi e 25 film pedopornografici connessioni a siti e forum durate molto tempo, e non casuali perché l'imputato, per accedervi, si era dovuto registrare e munire di parola d'ordine e di nome utente siti e forum di difficile reperimento una intensa attività di ricerca e di scaricamento, non giustificabile con un accesso casuale detenzione non accidentale, data la quantità di immagini e di film . Troppe tracce, quindi, per poter parlare di una navigazione inconsapevole da parte dell'imputato.Allo stesso modo, non regge, secondo i giudici di piazza Cavour, l'idea di un lavoro finalizzato alla creazione di un programma nemico dei siti pedo-pornografici nessun elemento a suffragio di questa tesi, neanche una strumentazione idonea a tale scopo.Condanna confermata. Per tutte le ragioni chiarite dalla Corte di Cassazione, quindi, l'accusa di detenzione di materiale pedo-pornografico regge in maniera piena. La responsabilità dell'imputato è assolutamente acclarata. Unico punto da rivedere, secondo i giudici di piazza Cavour, è quello relativo al trattamento sanzionatorio, anche alla luce dell'applicazione contestata della continuazione e del divieto di reformatio in pejus poiché la sentenza di primo grado non aveva applicato nessun aumento per la continuazione, cosa avvenuta in Appello .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 aprile - 20 luglio 2011, numero 28895Presidente Ferrua - Estensore FrancoSvolgimento del processoCon la sentenza in epigrafe la Corte d'appello di Firenze concesse le attenuanti generiche, ridusse la pena ad anni due di reclusione, concesse la sospensione condizionale della pena e confermò nel resto la sentenza 31.3.2008 del tribunale di Montepulciano, che aveva dichiarato L.T. colpevole del reato di cui all'articolo 600 quater cod. penumero per avere consapevolmente detenuto nel suo computer materiale pedopornografico.L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo 1 vizio di motivazione e travisamento del fatto. Osserva che non è vero che il CTU abbia riscontrato qualcosa nei CD-ROM o in altri supporti informatici. Il CTU ha solo trovato nel computer tracce di collegamenti a siti pedopornografici ma non ha trovato alcuna traccia di archiviazione o salvataggio dei file, né sul computer né su altri supporti, quali il CD-ROM di cui parla la sentenza impugnata. I file recuperati erano tutti dovuti alla navigazione e salvati automaticamente dal programma di navigazione nella memoria cache. Risulta quindi che egli aveva cancellato il materiale non appena avuto conoscenza del suo contenuto, e non aveva archiviato e organizzato il materiale né sul computer né su chiavette o archivi esterni. Anche i filmati risultano tutti immediatamente eliminati nel cestino e non vi è traccia di una visione in anteprima. Non è stato trovato nessun supporto esterno con materiale pedopornografico.2 violazione dell'articolo 600 quater cod. penumero perché egli è stato condannato sull'erroneo presupposto di una detenzione consapevole di materiale pedopornografico, della quale invece non c'è prova. Anche dalla CTU emerge che egli avrebbe solo visionato il materiale senza archiviarlo o memorizzarlo, il che non può integrare una detenzione consapevole o il procurarsi il materiale per averne la disponibilità. Infatti, secondo la giurisprudenza, il reato non è integrato dalla mera consultazione via internet di siti pedofili senza registrazione dei dati su disco. Ora, la sentenza impugnata parla solo di accesso ad alcuni siti, ma nulla dice sul loro salvataggio o archiviazione.3 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta che è totalmente assente la motivazione sulla tesi della difesa circa le reali motivazioni che lo avevano indotto a collegarsi con i siti in questione. Sul punto la sentenza impugnata si limita ad affermare apoditticamente che le argomentazioni difensive sono irrilevanti. Del resto anche il CTU aveva ammesso che l'imputato aveva le competenze tecniche per sviluppare programmi di sicurezza. La corte d'appello non ha esaminato e valutato gli elementi specificamente evidenziati sul punto dalla difesa.4 violazione di legge e violazione del divieto di reformatio in peius nonché della correlazione tra fatto contestato e sentenza. Lamenta che la corte d'appello ha applicato un aumento per la continuazione, mentre né nella sentenza di primo grado né nel capo di imputazione si era mai parlato di continuazione.5 contraddittorietà e mancanza di motivazione in ordine alla determinazione della pena, perché la corte d'appello, pur avendo ritenuto l'imputato meritevole delle attenuanti generiche per le ragioni indicate, non ha poi spiegato perché ha applicato nel massimo la riduzione per le attenuanti generiche. In realtà il giudice sembra aver erroneamente applicato il nuovo testo della disposizione e non quello vigente al momento del fatto, che prevedeva la sanzione alternativa della multa o della reclusione, tanto che anche il pubblico ministero aveva chiesto l'applicazione della sola pena pecuniaria.Motivi della decisioneRitiene il Collegio che i primi tre motivi propongono in realtà censure in punto di fato della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice di merito e non consentita in questa sede di legittimità. I suddetti tre motivi sono comunque infondati.Il ricorrente ripropone in questa sede le doglianze relative al fatto che le immagini ed il film pedopornografici non erano stati trovati nel disco rigido effettivamente sembra che la sentenza impugnata abbia confuso tra disco rigido e CD Rom, ma si tratta di mero errore materiale inseriti in apposite cartelle ma nella memoria cache del programma di navigazione o nel cestino, il che dimostra che gli non li conservava per detenerli ma li cestinava subito dopo averli visionati ed essersi reso conto del loro contenuto. Ne deriverebbe che, in mancanza di salvataggio su disco o altro supporto, non potrebbe parlarsi di detenzione con la conseguenza che il reato non è configurabile.L'equivoco di fondo su cui si basano questi motivi consiste nel fatto che la sentenza di primo grado ha ritenuto l'imputato colpevole non solo di detenzione del materiale pedopornografico, ma anche e soprattutto della ipotesi di essersi procurato il materiale steso articolo 600 quater, nel terso vigente ed in quello anteriore, punisce chiunque, consapevolmente, si procura o detiene il materiale , come si desume chiaramente a pag. 3, dove si afferma che anche il semplice procurarsi, come nel caso de quo, detto materiale per poi disporne personalmente , ed a pag. 4, dove si dice che il download deve ritenersi attività equivalente e costituente procurarsi materiale pornografico . È vero che si potrebbe sostenere che nel capo di imputazione si fa esplicitamente riferimento solo alla detenzione e non anche all'essersi procurato. Ma con l'atto di appello e nemmeno con il ricorso per cassazione non è mai stata eccepita una violazione del principio trra chiesto e pronunciato od una violazione del diritto di difesa, che chiaramente non sussiste essendosi l'imputato difeso sul punto.In ogni caso i giudici del merito hanno ritenuto che l'imputato si fosse procurato ed avesse anche detenuto il materiale pedopornografico in considerazione del fatto che nel suo computer sono state trovate tracce di ben 1.800 fotografie e 25 film pedopornografici che le connessioni ai siti ed alle BBS erano durate per molto tempo e non erano state sicuramente casuali, perché per accedervi l'imputato si era dovuto registrare e munirsi di parola d'ordine e di nome utente che per di più i siti e le BBS erano di difficile reperimento e certamente non incontrati per caso che quindi vi era stata una intensa attività di ricerca e di scaricamento de file, non giustificabile con un accesso casuale che non era possibile parlare di detenzione accidentale data la quantità di immagini e film.La motivazione, quindi, è congrua ed adeguata.Ugualmente non manifestamente illogica è la motivazione con la quale i giudici di merito hanno rigettato la tesi difensiva secondo cui l'imputato si era collegato ai siti e BBS ed aveva scaricato il materiale pedopornografico perché intendeva realizzare un programma informatico che consentisse di bloccare l'accesso a questi siti. I giudici hanno infatti rilevato che non era stato fornito nessun elemento di prova che suffragasse questo assunto, il quale anzi era smentito dal fatto che il L. non era in possesso di alcuna strumentazione idonea a tale scopo, dato che il perito non aveva trovato programmi e software con il linguaggio C o con altri linguaggi di programmazione.Sono invece fondati il quarto ed il quindi motivo.La corte d'appello, infatti, nel rideterminare la pena, ha disposto un aumento per la continuazione, così violando sia il principio di correlazione tra imputazione e sentenza, dal momento che non erano stati contestate più condotte delittuose in continuazione tra loro, sia il divieto di reformatio in peius, dato che la sentenza di primo grado non aveva applicato nessun aumento per la continuazione.È anche erronea e manifestamente illogica la determinazione della pena perché la corte d'appello, dopo aver ritenuto eccessiva la pena irrogata in primo grado ed avere per questo concesse le attenuanti generiche, ha poi applicato la pena detentiva in una misura quasi corrispondente al massimo ed una minima diminuzione per le attenuanti, senza alcuna motivazione. D'altra parte, proprio la totale mancanza di motivazione fa pensare che la corte d'appello abbia applicato la pena vigente al momento della decisione e non quella vigente al momento del fatto. Difatti, il reato è stato commesso il 14.6.2005 e pertanto doveva applicarsi il vecchio testo dell'articolo 600 quater cod penumero anteriore alle modifiche apportate dall'articolo 3 della l. 6 febbraio 2006, numero 38 il quale prevedeva la pena alternativa della reclusione fino a tre anni ovvero della multa non inferiore ad € 1.549,00 e difatti il Procuratore generale in appello aveva chiesto la sola multa di € 15.400,00 .In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla determinazione della pena ed alla continuazione, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d'appello di Genova. Nel resto il ricorso deve essere rigettato.Per questi motiviLa Corte Suprema di CassazioneAnnulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio ed alla continuazione, con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della corte d'appello di Firenze.Rigetta il ricorso nel resto.