Il pagamento non avviene nel termine essenziale? Sì alla risoluzione di diritto

In presenza di un termine essenziale per l'adempimento della prestazione, la risoluzione del contratto di vendita opera di diritto, prescindendo dall'indagine in ordine alla importanza dell'inadempimento.

In presenza di un termine essenziale per l'adempimento della prestazione, la risoluzione del contratto di vendita opera di diritto, prescindendo dall'indagine in ordine alla importanza dell'inadempimento, che è stata anticipatamente valutata dai contraenti, dovendo in tal caso il giudice limitarsi ad accertate la sussistenza e l'imputabilità dell'inadempimento. Ad affermarlo è la Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 3993 depositata il 18 febbraio 2011.La fattispecie. Un ente morale aveva promesso di vendere ad una s.r.l. un complesso immobiliare sito in Firenze, che era risultato sottoposto al vincolo di interesse storico artistico e monumentale, con conseguente diminuzione del suo valore nella misura del 30%. Pertanto, la società conveniva in giudizio l'ente dinnanzi al Tribunale di Firenze, affinché fosse pronunciata, ex articolo 2932 c.c., l'esecuzione in forma specifica del preliminare previa riduzione del prezzo. Il convenuto, dal canto suo, chiedeva sia il rigetto della domanda, poiché il vincolo in questione non aveva apportato alcuna diminuzione di valore all'immobile ed era comunque conosciuto dalla promissaria acquirente sia, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto di vendita soggetto a condizione sospensiva per inadempimento dell'attrice.Il Tribunale adito, in accoglimento della riconvenzionale, pronunciava la risoluzione del contratto de quo per inadempimento.Tale verdetto veniva confermato anche dalla Corte d'Appello. E allora, la s.r.l. ricorreva per cassazione, ma ancora una volta senza successo.Vendita soggetta a condizione sospensiva. Infatti, la S.C. ritiene accertata la perfetta conoscenza da parte dell'attrice - prima della stipula del contratto - dell'effettiva esistenza dei vincoli di interesse storico artistico e monumentale ai quali era soggetto l'immobile e delle limitazioni relative agli interventi edili consentiti conseguenti. Correttamente, i giudici di seconde cure hanno qualificato il contratto intercorso fra le parti come una vendita soggetta a condizione sospensiva, subordinata al mancato esercizio del diritto di prelazione da parte della Sovrintendenza il che evidentemente postulava l'avvenuta iscrizione del vincolo sull'immobile, soggetto alla normativa dettata in materia di beni ambientali. Conseguentemente, l'acquirente era perfettamente a conoscenza della sua esistenza, sicché non sussistevano i presupposti per l'applicabilità dell'articolo 1489 c.c Ma non è tutto.E se il corrispettivo dovuto non viene versato entro il termine essenziale? La ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto irrimediabile l'inadempienza della promissaria acquirente non avendo provveduto al pagamento del prezzo nel temine essenziale, senza tenere conto della sua volontà, precisa e sempre manifestata, di provvedere al versamento del corrispettivo dovuto e del principio di conservazione degli atti giuridici. Quindi, a detta della s.r.l., i giudici non avevano tenuto conto del principio secondo cui il termine per l'adempimento deve ritenersi essenziale solo quando risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del tempo e che l'essenzialità deve risultare dalla natura e dall'oggetto del contratto. La risoluzione del contratto opera di diritto. Tuttavia, anche questa volta, gli Ermellini non sembrano condividere la tesi della società ed, infatti, precisano qualora - come nelle specie secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata - sia pattuito un termine essenziale per l'adempimento della prestazione, la risoluzione del contratto opera di diritto, prescindendo dall'indagine in ordine alla importanza dell'inadempimento, che è stata anticipatamente valutata dai contraenti, dovendo in tal caso il giudice limitarsi ad accertate la sussistenza e l'imputabilità dell'inadempimento. Pertanto, sulla base di tali considerazioni, alla S.C. non resta che rigettare il ricorso della società.

Corte di Cassazione, sez. II civile, sentenza 1 dicembre 2010 - 18 febbraio 2011, numero 3993Presidente Oddo - Relatore MigliucciSvolgimento del processoLa B. E. s.r.l. esponeva che con contratto del 12 aprile 2002 l'Istituto Pio X Artigianelli aveva promesso di venderle il complesso immobiliare sito in Firenze tale cespite era risultato sottoposto al vincolo di cui al D.Lgs. numero 490 del 1999, da parte della Sovrintendenza per i beni culturali e artistici, con conseguente diminuzione del suo valore nella misura del trenta per cento.Pertanto, l'istante conveniva in giudizio il predetto Ente dinanzi al Tribunale di Firenze per sentire pronunciare, ai sensi dell'articolo 2932 cod. civ., l'esecuzione in forma specifica del preliminare previa riduzione del prezzo. Il convenuto, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto della domanda, deducendo che il vincolo in questione non solo non aveva apportato alcuna diminuzione di valore all'immobile ma era comunque conosciuto dalla promissaria acquirente in via riconvenzionale, instava per la risoluzione del contratto di vendita soggetto a condizione sospensiva per inadempimento dell'attrice.Con sentenza depositata il 13 maggio 2004 il Tribunale rigettava la domanda proposta dall'attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, pronunciava la risoluzione del contratto de quo per inadempimento.Con sentenza dep. l'8 giugno 2006 la Corte di appello di Firenze rigettava l'impugnazione proposta dall'attrice che, in accoglimento della domanda proposta dall'appellato ai sensi dell'articolo 96 cod. proc. civ., condannava al pagamento della somma di Euro 6.000,00 a titolo di responsabilità processuale aggravata oltre al rimborso delle spese processuali.I Giudici di appello, nel confermare il rigetto della domanda proposta dall'attrice, ritenevano che il vincolo al quale era sottoposto l'immobile de qua era ben conosciuto dall'acquirente, per cui non sussistevano i presupposti previsti dall'articolo 1489 cod. civ. il che rendeva superflua la consulenza tecnica richiesta per accertare la condizione dell'immobile.Se la domanda di esecuzione in forma specifica chiesta previa riduzione del prezzo non era fondata, doveva considerarsi nuova e, come tale, inammissibile quella azionata nel corso del giudizio ed avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del bene per il prezzo concordato nel contratto preliminare tale domanda, in ogni caso, era preclusa, essendosi il contratto risolto, atteso che l'attrice doveva ritenersi inadempiente al pagamento del prezzo nel termine essenziale pattuito.Infine, alla stregua del comportamento stragiudiziale e processuale tenuto dall'attrice che aveva proposto una domanda fondata su argomentazioni pretestuose e palesemente infondate, era riconosciuto a favore del convenuto il danno di cui all'articolo 96 cod. proc. civ., comma 1, che veniva liquidato secondo i criteri previsti dalla L. numero 89 del 2001, in tema di equa riparazione del pregiudizio derivante dalla durata irragionevole del processo.Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la B. E. s.r.l., sulla base di cinque motivi.Resiste con controricorso l'intimato.Le parti hanno depositato memoria illustrativa.Motivi della decisioneCon il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 1489 cod. civ., nullità della sentenza e del procedimento articolo 360 cod. proc. civ., numero 3 nonchè omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia articolo 360 cod. proc. civ., numero 5 , censura la decisione gravata che aveva ritenuto la conoscenza da parte dell'acquirente della possibile presenza del vincolo, quando invece l'imposizione del vincolo sull'immobile era avvenuta in epoca successiva allo svolgimento e alla conclusione delle trattative per la compravendita mentre altra cosa è sapere che vi sarà un vincolo, altra cosa è verificarne i contenuti e l'ampiezza.Il motivo è infondato.La sentenza ha verificato, attraverso una accurata e puntuale disamina della documentazione acquisita, la perfetta conoscenza da parte dell'attrice - prima della stipula del contratto intercorso fra le parti - della effettiva esistenza dei vincoli di interesse storico artistico e monumentale ai quali era soggetto l'immobile e delle limitazioni relative agli interventi edili consentiti conseguenti nonché dell'autorizzazione data all'alienazione da parte del Soprintendente l'8 marzo 2001. Ed invero la sentenza, nel fare riferimento alla corrispondenza intercorsa fra la parti, alla documentazione in atti nonché al contratto fra le medesime concluso, ha qualificato il contratto intercorso fra le parti, in realtà, come una vendita soggetta a condizione sospensiva evidentemente subordinata al mancato esercizio del diritto di prelazione da parte della Sovrintendenza il che evidentemente postulava secondo l'accertamento compiuto dalla sentenza nell'ambito dell'indagine di fatto riservata al giudice di merito e, come tale, incensurabile in sede di legittimità - l'avvenuta iscrizione del vincolo sull'immobile che era soggetto alla normativa dettata in materia di beni ambientali di cui alla L. numero 352 del 1997, articolo 1 e al D.Lgs. numero 490 del 1999 pertanto, l'acquirente era perfettamente a conoscenza della sua esistenza, sicché non sussistevano i presupposti per l'applicabilità dell'articolo 1489 cod. civ Con il secondo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 cod. proc. civ., denuncia la mancata acquisizione delle informazioni presso la Soprintendenza ai beni artistici e storici e la mancata ammissione della consulenza tecnica d'ufficio, onde verificare la consistenza dell'immobile, i vincoli su di esso gravanti e le reali possibilità di utilizzazione e di ristrutturazione dello stesso censura la decisione laddove aveva fatto riferimento al contratto preliminare e alle prova da cui aveva tratto il convincimento circa la conoscenza nell'acquirente del vincolo.Formula il seguente quesito l'omessa richiesta di chiarimenti alla Sovrintendenza dei beni artistici storici e ambientali unitamente all'immotivato rigetto della richiesta di consulenza volta ad accertare l'incidenza e rilevanza dei vincoli posti è difetto di motivazione della sentenza? .Il motivo è inammissibile.Occorre premettere che la violazione dell'articolo 115 cod. proc. civ., è riconducibile, in sede di ricorso per cassazione, al vizio di motivazione di cui all'articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, numero 5 .Ai sensi dell'articolo 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. numero 40 del 2006, articolo 6, ratione temporis applicabile, i motivi del ricorso per cassazione devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità articolo 375 cod. proc. civ., numero 5 dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto nei casi previsti dall'articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, nnumero 1 , 2 , 3 e 4 , e, qualora - come nella specie - il vizio sia denunciato ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., numero 5, l'illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.Analogamente a quanto è previsto per la formulazione del quesito di diritto nei casi previsti dall'articolo 360 cod. proc. civ., comma 1, nnumero 1 , 2 , 3 e 4 , nell'ipotesi in cui il vizio sia denunciato ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., numero 5, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi omologo del quesito di diritto , separatamente indicato in una parte del ricorso a ciò specificamente deputata e distinta dall'esposizione del motivo, che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità S.U. 20603/07 . In tal caso,l'illustrazione del motivo deve contenere la indicazione del fatto controverso con la precisazione del vizio del procedimento logico-giuridico che, incidendo nella erronea ricostruzione del fattoria stato determinante della decisione impugnata. La norma aveva evidentemente la finalità di consentire la verifica che la denuncia sia ricondotta nell'ambito delle attribuzioni conferite dall'articolo 360 cod. proc. civ., numero 5, al giudice di legittimità, che deve accertare la correttezza dell'iter logico-giuridico seguito dal giudice esclusivamente attraverso l'analisi del provvedimento impugnato, non essendo compito del giudice di legittimità quello di controllare l'esattezza o la corrispondenza della decisione attraverso l'esame e la valutazione delle risultanze processuali che non sono consentiti alla Corte, ad eccezione dei casi in cui essa è anche giudice del fatto. Si era, così, inteso precludere l'esame di ricorsi che, stravolgendo il ruolo e la funzione della Corte di Cassazione, sollecitano al giudice di legittimità un inammissibile riesame del merito della causa.Nella specie, è mancata la relativa sintesi con la separata e specifica indicazione del fatto controverso in relazione alla ratio decidendi della sentenza impugnata, atteso che la ricorrente in sostanza sollecita da parte della Corte una inammissibile valutazione nel merito circa i presupposti per l'accoglimento delle istanze istruttorie formulate.Con il terzo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli articolo 2932, 1489, 1490 e 1489 cod. civ., censura la sentenza che aveva respinto, perché erroneamente ritenuta tardiva, la domanda di cui al citato articolo 2932, quando sin dall'atto di citazione l'attrice aveva chiesto l'esecuzione in forma specifica dichiarandosi pronta all'adempimento pieno con l'offerta del prezzo concordato nei modi di legge l'attrice non poteva essere considerata inadempiente , non avendo rifiutato di pagare il prezzo pattuito nel caso di reiezione della domanda di quanti minoris.Il motivo va disatteso.Secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata, l'attrice con l'atto di citazione aveva proposto domanda di trasferimento dell'immobile de quo ai sensi dell'articolo 2932 cod. civ., che ne subordina l'accoglimento alla offerta da parte dell'istante della controprestazione ancora dovuta contestualmente alla richiesta di trasferimento, era stata proposta domanda di quanti minoris del prezzo ed era formulata offerta del prezzo ridotto.La domanda di trasferimento al prezzo concordato in contratto è stata ritenuta inammissibile, sul rilievo che la stessa era stata proposta per la prima volta in appello, oltre che tardivamente nelle conclusioni definitive di primo grado.Orbene, essendo stata rigettata perché risultata infondata la domanda di riduzione del prezzo, correttamente i Giudici hanno escluso la sussistenza delle condizioni di ammissibilità della domanda, posto che l'offerta della controprestazione era inidonea perchè non corrispondeva a quanto effettivamente dovuto dall'attrice la mancanza di una valida offerta formulata con l'originario atto di citazione, quanto meno in via subordinata, evidenziando piuttosto l'intenzione di non adempiere l'obbligazione alle condizioni stabilite nel contratto, comportava per tale ragione l'inammissibilità di quella avanzata nel successivo corso del giudizio relativamente al prezzo effettivamente dovuto secondo quanto concordato in contratto.Ciò posto, l'attrice avrebbe dovuto a dimostrare di avere proposto con l'atto introduttivo del giudizio domanda subordinata di trasferimento del bene alle condizioni pattuite previa offerta del prezzo pattuito trascrivendo, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso, il testo di tale domanda b denunciare la violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ., per omesso esame di tale domanda. Tali prescrizioni non sono state assolte dalla ricorrente, che si è limitata a dedurre di avere proposto sin dall'atto introduttivo del giudizio la domanda di trasferimento al prezzo effettivamente dovuto.Con il quarto motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli articolo 1456, 1457 e 1367 cod. civ., censura la sentenza laddove aveva ritenuto irrimediabile l'inadempienza della promissaria acquirente non avendo provveduto al pagamento del prezzo nel temine essenziale, senza tenere conto della volontà, precisa e sempre manifestata, di essa ricorrente di provvedere al versamento del corrispettivo dovuto e del principio di conservazione degli atti giuridici. I Giudici non avevano tenuto conto del principio enunciato dalla giurisprudenza secondo cui il termine per l'adempimento deve ritenersi essenziale solo quando risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l'utilità economica del contratto con l'inutile decorso del tempo e che l'essenzialità deve risultare dalla natura e dall'oggetto del contratto. Il motivo è infondato.Qualora - come nelle specie secondo quanto accertato dalla sentenza impugnata - sia pattuito un termine essenziale per l'adempimento della prestazione, la risoluzione del contratto opera di diritto, prescindendo dall'indagine in ordine alla importanza dell'inadempimento, che è stata anticipatamente valutata dai contraenti, dovendo in tal caso il giudice limitarsi ad accertate la sussistenza e l'imputabilità dell'inadempimento. Con il quinto motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli articolo 96, 116 e 301 cod. proc. civ. nonché della L. numero 89 del 2001, articolo 1, e segg., censura la sentenza impugnata laddove aveva ritenuto i presupposti della responsabilità processuale aggravata quando non ricorrevano né la malafede né la colpa grave previste dalla norma citata mentre ai fini del responsabilità di cui all'articolo 96 citato rileva il comportamento processuale della parte, i Giudici avevano posto a base della decisione circostanze e documentazione relative alla complessa vicenda intercorsa fra i contraenti che, avendo ad oggetto la condotta stragiudiziale, erano del tutto ininfluenti così come non potevano avere rilievo gli elementi risultanti da un diverso giudizio intercorso fra le parti e dichiarato estinto la sentenza si era diffusa in espressioni fuori luogo e offensive del tutto inconferente era stato il richiamo alla L. numero 89 del 2001, e alla liquidazione del danno secondo i criteri dettati da tale legge, tanto più che nella specie il convenuto era una persona giuridica privata.Il motivo è infondato.Occorre premettere che l'accertamento, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex articolo 96 cod. proc. civ., dei requisiti dell'aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave comma primo ovvero del difetto della normale prudenza comma secondo implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se la sua motivazione in ordine alla sussistenza o meno dell'elemento soggettivo ed all' an ed al quantum dei danni di cui è chiesto il risarcimento risponde ad esatti criteri logico-giuridici. Ed invero la sentenza ha accertato la temerarietà della lite che va ravvisata nella coscienza dell'infondatezza della domanda o nel difetto della normale diligenza per l'acquisizione di detta coscienza nel verificare la malafede tenuta dall'attrice, ha motivato il riconoscimento del danno, tenendo conto del e basandosi sul comportamento processuale tenuto dall'attrice nel presente giudizio, seppure si è ampiamente diffusa anche sulla condotta extraprocessuale o ancora sugli elementi di cui al giudizio estinto, che peraltro non costituiscono la ratio decidendi posta a base della decisione. Ed invero, anche alla luce della complessiva motivazione, con cui è stata evidenziata la piena conoscenza dell'esistenza del vincolo da parte dell'attrice, i Giudici hanno messo in risalto la inconsistenza e la pretestuosità delle domande pervicacemente proposte anche in grado di appello, formulate allo scopo di mantenere l'indisponibilità del complesso immobiliare tramite la trascrizione della domanda e/o anche per cercare eventualmente di acquisirlo o farlo acquisire da terzi a prezzo stracciato in tal modo la sentenza ha inteso evidenziare, ai sensi dell'articolo 96 cod. proc. civ., che l'attrice era in malafede o quanto meno consapevole dell'infondatezza della domanda proposta.Relativamente all'entità del danno sofferto, se l'esistenza e la prova devono essere offerte dall'istante sia per quanto concerne l' an sia per il quantum debeatur , il pregiudizio derivante da condotte processuali dilatorie o defatigatorie della controparte, può desumersi da nozioni di comune esperienza anche alla stregua del principio, ora costituzionalizzato, della ragionevole durata del processo articolo 111 Cost., comma 2 e della L. numero 89 del 2001 c.d. legge Pinto , secondo cui, nella normalità dei casi e secondo l' id quod plerumque accidit , ingiustificate condotte processuali, oltre a danni patrimoniali, causano ex se anche danni di natura psicologica che, per non essere agevolmente quantificabili, vanno liquidati equitativamente sulla base degli elementi in concreto desumibili dagli atti di causa Cass. 24645/2007 . D'altra parte, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi della L. 24 marzo 2001, numero 89, articolo 2, anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è - tenuto conto dell'orientamento in proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo - conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri, e ciò non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche Cass. 1746/20101 2246/2007 .Il ricorso va rigettato.La domanda di risarcimento del danno, proposta dal resistente ai sensi dell'articolo 96 cod. proc. civ., relativamente al giudizio di cassazione, è infondata, tenuto conto che, in considerazione della natura delle questioni sottoposte al sindacato di legittimità, devono al riguardo escludersi i presupposti della norma citata.Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.P.Q.M.Rigetta il ricorso.Condanna la ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 10.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.