Ai fini della determinazione del reddito d'impresa, le sanzioni versate all'Antitrust non sono deducibili.
Ai fini della determinazione del reddito d'impresa, le sanzioni versate all'Antitrust non sono deducibili.E' quanto ribadito dalla sezione Tributaria della Corte di Cassazione, che -con l'ordinanza numero 600 del 12 gennaio scorso - ha rigettato il ricorso di una s.p.a., che aveva dedotto le sanzioni versate all'Autorità garante della concorrenza.La fattispecie. Con avviso di accertamento notificato ad un'azienda milanese, l'Agenzia entrate recuperava a tassazione, reputandoli non deducibili, i versamenti eseguiti a titolo di sanzioni irrogate dall'Antitrust. Contro tale atto impositivo la società presentava ricorso alla CTP di Milano, che lo rigettava la decisione dei giudici di prime cure trovava conferma non solo in appello ma anche in cassazione.Sanzioni Antitrust indeducibili. In particolare, la S.C. ribadisce che in considerazione della loro finalità punitiva e della loro complessiva disciplina, le sanzioni pecuniarie in materia di tutela della concorrenza e del mercato di cui alla disciplina antitrust l. numero 287/1990 , irrogabili dalla Commissione UE o dall'Autorità Garante della concorrenza, non sono costi deducibili dal reddito d'impresa.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 11 novembre 2010 - 12 gennaio 2011, numero 600Presidente Lupi - Relatore CappabiancaFatto e dirittoPremesso - che la società contribuente propose ricorso avverso avviso di accertamento irpeg ed irap, per l'anno 2000, con il quale l'Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione, reputandoli non deducibili, versamenti eseguiti a titolo di sanzioni irrogate dall'Autorità garante della concorrenza - che l'adita commissione tributaria respinse il ricorso, con decisione confermata, in esito all'appello della società contribuente, dalla commissione regionale, che, riscontrata la natura punitiva della sanzione inflitta dal garante della concorrenza, rilevò l'indeducibilità dei costi connessi ad attività dell'impresa esplicatasi in violazione di precetti normativi Rilevato - che, avverso la decisione di appello, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, in due motivi, illustrati anche con memoria - che l'Agenzia ha resistito con controricorso Osservato - che, con il primo motivo di ricorso, la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione degli articolo 172 già 123 d.p.r. 917/1986 e 2504 bis c.c. e formula il seguente quesito di diritto dica l'Ecc.ma Corte se l'avviso di accertamento, emesso e notificato a società ormai fusa per incorporazione in altra società, sia afflitto, ai sensi degli articoli 172 già 123 , d.p.r. numero 917/1986 e 2504 bis cod. civ., da nullità-inesistenza, come tale rilevabile d'ufficio e non sanabile. E pertanto dica l'Ecc. ma Corte se incorre in violazione degli articoli 172 già 123 , d.p.r. numero 917/1986 e 2504 bis cod. civ., la sentenza impugnata che manchi di rilevare d'ufficio la nullità-inesistenza di avviso di accertamento emesso e notificato a società ormai fusa per incorporazione in altra società Considerato - che il mezzo è inammissibile - che deve, invero, rilevarsi che, in base a quanto risulta dalla stessa narrativa del ricorso per cassazione, la doglianza in rassegna non è stata prospettata nel ricorso introduttivo della società contribuente - che, tanto premesso, deve, peraltro, considerarsi che, secondo il consolidato orientamento di questa corte, il giudizio tributario - in quanto caratterizzato da un meccanismo d'instaurazione di tipo impugnatorio circoscritto alla verifica della legittimità della pretesa avanzata con l'atto impugnato, alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in esso atto indicati - ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni mosse dal contribuente con i motivi specificamente dedotti nel ricorso introduttivo in primo grado, con la conseguenza che l'atto diviene definitivo in relazione a tutti i profili non rilevati in quella sede, sicché la successiva deduzione di un vizio originariamente non dedotto, comportando l'esame di una nuova causa petendi, si rivela, prima di ogni altra considerazione, inammissibile v. Cass. 28.680/05, 12147/04, 9754/03 - che il mezzo è, peraltro, infondato, posto che il denunciato vizio di notificazione dell'atto impositivo - integrando ipotesi di nullità e non di inesistenza della stessa - è suscettibile di sanatoria v. Cass. 20650/09, 14066/08 ed è stato di fatto sanato dalla tempestiva impugnazione dell'atto stesso Osservato - che, con il secondo motivo di ricorso, la società contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 75 ora 109 d.p.r. 917/198 6 e formula il seguente quesito di diritto dica l'Ecc.ma Corte se le sanzioni emanate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato siano riferibili e, come tali, correlate all'attività di impresa e, pertanto, se, le stesse siano deducibili nella determinazione del reddito di impresa. E, dunque, dica l'Ecc.ma Corte se incorre in violazione dell'articolo 75 ora 109 del D.p.r. numero 917/1986, la sentenza impugnata che manchi di rilevare la riferibilità e correlazione all'attività di impresa delle sanzioni emanate dall'Autorità garante del mercato e della concorrenza e, pertanto, la loro deducibilità nella determinazione del reddito di impresa Considerato - che il motivo di ricorso è manifestamente Infondato - che questa Corte ha, infatti, già puntualizzato, con affermazione da cui non vi è motivo di discostarsi, che, in considerazione della loro finalità punitiva e della loro complessiva disciplina, le sanzioni pecuniarie in materia di tutela della concorrenza e del mercato di cui alla l. 287/1990 cosiddetta disciplina antitrust , irrogabili dalla Commissione UE o dall'Autorità Garante della concorrenza, non configurano costi deducibili dal reddito d'impresa cfr. Cass. 5050/10 Ritenuto - che, pertanto, il ricorso va respinto nelle forme di cui agli articolo 375 e 380 bis c.p.c. - che, per la soccombenza, la società contribuente va condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.P.Q.M.Respinge il ricorso condanna la società contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidato in complessive € 10.100,00 di cui C 10.000,00 per onorari oltre spese generali ed accessori, di legge.