La novella del secondo comma dell’articolo 67 l.f., secondo cui sono revocabili i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, è applicabile soltanto alle procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore della riforma del 2005.
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per violazione dell’articolo 3 Cost., nella parte in cui la disciplina transitoria non ha reso retroattiva la nuova disciplina delle azioni revocatorie. È principio consolidato che le modifiche della disciplina sostanziale nel corso del tempo non configurano alcuna ingiustificata disparità di trattamento di situazioni identiche la diversa qualificazione degli stessi atti da parte del legislatore, infatti, non travolge gli effetti prodotti in base alla normativa precedente. I pagamenti nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento. Il Tribunale di Milano con sentenza del 2003 respingeva la domanda della curatela fallimentare proposta nei confronti di una società per la revoca ex articolo 67, comma 2, l.f. - ante riforma - dei pagamenti di debiti a titolo di corrispettivo effettuati dalla fallita a favore della ditta fornitrice nell’anno precedente alla sentenza dichiarativa di fallimento. La Corte d’appello meneghina accoglieva il gravame proposto dalla curatela, principalmente sulla scorta delle seguenti ragioni a in via preliminare, non era applicabile al caso di specie la novella dell’articolo 67 l.f. introdotta con il D.Lgs. 35/2005, essendo il giudizio iniziato prima della sua entrata in vigore b nel merito, la Corte territoriale affermava che lo stato d’insolvenza della società fallita fosse noto alla creditrice posto che i primi segnali di insolvenza iniziarono già dal 1993, quindi due anni prima i pagamenti effettuati in favore della fornitrice inoltre, la sussistenza del requisito della scientia decoctionis era provata da una lettera della fallita inviata alla fornitrice contenente la richiesta di ulteriormente differire i pagamenti già oggetto di rateizzazione. La società fornitrice proponeva ricorso per la cassazione della sentenza d’appello affidando l’impugnazione a tre motivi, uno dei quali meritevole di commento con il secondo motivo d’impugnazione, la ricorrente lamentava l’errata interpretazione della novella dell’articolo 67 l.f. secondo cui essa avrebbe natura d’interpretazione autentica. L’azione revocatoria per pagamenti di debiti ante riforma. L’articolo 67, comma 2, l.f. ante riforma stabiliva la possibilità di revoca per i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili o di atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti contestualmente creati, compiuti entro l'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, se il curatore prova che l’accipiens conosceva lo stato d'insolvenza del debitore fallito. Inapplicabilità della novella dell’articolo 67 l.f. al testo ante riforma. La Suprema Corte, rigettando il ricorso proposto dalla fornitrice, afferma l’infondatezza del secondo motivo di ricorso con cui la ricorrente chiedeva fosse dichiarata la natura d’interpretazione autentica della novella legislativa dell’articolo 67 l.f Non sfugge agli Ermellini, infatti, che le nuove disposizioni in tema di azione revocatoria introdotte con il citato decreto legislativo si applicano alle azioni revocatorie proposte nell’ambito delle procedure concorsuali iniziate dopo la data di entrata in vigore del decreto di riforma Efficacia della legge nel tempo. Tale disposizione, contenuta all’articolo 2, comma 2, del predetto decreto, riafferma il principio di diritto contenuto all’articolo 11 delle preleggi secondo cui la legge non può disporre che per l’avvenire. L’interpretazione fornita dalla Suprema Corte aderisce ad un indirizzo interpretativo largamente condiviso che esclude, quindi, la possibilità di qualificare come interpretativa la novella dell’articolo 67 l.f. cfr. Cass. 8 marzo 2007, numero 5346 . Irretroattività della nuova disciplina. La ricorrente sosteneva poi l’illegittimità costituzionale della disciplina transitoria, per contrasto con l’articolo 3 della Carta, nella parte in cui veniva esclusa la retroattività della novella dell’articolo 67 l.f. con riferimento a fallimenti dichiarati in data antecedente all’entrata in vigore della riforma. Tale censura è stata respinta dalla Suprema Corte secondo cui, per principio consolidato, le modifiche della disciplina sostanziale nel tempo non possono configurare alcuna disparità di trattamento con riferimento a situazioni identiche. Chiariscono gli Ermellini che l’evoluzione normativa va vista nell’ottica della diversa qualificazione giuridica degli atti adottata, nel tempo, dal legislatore senza che tale attività travolga gli effetti prodotti da atti compiuti durante la vigenza della normativa precedente.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 16 maggio – 13 luglio 2012, numero 12002 Presidente Plenteda – Relatore Ceccherini Svolgimento del processo 1. Con sentenza 16 gennaio 2003, il Tribunale di Milano respinse la domanda proposta dal Fallimento Forni ed impianti industriali Ingg. D.B. s.p.a., dichiarato in data omissis , nei confronti della 2R System s.r.l., di revoca ex articolo 67 comma secondo l. fall. dei pagamenti di debiti per un totale di 139.061.986, pari a Euro 71.819,52, somma pagata a titolo di corrispettivo di fornitura merci dalla società in bonis a favore della creditrice convenuta nell'anno precedente alla sentenza dichiarativa di fallimento della società debitrice. 2. La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 20 marzo 2006, accolse il gravame proposto dalla curatela fallimentare. La corte ritenne che con i motivi di appello la curatela avesse censurato specificamente le motivazioni con le quali il tribunale, per rigettare le domande dell'attore, aveva ritenuto insussistente la scientia decoctionis in capo alla società appellata, e avesse contrapposto alle argomentazioni svolte sul punto dal primo giudice quelle dell'appellante, poi esaminate nel merito, idonee ad incrinare il fondamento logico giuridico della decisione del tribunale. Non era invece richiesto che fossero evidenziati gli errori, attribuiti alla sentenza, con argomentazioni nuove rispetto a quelle svolte in primo grado a sostegno delle domande. La corte osservò inoltre che, essendo il giudizio iniziato prima dell'entrata in vigore del d.l. numero 35 del 2005, convertito in legge con la l. numero 80 del 2005, non era applicabile la novella dell'articolo 67 l. fall., introdotta dalla suddetta legge, stante la norma transitoria per la quale essa è applicabile solo alle azioni revocatorie proposte nell'ambito di procedure iniziate dopo l'entrata in vigore del decreto. 3. Nel merito, la corte ritenne che lo stato d'insolvenza della società datasse già dagli anni 1993 e 1994, come era dimostrato dai numerosi decreti ingiuntivi emessi a suo carico per il pagamento di corrispettivi dovuti ai fornitori e dai numerosi procedimenti esecutivi iniziati a seguito di precetto. Ai primi del 1996 l'insolvenza era talmente grave da interessare gli organi di stampa, che riferivano del mancato pagamento degli stipendi ai lavoratori dipendenti già dal dicembre 1995. La scientia decoctionis era dimostrata dagli elementi indicati dalla curatela, e specificamente da una lettera della società appellante in data 13 luglio 1995, corrispondente ai primi pagamenti oggetto di revocazione, contenente la comunicazione della volontà di sospendere la fornitura dei prodotti ordinati dalla D.B. fino al ricevimento di garanzie reali, collegata alla richiesta della debitrice di differimento della già concessa rateizzazione del debito, e dal successivo comportamento delle parti. 4. Per la cassazione di questa sentenza, notificata il 10 aprile 2006, ricorre la società soccombente, con atto notificato in data 8 giugno 2006, per tre motivi. Il fallimento resiste con controricorso notificato il 17 luglio 2006. Il procuratore domiciliatario è comparso all'udienza quale difensore del fallimento, in sostituzione dell'avvocato Farinacci, deceduto. Ragioni della decisione 5. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell'articolo 342 c.p.c Si censura il giudizio della corte di merito, che i motivi d'appello della curatela fossero specifici. Secondo la ricorrente, nell'atto d'appello la curatela aveva censurato solo genericamente la sentenza impugnata, senza specificare quali capi della stessa dovessero ritenersi erronei né per quali motivi, e si sarebbe limitata ad affermare che il giudice di prime cure avrebbe sottoposto ad una lettura superficiale la lettera 13 luglio 1995. Il giudice d'appello avrebbe dovuto limitare la sua indagine alla valutazione ed interpretazione di quella lettera senza estendere la sua indagine ai capi non espressamente impugnati dal fallimento. Si formula il quesito di diritto se, in osservanza della formulazione dell'articolo 342 c.p.c., e particolarmente anche in relazione all'espresso richiamo dell'articolo 163 c.p.c., affinché l'atto sia ammissibile l'appellante debba censurare specificamente i capi della sentenza impugnata motivando in fatto e in diritto le ragioni dell'impugnazione, individuandone l'oggetto e riproponendo altresì tutte le domande ed eccezioni già svolte nel giudizio di prime cure, non potendosi richiamare a quanto ivi già esposto negli atti e contrastando genericamente le statuizioni della cui pretesa erroneità si assume essere dipeso l'esito sfavorevole del precedente grado. 6. Il quesito prosegue con una generica interrogazione sul grado di specificità richiesto per i motivi, manifestamente inammissibile. Ma tale giudizio deve essere esteso a tutto il motivo che, pur essendo pletorico, è del tutto generico e non riesce a porre la questione che da sola dovrebbe decidere il punto in contestazione. È sufficiente al riguardo osservare che la curatela aveva impugnato la sentenza sull'unico capo in relazione al quale era stata decisa la sua soccombenza in primo grado, vale a dire la sussistenza della scientia decoctionis in capo alla società appellata al tempo dei pagamenti, e che aveva addotto a fondamento della sua critica gli stessi elementi già sottoposti all'esame del primo giudice e da questi valutati negativamente. L'unica questione che potesse farsi, in ordine alla sussistenza del requisito della specificità dei motivi era, pertanto, quello concernente la riproposizione delle ragioni esposte in primo grado, quale motivo per giungere ad una soluzione opposta a quella impugnata e, in definitiva, l'ammissibilità di una contrapposizione delle ragioni disattese dal giudice di primo grado e di quelle della sentenza gravata di appello. Su questo punto la soluzione della corte d'appello è stata conforme alla giurisprudenza di questa corte, che a sezioni unite ha affermato il principio di diritto - il solo pertinente alla fattispecie decisa - secondo il quale, ai fini della specificità dei motivi richiesta dall'articolo 342 c.p.c., l'esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell'appello, può sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, purché ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta di percepire con certezza il contenuto delle censure, con riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice Cass. Sez. unumero 25 novembre 2008 numero 28057 . 7. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell'articolo 67 r.d. 16 marzo 1942 numero 267, come novellato dal d.l. 14 marzo 2005 numero 35 convertito dalla legge 14 maggio 2005 numero 80 nonché dell'articolo 11 comma 1 disp. prel. c.c. Si sostiene che la novella dell'articolo 67 l. fall., avrebbe natura d'interpretazione autentica, come dovrebbe desumersi dal suo contenuto. In caso contrario si porrebbe una questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento tra procedure cominciate primo o dopo l'entrata in vigore del decreto numero 35 del 2005. 8. Il motivo è infondato. L'articolo 2, comma 2 del d.l. numero 35 del 2005 stabilisce che le disposizioni del comma 1, lettere a e b si applicano alle azioni revocatorie proposte nell'ambito delle procedure iniziate dopo la data di entrata in vigore del decreto medesimo. La citata disposizione, che sancisce la chiara volontà del legislatore di riaffermare la regola contenuta nell'articolo 11 comma 1 c.c., per il quale la legge non dispone che per l'avvenire, vanifica ogni tentativo di qualificare come interpretativa la novella dell'articolo 67 l. fall., conformi Cass. 8 marzo 2007 numero 5346, 7 ottobre 2010 numero 20834 . Manifestamente infondata è poi la questione di legittimità costituzionale della disciplina transitoria, che non ha reso retroattiva la nuova disciplina delle azioni revocatorie. È principio consolidato che le modifiche della disciplina sostanziale nel corso del tempo non configurano alcuna ingiustificata disparità di trattamento di situazioni identiche, ma rispecchiano piuttosto la diversa qualificazione degli atti, nel tempo, da parte del legislatore, il quale, nel dettare una nuova regola, attinente agli effetti di un atto, non travolge quelli prodotti in base alla normativa precedente e tanto vale ad escludere la denunciata violazione dell'articolo 3 della Costituzione conf. Cass. 5 marzo 2008 numero 5962 . 9. Con il terzo motivo si denunciano, cumulativamente, la violazione dell'articolo 67 r.d. 16 marzo 1942 numero 267 anche in relazione all'articolo 5 dello stesso decreto con riferimento all'articolo 360 primo comma numero 3 c.p.c., e i vizi di motivazione su fatti controversi decisivi per il giudizio con riferimento all'articolo 360 primo comma numero 5 c.p.c 10. L'inammissibilità che discende da un simile cumulo di mezzi eterogenei - giacché il vizio di motivazione, mettendo in discussione la ricostruzione del fatto, non consente di delineare la violazione della norma di diritto, che è configurabile solo in relazione alla fattispecie come accertata dal giudice di merito nei suoi elementi di fatto cfr., per l'inammissibilità del motivo in questi casi, Cass. 29 febbraio 2008 numero 5471, 11 aprile 2008 numero 9470, 23 settembre 2011 numero 19443 , sarebbe nella fattispecie superabile con il rilievo che l'esposizione è divisa in due parti, la prima delle quali, sebbene si concluda con l'esposizione di un quesito di diritto , si risolve in censure alle va-lutazioni che hanno indotto il giudice d'appello ad affermare la sussistenza dei presupposti per la richiesta revoca dei pagamenti, e mostra di collegarsi in tal modo ai vizi di motivazione enunciati in rubrica. Il cosiddetto quesito di diritto, infatti è costituito da un insieme di domande attinenti sostanzialmente agli accertamenti di merito della corte territoriale, e non propone alcuna questione di diritto. Lo stesso quesito , peraltro, non assolve, nel suo contenuto, neppure alla funzione di quella sintesi, che circoscriva puntualmente i limiti del motivo, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, che l'articolo 366 bis c.p.c., applicabile nella fattispecie ratione temporis, richiede a pena d'inammissibilità Sez. unumero 1 ottobre 2007 numero 20603 . La censura di vizi di motivazione è pertanto inammissibile. 10.1. La seconda parte del motivo, che pare destinata ad ospitare l'esposizione della denunciata violazione di norme di diritto, si conclude con un quesito di diritto così formulato se sia revocabile il pagamento effettuato dal terzo pignorato in osservanza del provvedimento giurisdizionale di assegnazione del giudice dell'esecuzione, tenuto conto che in tale fattispecie si realizza una cessione coattiva in base alla quale il credito è di proprietà del creditore procedente. 11. Il motivo si fonda sulla premessa di fatto, che l'ultimo - in ordine di tempo - dei pagamenti ricevuti dalla società ricorrente sarebbe stato costituito dall'assegnazione da parte del giudice dell'esecuzione di un credito pignorato dalla società medesima presso la debitrice della società successivamente fallita. Si tratta di un punto di fatto che non risulta dall'impugnata sentenza, nella quale, del resto, non v'è traccia della discussione sulla revocabilità di questo tipo di pagamenti. Il motivo è pertanto inammissibile, riferendosi ad una questione che non risulta essere stata discussa, né nelle sue premesse di fatto né nei suoi risvolti giuridici, davanti al giudice di merito. 12. In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 2.500,00 per onorari, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.