In tema di cessazione degli effetti civili del matrimonio, è legittimo valutare, peraltro anche in via deduttiva-presuntiva, l’esistenza, o meno, del diritto all’assegno divorzile sulla base di documenti depositati tardivamente e che il giudice di rinvio può acquisire , a condizione che sui medesimi si sia instaurato pieno e completo contraddittorio.
Il presupposto «eziologico» per l’attribuzione dell’assegno di divorzio è, infatti, l’inadeguatezza dei mezzi economici o l’impossibilità oggettiva di procurarseli, in relazione al tenore di vita o alle aspettative maturate durante il matrimonio. Il caso. A seguito di un procedimento di separazione personale tra coniugi, veniva riconosciuto, a favore della donna, il diritto al mantenimento con assegno mensile da rivalutare annualmente. Successivamente, lui adiva il medesimo tribunale che assegnava alle parti determinati termini distintamente per il deposito di memorie e documenti, per repliche e per l’audizione delle parti. All’udienza, lui produceva due atti pubblici relativi a compravendite immobiliari stipulati dopo il termine fissato per il deposito di memorie e documenti e la copia dell’elenco degli iscritti all’albo degli avvocati in cui la controparte, titolare di pensione da dipendente pubblico dall’età di 51 anni, risultava recentemente iscritta anche se risultava non avere uno studio ed una partita iva, non avere rilasciato fatturazioni e non avere comunicato redditi professionali nelle dichiarazioni fiscali e previdenziali e la quale prontamente eccepiva il deposito dei medesimi atti come inammissibile. Lei, utilizzando il ricavato della vendita di altro immobile, alcune somme del t.f.r. e prestiti di familiari, acquistava, peraltro, l’appartamento già abitato in regime di locazione e durante il matrimonio. Quindi, in accoglimento della domanda dell’uomo, il giudice dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio e l’esclusione dell’obbligo di corrispondere l’assegno di divorzio. Ammissibile la produzione di documenti oltre il termine? Il caso, già esaminato favorevolmente all’uomo dalla Corte di Appello di Roma numero 1197/2002 ed in sede di rinvio 05-09-2007 numero 3524 e favorevolmente alla donna dalla Cassazione sez. I civ. numero 11319/2005 , verte in tema di separazione giudiziale dei coniugi, assegno divorzile, acquisizione ed ammissibilità dei mezzi di prova, contraddittorio, giudizio di rinvio. Nella fattispecie, bisogna stabilire se sia ammissibile o meno la produzione di documenti oltre il termine, se il giudice del rinvio possa o meno acquisire documenti il cui deposito, in sede di merito, sia stato valutato tardivo con annullamento della sentenza in fase di legittimità. Segnatamente, è necessario focalizzare sulla genesi del diritto ad hoc e, quindi, valutare se il giudice di merito avrebbe dovuto rinviare l’udienza camerale e/o se avrebbe dovuto motivare il rigetto dell’eccezione d’inammissibilità della produzione documentale. Diritto di difesa e principio del contraddittorio esigenze irrinunciabili. In linea generale, in ossequio ai principi costituzionali del diritto di difesa articolo 24 Cost. e del contraddittorio articolo 111 Cost. , nessuno può subire gli effetti di una sentenza, senza avere avuto la possibilità di essere parte del processo da cui la stessa proviene ossia senza aver avuto la possibilità di un’effettiva partecipazione alla formazione del provvedimento giurisdizionale ciascuna parte deve, cioè, essere messa in condizione di conoscere ogni richiesta e deduzione dell'altra parte e di formulare le proprie osservazioni in proposito, come concesso alla parte attrice audiatur et altera pars . Può, così, ritenersi configurabile la violazione del principio del contraddittorio quando il diniego di assegno divorzile sia stato fondato su fatti nuovi e tempestivamente oggetto di eccezione d’inammissibilità dalla controparte il contraddittorio costituisce, infatti, esigenza procedimentale fondamentale ed irrinunciabile. Tuttavia, è da precisare che, nel rito camerale in appello, l’acquisizione dei mezzi di prova è ammissibile sino all’udienza di discussione in camera di consiglio purché si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio. Indagine patrimoniale e valutazioni processuali tra fase di merito e giudizio di rinvio. In primis , va ricordato che il concetto di sostanze non va identificato con quello di reddito, in quanto il primo, in tema di consistenza patrimoniale, si riferisce genericamente alla situazione patrimoniale, alle possibilità economiche del soggetto ed anche ai cespiti che non producono reddito l’indagine, quindi, deve riguardare non soltanto il reddito netto ma anche tutti gli elementi di carattere patrimoniale idonei ad offrire una visione esatta delle effettive possibilità dell’obbligato, compresa ogni utilità o capacità dei coniugi suscettibile di valutazione economica Cass. numero 12121/2004 , tenendo altresì conto delle elargizioni da parte di familiari durante il matrimonio e protrattisi regolarmente e continuamente in regime di separazione. In particolare, in sede di merito, il magistrato è chiamato a verificare l’esistenza del diritto all’assegno divorzile e, cioè, la disponibilità, o meno, da parte del coniuge richiedente, di mezzi adeguati, atti a conservare il medesimo tenore di vita goduto nel corso del matrimonio Cass., sez. I, sent. numero 20582/2010 o la possibilità, o meno, di procurarseli per ragioni oggettive, comparando il tenore, attuale, di vita con quello goduto durante il coniugio o atteso. In altri termini, va effettuato un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale, attuale e precedente, tenendo conto dei miglioramenti finanziari anche successivi alla cessazione della convivenza, purché costituenti sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio dell’onerato. In sede di rinvio, poi, l’allegazione di documenti è possibile anche oltre i termini all’uopo fissati, a condizione che sia rispettato il diritto della controparte ad interloquire sulla tardiva produzione documentale Cass., sez. I, numero 8547/2003 . Ammissibile l’acquisizione di documenti depositati tardivamente per valutare, ed escludere, il diritto all’assegno divorzile. Non va riconosciuto l’assegno divorzile alla parte richiedente se, valutata tra l’altro la sua residua capacità lavorativa, sia possibile dedurre che la stessa disponga autonomamente di mezzi economici che le garantiscano, di conservare sostanzialmente, lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Peraltro, tale valutazione di merito è insindacabile in sede di legittimità. Ergo , non vi è violazione degli articolo 737, 738, 742 bis e 394 c.p.c
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 15 dicembre 2011 – 13 aprile 2012, numero 5876 Presidente Forte – Relatore Bisogni Svolgimento del processo Il Tribunale di Roma pronunciava la separazione personale di G.E. e T.M C. dichiarando il diritto della G. a percepire un assegno mensile di mantenimento di 500 Euro mensili da rivalutarsi annualmente. Successivamente il C. adiva il Tribunale di Roma per ottenere la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio e l'esclusione dell'obbligo di corrispondere un assegno di divorzio. Sull'opposizione della G. quest'ultima richiesta il Tribunale di Roma accoglieva interamente la domanda del C. . La Corte di appello adita dalla G. ha confermato la sentenza di primo grado. La Corte di Cassazione Cass. civ. numero 11319/2005, I sezione, del 27 maggio 2005 ha accolto il ricorso della G. ritenendo fondata la sua doglianza relativa alla violazione del contraddittorio verificatosi ai suoi danni. La Corte di Cassazione nella sentenza ha rilevato quanto segue. Dall'esame degli atti relativi al procedimento d'appello, svoltosi secondo il rito camerale, ai sensi dell'articolo 4, dodicesimo comma, della legge numero 898 del 1970, emerge che, con il decreto presidenziale, erano stati assegnati alle parti i termini del 12 giugno 2001 per il deposito di memorie e documenti, e del 23 ottobre 2001 per repliche, e che era stata fissata al 29 novembre 2001 l'udienza, in Camera di consiglio, per l'audizione delle parti stesse e la discussione del ricorso. Dal verbale relativo a tale udienza camerale risulta che erano presenti entrambi i procuratori delle parti medesime, che nell'interesse del C. vennero in effetti prodotti i due atti pubblici relativi alle compravendite immobiliari, stipulati rispettivamente nelle date del 5/7/2001 e del 19/7/2001, e, quindi, dopo la scadenza dei termini concessi per il deposito documentale, nonché la copia dell'elenco degli iscritti all'Albo degli avvocati di Roma, recante pure il nominativo della G. , atti tutti espressamente richiamati a fondamento della sentenza impugnata. Dallo stesso verbale di udienza risulta anche che l'avv.to Argenti, procuratore della G. , in relazione a dette produzioni si è cosi espresso . si oppone alla tardiva produzione inammissibile e improponibile in questa sede e pertanto ne chiede lo stralcio . In relazione ad analoga fattispecie - ha rilevato questa Corte di legittimità - seppure concernente il procedimento separatizio soggetto al medesimo rito, procedimento nel quale il deposito documentale era del pari avvenuto dopo la scadenza del termine assegnato dal Presidente del Collegio, è stato affermato il principio secondo cui nel rito camerale in appello l'acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, è ammissibile sino all'udienza di discussione in camera di consiglio, sempre che sulla produzione si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio, che costituisce esigenza irrinunciabile anche nei procedimenti in discorso Cass. 2003/8547 . Richiamato tale condiviso orientamento, occorre concludere che nella specie è stato violato il principio del contraddittorio, essendo stato il diniego di assegno divorzile espressamente fondato su fatti nuovi evidenziati dal C. mediante il deposito di documenti oltre il termine all'uopo assegnato dal giudice, in presenza di tempestiva eccezione d'inammissibilità della produzione tardiva svolta dalla difesa della G. , e ciò senza che all'udienza camerale lo stesso giudice avesse in proposito consentito l'esplicarsi del contraddittorio mediante il rinvio dell'udienza medesima, e senza che nella sentenza impugnata venissero esplicitate le ragioni di rigetto della eccezione d'inammissibilità della produzione, relativa anche a circostanza non sopravvenuta, quale la pregressa iscrizione della G. stessa all'Albo degli Avvocati, per effetto della mancata mancata di un rinvio dell'udienza nonostante l'eccezione di tardività della produzione documentale effettuata dal C T.M C. ha riassunto il giudizio davanti alla Corte di appello di Roma che, con sentenza numero 3524/07, ha respinto l'appello di E G. avverso la sentenza di primo grado. Ricorre ora per cassazione E G. affidandosi a quattro motivi di impugnazione e depositando memoria difensiva. Si difende con controricorso C.T.M. . Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 4 della legge numero 898/1970, come sostituito dall'articolo 8 della legge numero 74/1987, e degli articolo 737, 738, 742 bis c.p.c., violazione degli articolo 384 e 394 c.p.c. articolo 360 numero 3 c.p.c. . La ricorrente pone alla Corte i seguenti quesiti di diritto a se nel rito camerale previsto dall'articolo 4 comma 12 della legge 1 dicembre 1970 numero 898, come sostituito dall'articolo 8 della legge 6 marzo 1987 numero 74, il principio secondo cui l'acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, è ammissibile sino all'udienza di discussione in camera di consiglio, sempre che sulla produzione si sia instaurato un pieno e completo contraddittorio, non opera laddove vi sia stata un'espressa assegnazione di un doppio termine di cui il primo per il deposito di documenti ed articolazione di prove ed il secondo per repliche, vanificandosi altrimenti il carattere di essenzialità dei termini medesimi che finirebbero per essere superflui assumendo un valore meramente indicativo e, come tale, privo di significato. b Se, costituendo il giudizio di rinvio un giudizio chiuso , nel quale il giudice deve limitarsi ad applicare il dictum della Cassazione, viola l'articolo 394 c.p.c. il giudice del rinvio che dispone l'acquisizione di documenti oggetto di deposito tardivo sui quali si sia fondata la sentenza cassata e la cui tardività sia stata espressamente riconosciuta nel giudizio di legittimità conclusosi con la cassazione della sentenza stessa. Il motivo deve ritenersi infondato in quanto, come correttamente ha ribadito la Corte di appello, nel rito camerale di cui all'articolo 4 comma 12 della legge numero 898/1970 l'allegazione di documenti può eseguirsi anche oltre i termini fissati a tal fine ma a condizione che sia rispettato il diritto dell'altra parte a interloquire sulla tardiva produzione documentale cfr. Cass. civ., sezione I, numero 8547 del 28 maggio 2003 secondo cui, nel rito camerale in appello, l'acquisizione dei mezzi di prova, e segnatamente dei documenti, è ammissibile sino all'udienza di discussione in camera di consiglio, sempre che sulla produzione si possa considerare instaurato un pieno e completo contraddittorio, che costituisce esigenza irrinunciabile anche nei procedimenti in discorso . Questa è stata, come si è detto, la ragione della cassazione della precedente sentenza numero 1197/2002 della Corte di appello di Roma da parte della Corte di Cassazione Cass. civ. numero 11319/2005 sopra richiamata che ha ritenuto la nullità, per violazione del principio del contraddittorio, della sentenza d'appello, essendo stato il diniego di assegno divorzile espressamente fondato su fatti nuovi evidenziati dal coniuge mediante il deposito di documenti oltre il termine all'uopo assegnato dal giudice, in presenza di tempestiva eccezione di inammissibilità della produzione tardiva svolta dalla difesa dell'altro coniuge, e ciò senza che all'udienza camerale lo stesso giudice avesse in proposito consentito l'esplicarsi del contraddittorio mediante il rinvio dell'udienza medesima. La doglianza della ricorrente relativa alla acquisizione di nuovi documenti nel giudizio di rinvio è perciò da ritenersi infondata. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 5 della legge numero 898/1970, e successive modificazioni e degli articolo 115, 116 c.p.c. articolo 360 numero 3 c.p.c. . Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360 numero 5 c.p.c. . La ricorrente sottopone alla Corte i seguenti quesiti di diritto a se la sola iscrizione ad un albo professionale può dar luogo a una presunzione di esercizio della relativa attività in mancanza di ulteriori elementi idonei ad evidenziare l'esercizio medesimo e la percezione di un reddito b se costituisce idonea prova, atta a vincere l'eventuale presunzione di esercizio di attività professionale derivante dall'iscrizione al relativo albo, la contemporanea sussistenza di elementi idonei ciascuno a denotare il mancato svolgimento dell'attività in questione, quali l'assenza di redditi professionali nelle dichiarazioni fiscali e previdenziali, la mancanza di partita IVA e di fatturazioni, la mancanza di uno studio, la data recente di iscrizione all'albo e il precedente svolgimento di un'attività non professionale di pubblico dipendente. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione, sotto ulteriore profilo, dell'articolo 5 della legge numero 898/1970 e successive modificazioni e degli articolo 115, 116 c.p.c., articolo 360 numero 3 c.p.c . Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio articolo 360 numero 5 c.p.c. . La ricorrente sottopone alla Corte il seguente quesito di diritto se l'acquisto, dopo la cessazione del matrimonio, da parte del coniuge titolare unicamente di pensione di dipendente pubblico, dell'appartamento già abitato in regime di locazione e in costanza di matrimonio, acquisto realizzato con utilizzo del ricavato della vendita di altro appartamento, delle somme percepite a trattamento di fine rapporto e con il ricorso a prestiti dei familiari, costituisca elemento non idoneo a escludere la concessione dell'assegno divorzile in presenza di notevole disparità economica tra i coniugi sussistente già in costanza di matrimonio. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione, sotto ulteriore profilo, dell'articolo 5 della legge numero 898/1970 e successive modificazioni articolo 360 numero 3 c.p.c. . La ricorrente sottopone alla Corte i seguenti quesito di diritto a se la notevole disparità economica tra i coniugi sussistente in costanza di matrimonio, costituisca elemento idoneo ad ingenerare oggettivamente nel coniuge economicamente più debole ragionevoli aspettative in ordine a un tenore di vita adeguato ai redditi dell'altro coniuge. b se la notevole disparità economica tra i coniugi sussistente in costanza di matrimonio, ed incrementatasi progressivamente dopo la cessazione dello stesso, determini l'oggettiva impossibilità per il coniuge economicamente più debole di mantenere un tenore di vita analogo a quello sussistente durante il matrimonio ed a quello che si sarebbe potuto tenere in base alle legittime e ragionevoli aspettative. I tre motivi sin qui riportati vanno esaminati congiuntamente essendo palesemente incentrati sulla stessa doglianza ovvero sulla censura di infondatezza del giudizio di insussistenza del diritto della G. all'assegno divorzile. Si tratta sostanzialmente di una censura che investe il merito della controversia e che la ricorrente vuole riportare alla violazione di principi trascendenti il caso concreto, specificamente con i quesiti relativi al quarto motivo. Ma sul punto la motivazione della Corte di appello ha fatto correttamente riferimento alla giurisprudenza di legittimità secondo cui il giudice del merito è chiamato a verificare la disponibilità o meno da parte del coniuge richiedente di mezzi atti a conservare il tenore di vita goduto nel corso del matrimonio. Si veda in particolare quanto affermato da Cass. civ., sez. I, numero 20582 del 4 ottobre 2010 secondo cui, in tema di scioglimento del matrimonio e nella disciplina dettata dall'articolo 5 della legge 1 dicembre 1970, numero 898, come modificato dall'articolo 10 della legge 6 marzo 1987, numero 74, il giudice, chiamato a decidere sull'attribuzione dell'assegno di divorzio, è tenuto a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza - all'atto della decisione - dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio dunque, è la nozione di adeguatezza a postulare un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all'epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell'onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio. La Corte di appello si è attenuta a questa metodologia in quanto ha preso in considerazione la fruizione di un reddito pensionistico da parte della G. a partire dall'età di 51 anni e la sua residua capacità lavorativa dimostrata almeno presuntivamente dall'iscrizione all'albo degli avvocati nonché la disponibilità di mezzi finanziari derivante solo in parte da vendite di beni immobili e tale da poterle consentire di acquistare l'abitazione dove ha risieduto nel corso del matrimonio. Da queste circostanze la Corte di appello ha tratto la convinzione che la G. dispone autonomamente di mezzi economici che le consentono di conservare sostanzialmente il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Si tratta di una valutazione di merito non sindacabile in questa sede neanche con riferimento alla esaustività o logicità della motivazione perché la Corte territoriale ha svolto con pienezza di argomentazioni l'esame del caso senza incorrere in contraddizioni logiche. Il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.200 di cui 200 per spese. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'articolo 52 del decreto legislativo numero 196/2003.