L'attore sceglie il rito camerale anziché il sommario di cognizione: mutamento possibile

Il mutamento di rito può essere pronunciato anche quando la parte ha introdotto nelle forme camerali una controversia che avrebbe dovuto essere trattata con il rito sommario di cognizione.

L’ordinanza numero 10658, emessa il 9 novembre 2011 dal Tribunale di Varese, si segnala, non soltanto perché applica le nuove norme in tema di riduzione e semplificazione dei riti di cui al d.lgs. 1° settembre 2011, numero 150, ma anche perché ha modo di esaminare alcuni aspetti della disciplina relativa al mutamento di rito prevista dall’articolo 4 di quel decreto legislativo. Il caso. Un cittadino italiano aveva chiesto il rilascio di un visto per il ricongiungimento familiare a favore di una minore nata in Sierra Leone e che gli era stata colà affidata con provvedimento del Ministero degli affari esteri. Senonché l’Ambasciata d’Italia di Abidjan nega il visto per il ricongiungimento familiare sostenendo che il provvedimento di affidamento non poteva venire in considerazione ai fini del visto dal momento che non era stata svolta la procedura prevista dall’articolo 67 della legge numero 218 del 1995 davanti alla Corte di appello. L’impugnazione del diniego secondo le forme previgenti. Ecco allora che la parte si duole del provvedimento di diniego e propone un ricorso al Tribunale di Varese, ma senza che quel ricorso contenga le indicazioni di cui all’articolo 163 c.p.c. e, in particolare, - osserva il Tribunale – senza che vi sia l’avvertimento di cui all’articolo 163 comma 3, numero 7. Secondo il Tribunale «il ricorrente ha introdotto la lite secondo la formula processuale previgente, che prescriveva di attingere al bacino del rito camerale ex articolo 737 c.p.c. e ss.». Ed infatti, secondo il testo previgente dell’articolo 30 del d.lgs. numero 286/1998 avverso il diniego del nulla osta al ricongiungimento per motivi familiari l’interessato poteva «può presentare ricorso al tribunale in composizione monocratica del luogo in cui risiede, il quale provvede, sentito l’interessato, nei modi di cui agli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile». Oggi, invece, in forza dell’articolo 20 d.lgs. numero 150/2011 si applica il rito sommario di cognizione e non più quel giudizio camerale che, incidendo su diritti soggettivi, aveva incontrato la critica di una parte autorevole della dottrina processuale. «Switch procedimentale», ovvero l’ordinanza di mutamento del rito Orbene, secondo il giudice del Tribunale di Varese la fattispecie sottoposta al suo esame determina l’applicazione dell’articolo 4 del d.lgs. numero 150/2010 e, cioè, della norma che disciplina il mutamento di rito o, come viene efficacemente chiamato nell’ordinanza «switch procedimentale» mutuando l’espressione dalla terminologia informatica . Opportunamente, però, il giudice si interroga sulla possibilità di applicare quella norma nel caso di specie. Ed infatti, la norma contenuta nell’articolo 4, nel prevedere al suo primo comma che «quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza» potrebbe prestarsi a due interpretazioni. Secondo una prima interpretazione il mutamento del rito sarebbe possibile soltanto quando l’attore abbia introdotto una controversia secondo uno schema procedimentale diverso da quello previsto dal decreto legislativo e, quindi, rito del lavoro, sommario di cognizione o rito ordinario . Secondo una seconda interpretazione, invece, il mutamento di rito può essere pronunciato non soltanto tra riti tipizzati, ma anche quando la parte ha introdotto nelle forme camerali una controversia che avrebbe dovuto essere trattata con il rito sommario di cognizione. Il Tribunale di Varese decide di aderire a questa seconda interpretazione che è l’unica tra le due che, quando l’atto compiuto in base al rito «sbagliato» dovrebbe essere dichiarato nullo secondo le norme del rito «corretto», non ha come effetto quello di chiudere in rito il processo. E ciò in coerenza con i principi dell’ordinamento secondo cui esso “tende a conservare gli atti giudiziali finché è possibile attribuirgli effetti giuridici e nei limiti in cui siano idonei a raggiungere lo scopo loro affidato. Essa salvaguarda, dunque, il «principio fondamentale degli Autori classici secondo cui il processo deve tendere ad una sentenza di merito» Corte cost. 77/2007 ”. non oltre la prima udienza. Ecco allora che una volta deciso che il rito prescelto è errato, il giudice si pone il problema del quando possa assumere i provvedimenti relativi al mutamento del rito. Il Tribunale di Varese afferma, anche per ragioni di economia processuale, che, dal momento che «l’ordinanza di conversione del rito può essere pronunciata anche d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza essa, pertanto, può essere pronunciata anche prima della prima udienza stessa, dopo l’instaurazione del processo che, nel modulo processuale introdotto dal ricorso, coincide con il deposito dello stesso». Ecco allora che il giudice – che in base alla sequenza procedimentale attivata dal deposito del ricorso avrebbe dovuto fissare la data di udienza – oltre a fissare la data di udienza, dispone il mutamento del rito e onera «il ricorrente di integrare l’atto introduttivo con le omissioni rilevate che lo rendono inidoneo a conformarsi al modello processuale applicabile ovvero a depositare altro atto giudiziale introduttivo in riedizione, con emenda dei vizi nell’uno e nell’altro caso, il ricorrente avrà l’onere di notificare alla parte resistente, l’atto iniziale originario, il decreto del giudice e l’integrazione/sanatoria».

Tribunale di Varese, sez. I Civile, ordinanza 9 10 novembre 2011 numero 10658 Giudice Buffone Ordinanza Con ricorso depositato in Cancelleria in data 8 novembre 2011, il ricorrente cittadino italiano dal 2008 , con l’assistenza dell’Avv. , impugna il provvedimento emesso in data 26 agosto 2011, dalla Ambasciata d’Italia di Abidjan, di diniego del rilascio del visto per il ricongiungimento familiare in favore della minore affidata al ricorrente, . nata in Sierra Leone il 2004. Deduce di avere conosciuto la minore insieme alla sig.ra , sua moglie, in occasione di un viaggio a Serra Leone, incontro dante causa di un affidamento da parte del Ministero degli Affari sociali in loco, emesso in data 25 febbraio 2011. Affidamento che la resistente non ha ritenuto valido ai fini del visto, trattandosi di provvedimento per cui necessaria la valutazione ex articolo 67 l 218/1995 della Corte di Appello competente v. provvedimento del 26 agosto 2011 . Il ricorso è presentato secondo formule processuali erronee. Ai sensi dell’articolo 20, comma I, d.lgs. 1 settembre 2011 numero 150, è prevista l’applicazione del rito sommario di cognizione per le controversie previste dall’articolo 30, comma VI, del d.lgs. 286/1998 non modificato dal d.l. 89/11 , disposizione normativa dove oggi si legge “contro il diniego del nulla osta al ricongiungimento familiare e del permesso di soggiorno per motivi familiari, nonché contro gli altri provvedimenti dell'autorità amministrativa in materia di diritto all'unità familiare, l'interessato può adire l’autorità giudiziaria ordinaria”. In virtù della norma sopra richiamata, è, dunque, applicabile la disciplina di cui agli articolo 702-bis e ss. c.p.c., giusta gli articolo 3, 20, comma I, d.lgs. 150/2011 e, per l’effetto, la procedura del rito sommario di cognizione con esclusione dei commi II e III dell’articolo 702-ter c.p.c. v già sul punto Trib. Varese, sez. I civ., decreto 24 ottobre 2011 numero 10192 in www.guidaaldiritto.it . Ebbene, nel caso di specie, il ricorso è presentato senza le indicazioni di cui all’articolo 163 c.p.c. per quanto richiamato dall’articolo 702 bis c.p.c. e, soprattutto, senza l’avvertimento di cui all’articolo 163, comma III, numero 7 c.p.c., così potendosi ritenere che, in effetti, il ricorrente ha introdotto la lite secondo la formula processuale previgente, che prescriveva di attingere al bacino del rito camerale ex articolo 737 c.p.c. e ss. articolo 30, comma VI, d.lgs. 286/1998 nel testo anteriore alla modifica apportata dall’articolo 34 d.lgs. 150/2011 . Reputa questo giudice che, in ipotesi del genere, possa trovare applicazione l’articolo 4 del d.lgs. 150/2011. La disposizione legislativa, al comma I, prevede che “quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal decreto 150/2011, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza”. Una prima lettura superficiale dell’enunciato normativo potrebbe indurre a ritenere che il cd. switch procedimentale mutamento del rito possa trovare applicazione solo trai riti tipizzati come generali dal decreto 150 es. introduzione di una casa con il rito lavoro e conversione in rito sommario . Ne discenderebbe che, negli altri casi es. introduzione con rito camerale di un procedimento per cui previsto il rito sommario, come nel caso di specie dovrebbe trovare applicazione la disciplina in tema di ammissibilità dello strumento processuale o validità dell’atto giudiziale con esclusione, quindi, della possibilità di conversione es. dichiarando nullo il ricorso introduttivo del giudizio ex articolo 164 c.p.c. o per violazione dell’articolo 125 c.p.c., con i provvedimenti conseguenti . La ratio legis sottesa all’articolo 4, tuttavia, emergente in modo chiaro dai lavori parlamentari e dalla Relazione Illustrativa, depone nel senso di ritenere, invece, applicabile l’articolo 4 ad ogni caso in cui il rito scelto non sia quello previsto dalla Legge. In primo luogo, sembra chiara in tal senso la lettera dell’articolo 4 che discorre di “forme diverse” in generale, quindi estendendosi ad ogni modello processuale vigente nell’Ordinamento. In secondo luogo, l’interpretazione de qua è imposta da una lettura assiologica dell’enunciato normativo in esame. L’articolo 4 della legge delegata introduce, a ben vedere, una disciplina ad hoc per far fronte al caso della erronea introduzione di un processo affinché essa non determini, per ciò solo, l’arresto della macchina procedimentale, in quanto l’Ordinamento tende a conservare gli atti giudiziali finché è possibile attribuirgli effetti giuridici e nei limiti in cui siano idonei a raggiungere lo scopo loro affidato. Essa salvaguarda, dunque, il «principio fondamentale degli Autori classici secondo cui il processo deve tendere ad una sentenza di merito» v. Corte cost. 77/2007 . L’ordinanza di conversione del rito può essere pronunciata anche d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza essa, pertanto, può essere pronunciata anche prima della prima udienza stessa, dopo l’instaurazione del processo che, nel modulo processuale introdotto dal ricorso, coincide con il deposito dello stesso v. articolo 39, comma III, c.p.c. come modificato dall’articolo 45, comma III, lett. a legge 18 giugno 2009 numero 69 . Si reputa, quindi, opportuno disporla immediatamente per evidenti ragioni di economia processuale. L’articolo 4, comma I, del decreto 150/2011, pur regolando la conversione, non ne esplicita le modalità, soprattutto là dove come, nel caso di specie, l’atto presenti delle omissioni che non lo rendono conforme al modello introduttivo previsto dal processo applicabile. E’ chiaro che, in casi del genere, il giudice non può limitarsi a pronunciare la conversione ma, in analogia con quanto prescrive l’articolo 4, comma III, d.lgs. 150/2011, deve provvedere a disporre la integrazione degli atti per ripristinare l’architettura procedimentale applicabile. Nel caso in cui, come nell’ipotesi attuale sub iudice , il ricorso sia erroneamente presentato con il rito camerale, invece che con il rito sommario, il giudice, pronunziando la conversione, deve onerare il ricorrente di integrare l’atto introduttivo con le omissioni rilevate che lo rendono inidoneo a conformarsi al modello processuale applicabile ovvero a depositare altro atto giudiziale introduttivo in riedizione, con emenda dei vizi nell’uno e nell’altro caso, il ricorrente avrà l’onere di notificare alla parte resistente, l’atto iniziale originario, il decreto del giudice e l’integrazione/sanatoria. Nessun provvedimento va, invece, emesso quanto alla regolarizzazione fiscale degli atti, in quanto, giusta l’articolo 20, comma IV, d.lgs. 150/2011, gli atti del procedimento odierno “sono esenti da imposta di bollo e di registro e da ogni altra tassa”. P.Q.M. Letto e applicato l’articolo 4, comma I, d.lgs. 150/2011 Dispone il mutamento del rito, da camerale ex articolo 737 e ss c.p.c. a sommario di cognizione ex articolo 702-bis e ss. c.p.c., rito applicabile alla controversia in virtù gli articolo 20 decreto legislativo 1 settembre 2011 numero 150 e 30, comma VI, decreto legislativo 25 luglio 1998 numero 286. Per l’effetto, dispone che parte ricorrente provveda alla integrazione dell’atto introduttivo del giudizio o alla sua riedizione secondo il rito applicabile, con atto da depositare in Cancelleria entro e non oltre la data del 30 novembre 2011 Letti e applicati gli articolo 20 d.lgs. 150/11, 30 d.lgs. 286/1998, 702 bis c.p.c. FISSA l’udienza di comparizione delle parti in data 25 gennaio 2012 ore 9.00. L’udienza si terrà presso il Tribunale di Varese, P.zza Cacciatori delle Alpi numero 1, Piano Primo, stanza numero 102, Ufficio del Giudice dr. Giuseppe Buffone. INVITA la parte resistente a costituirsi entro e non oltre dieci giorni prima dell’udienza. DISPONE che, a cura di parte ricorrente, il ricorso originario, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza e all’atto di integrazione, sia notificato ai convenuti almeno trenta giorni prima della data fissata per la sua costituzione.