Sfogo verbale frutto della tensione tra due donne. Ma il termine utilizzato oggi ha acquisito una connotazione non più dispregiativa esso spesso identifica una persona eccentrica.
«Quella è matta!». Frase destinata oramai a non sconvolgere più nessuno. Perché passano i tempi, cambiano usi e costumi, e si evolvono anche linguaggio e relazioni sociali. Deve prenderne atto, suo malgrado, la donna che, additata come “pazza”, si è sentita offesa. Impossibile, quindi, parlare di diffamazione cade, perciò, ogni accusa nei confronti della persona che non è riuscita a tenere a freno la lingua Cassazione, sentenza numero 21021/2016, Sezione Quinta Penale, depositata oggi . Sfogo. Rapporti tesissimi tra due donne. Ne è una testimonianza il clamoroso sfogo verbale l’una, parlando con due persone, definisce «matta» l’altra. Per il Giudice di pace prima e per il Tribunale poi non vi sono dubbi è evidente la «diffamazione». Logica, quindi, la condanna della persona che ha fatto ricorso a un termine che, ad avviso dei giudici, è caratterizzato da una connotazione negativa. E difatti, secondo il ‘Vocabolario Treccani’, «matto» è identificativo di persona «stupida, stolta» e «che non possiede l’uso della ragione». Ma questa prospettiva va aggiornata, osservano ora i magistrati della Cassazione. Detto in parole povere, additare un soggetto come «matto» significa, oggi, identificarlo come “persona eccentrica ovvero irascibile”. E su questo fronte ancora il ‘Vocabolario Treccani’ parla di «matto» come «persona bizzarra, stravagante» o addirittura «spensieratamente allegra». Ci si trova di fronte, quindi, a definizioni «socialmente considerate accettabili», anche tenendo presente «l’uso», oggi sempre più ampio, di «un linguaggio meno corretto, più aggressivo e disinvolto», e sostanzialmente «accettato o tollerato dalla maggioranza dei cittadini». Inevitabile conseguenza è ritenere non offensivo definire “matto” un soggetto.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 aprile – 19 maggio 2016, numero 21021 Presidente Savani – Relatore Pistorelli 1.Con la sentenza impugnata il Tribunale di Belluno ha confermato. la condanna, anche agli effetti civili, di P.S. per il reato di diffamazione commesso ai danni di R.E.M 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputata a mezzo del proprio difensore articolando quattro motivi. Con il primo deduce violazione di legge in merito all'utilizzazione della querela quale termine di confronto ai fini della valutazione dell'intrinseca attendibilità della deposizione della persona offesa. Con il secondo la ricorrente lamenta invece l'errata applicazione della legge penale rilevando la sostanziale inoffensività dell'epiteto matta utilizzato dalla P. per indicare la persona offesa discorrendo con il fratello della stessa ed altra persona. Con il terzo motivo denunzia invece il mancato riconoscimento dell'esimente della provocazione e con il quarto quello della causa di non punibilità di cui all'articolo 131-bis c.p. 3. Con memoria trasmessa il 15 aprile 2016 il difensore della parte civile ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti. 2. In realtà infondato è il primo motivo atteso che dalla motivazione della sentenza impugnata non risulta che il giudice dell'appello abbia fondato la valutazione dell'attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa in relazione alla loro coerenza con quanto esposto dalla stessa in querela. 3. Coglie invece nel segno il secondo motivo, al cui accoglimento consegue l'assorbimento delle doglianze avanzate con i residui motivi di ricorso. Al fine dell'accertamento dell'idoneità dell'espressione utilizzata a ledere il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 595 c.p., occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell'offeso e dell'offensore nonché al contesto nel quale detta espressione sia pronunciata nel contempo è necessario considerare che l'uso di un linguaggio meno corretto, più aggressivo e disinvolto di quello in uso in precedenza è accettato o sopportato dalla maggioranza dei cittadini determinando un mutamento della sensibilità e della coscienza sociale. Principi questi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte e di cui il giudice dei merito non ha tenuto conto, sostanzialmente ancorando la valutazione dell'offensività della condotta al mero significato lessicale dei termine matta , per di più astraendolo dal contesto della frase in cui è stato pronunziato che evidenzia invece la sua inidoneità a ledere la reputazione della persona offesa, non riflettendo l'intenzione di formulare un effettivo giudizio di disvalore della medesima, quanto piuttosto fare riferimento a quei significati che il suddetto termine è venuto assumendo n nel linguaggio comune come sinonimo di persona eccentrica ovvero irascibile e similaria e che sono socialmente considerati accettabili. 4. Conseguentemente la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.