Il condono si applica sul cumulo materiale o giuridico delle pene?

Nel caso di concorso di più reati, l’indulto deve essere applicato, ai sensi dell’articolo 174 c.p., sul cumulo materiale e non su quello giuridico previsto dall’articolo 78 c.p. relativo ai limiti degli aumenti di pena derivanti dalla somma matematica il quale opera solo successivamente.

Questo il principio di diritto affermato dalla Prima sezione Penale della Corte di Cassazione, nella sentenza numero 599, depositata l’11 gennaio 2016 che, sempre in materia di continuazione opera preziose indicazioni con riguardo al computo, nella rideterminazione della pena da eseguire, della custodia cautelare sofferta e alle pene espiate sine titulo . Sull’applicazione dell’indulto la tesi difensiva. Il ricorrente, per il tramite del suo difensore, ricorreva in Cassazione deducendo la violazione di legge in relazione all’applicazione dell’indulto previsto dalla legge numero 241/2006, nella misura di tre anni di reclusione, sulla maggior pena risultante dal cumulo materiale. Secondo la tesi difensiva, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto applicare il condono sulla pena determinata per effetto del cumulo dopo l’applicazione del criterio moderatore previsto dall’articolo 78 c.p., per il quale la pena da applicare, nel caso di concorso di reati, non può essere superiore al quintuplo della più grave. Gli orientamenti in Cassazione. Qualche pronuncia, allineandosi al percorso interpretativo seguito dal ricorrente, ha ritenuto che in tema di pene concorrenti, inflitte con plurime sentenze di condanna, l’indulto non può essere imputato a una singola pena prima che si proceda al cumulo materiale, ma si applica una sola volta “dopo” la formazione del cumulo, nell’ambito del quale va individuata la più grave delle pene concorrenti, da assumere a base di calcolo per la determinazione del limite moderatore del quintuplo ex articolo 78 c.p. Sez. I, numero 8115/2010 . Tuttavia la posizione di legittimità prevalente ritiene che in tema di indulto la regola stabilita dall’articolo 174, comma 2, c.p. – secondo la quale, nel concorso di reati, l’indulto si applica una sola volta, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso di reati – implica che la detrazione conseguente all’applicazione del beneficio deve necessariamente incidere sul cumulo unitariamente considerato e irradiare la sua efficacia su ognuna delle pene concorrenti alle quali esso sia applicabile. Pertanto, il giudice dell’esecuzione, al fine di determinare la pena da eseguirsi effettivamente nei confronti di un soggetto in relazione al quale siano in esecuzione più titoli esecutivi di pene temporanee detentive concorrenti non esclusi dal provvedimento di clemenza, deve prima scorporare dal cumulo materiale di dette pene le somme delle pene estinguibili per effetto dell’indulto e quindi non più concretamente estinguibili per effetto dell’intervenuta causa estintiva e solo successivamente applicare il criterio moderatore del cumulo giuridico, operando tale ultimo criterio come temperamento legale dell’insieme delle pene da eseguirsi concretamente, senza possibilità di inclusione in esse delle pene coperte dall’indulto. Diversamente opinando, queste ultime finirebbero per godere verosimilmente di un duplice abbattimento, fruendo prima del criterio moderatore di cui all’articolo 78 c.p. e poi del provvedimento indulgenziale sez. I, numero 49622/2009 nnumero 8552 e 32017 del 2013 nnumero 21352 e 32955 del 2008 . La soluzione scelta. In quest’ultima direzione ermeneutica va la sentenza in commento per la quale costituisce orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui il condono si applica al cumulo materiale delle pene e solo successivamente è possibile applicare il parametro moderatore dell’articolo 78 c.p La Suprema Corte aggiunge che il principio dell’articolo 174 c.p. opera solo alla condizione che tutte le pene siano condonabili, per cui, ove tale condizione non ricorra, bisogna separare le pene condonabili da quelle non condonabili e, quindi, unificare queste ultime con la parte delle prime che sia eventualmente residuata dopo l’applicazione del beneficio indulgenziale e, infine, se del caso, operare la riduzione prevista dall’articolo 78 c.p Continuazione e rideterminazione della pena da eseguire. Altro aspetto di estremo interesse della sentenza è quello relativo alla seguente problematica il riconoscimento della continuazione tra più reati in fase esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale comporta che la differenza così formatasi sia automaticamente imputata alla detenzione da eseguire? La risposta della Suprema Corte è negativa in quanto opera anche in questo caso l’articolo 657, comma 4, c.p.p., secondo cui vanno computate solo la custodia cautelare sofferta e pene espiate sine titulo dopo la commissione del reato, dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato con le singole violazioni che lo compongono sez. I, numero 8109/2010 nnumero 38400 e 21586 del 2009 in sostanza essendo la continuazione una fictio iuris , essa non impedisce l’applicazione dell’articolo 657, comma 4, previo scioglimento della continuazione. Anche sotto tale aspetto, dunque, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 25 novembre 2015 – 11 gennaio 2016, numero 599 Presidente Vecchio – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con ordinanza emessa il 29/09/2014 la Corte di assise di appello Palermo, quale giudice dell'esecuzione, in accoglimento delle richieste di unificazione di pene concorrenti presentate dalla Procura generale presso la Corte di appello di Palermo, in relazione ai procedimenti riuniti numero 2014/SIGE e numero 2014/21 SIGE, adottava le seguenti determinazioni esecutive riduceva la pena accessoria dell'interdizione legale già irrogata a G.D. in quella dell'interdizione leale durante l'esecuzione della pena revocava l'indulto concesso ai sensi del d.P.R. 22 dicembre 1990, numero 394 dalla Corte di appello di Palermo con ordinanza emessa il 16/04/1993, con riguardo alla maggior pena irrogata al D. con sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo il 24/09/1991, divenuta irrevocabile il 18/06/1992 applicava allo stesso D. l'indulto previsto dalla legge 31 luglio 2006, numero 241, nella misura di anni tre di reclusione e 10.000,00 euro di multa, sulla maggior pena risultante dal cumulo materiale dei 25/02/2014, in esso non considerate le condanne riportate per i reati di cui agli articolo 416 bis e 648 bis cod. penumero Venivano, invece, rigettate le istanze formulate dal difensore di G.D., finalizzate a ottenere il riconoscimento della custodia cautelare già sofferta per i periodi compresi tra il 1983 e il 1988 compiutamente indicati nelle istanze medesime e il riconoscimento del beneficio della liberazione anticipata già concessa dal Tribunale di sorveglianza di Napoli con ordinanza del 18/06/1993. Tale provvedimento veniva adottato sul presupposto della sostituzione della pena dell'ergastolo con quella di anni trenta di reclusione stabilita dalla Corte di cassazione con sentenza dei 10/01/2014 - con riferimento alla sentenza di condanna irrevocabile emessa dalla Corte di assise di appello di Palermo il 20/11/2013 - alla quale conseguiva la rideterminazione complessiva della pena da espiare effettuata dalla Procura generale presso la Corte di appello di Palermo. 2. Avverso questa ordinanza il D., a mezzo del suo difensore, ricorreva per cassazione, deducendo due motivi di ricorso. Con il primo motivo di ricorso, si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione al, mancato riconoscimento del periodo di liberazione anticipata già concesso, riguardante un periodo di detenzione antecedente all'inizio della carcerazione trentennale. Tale periodo di detenzione, in particolare, decorreva a partire dal 30/01/1992 e riguardava il reato più grave tra quelli contestati al D., commesso l'01/06/1989. Con il secondo motivo di ricorso, si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all'applicazione dell'indulto previsto dalla legge numero 241 del 2006, nella misura di anni tre di reclusione, sulla maggior pena risultante dal cumulo materiale del 25/02/2014. Si deduceva, in particolare, che il giudice dell'esecuzione, senza esplicitarne le ragioni argomentative, aveva erroneamente applicato al D. l'indulto nella misura triennale sopra richiamata, Queste ragioni processuali imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. li ricorso è infondato. Deve, in proposito, rilevarsi che il beneficio penitenziario della liberazione anticipata speciale richiamato dai ricorrente era stato concesso dal Tribunale di sorveglianza di Napoli per i periodi carcerazione riguardanti le frazioni temporali comprese tra il 14/01/1983 e il 17/07/1985, tra il 09/11/1985 e il 09/04/1986 e tra il 10/12/1987 e il 15/12/1988, che precedevano la commissione dei reati in relazione ai quali il D. chiedeva il computo della custodia cautelare precedentemente sofferta. Nel caso di specie, dunque, non si verificava alcuna sovrapposizione dei beneficio della liberazione anticipata di cui all'articolo 54 Ord. Penumero , così come richiamato dal ricorrente, con il limite previsto dall'articolo 657, comma 4, cod. proc. penumero , a tenore dei quale, nella rideterminazione della pena da eseguire «sono computate soltanto la custodia cautelare subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire». Ne discende che la posteriorità dei fatti giudicati rispetto alla carcerazione sofferta dal D., rispetto ai quali veniva richiesta la fungibilità, imponeva l'applicazione al caso in esame del divieto di cui all'articolo 657, comma 4, cod. proc. penumero , conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «II riconoscimento della continuazione tra più reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza così formatasi sia automaticamente imputata alla detenzione da eseguire, operando anche in detta eventualità il disposto dell'articolo 657, comma quarto, cod. proc. penumero , secondo cui a tal fine vanno computate solo custodia cautelare sofferta e pene espiate sine titulo dopo la commissione del reato, e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazioni che lo compongono» cfr. Cass., Sez. 1, numero 25186 del 17/02/2009, dep. 17/06/2009, Bernardo, Rv. 243809 . Tali ragioni impongono di ritenere infondata la doglianza difensiva esaminata. 2. Parimenti congrue devono ritenersi le valutazioni compiute dal giudice dell'esecuzione sulla concessione dell'indulto, dovendo rilevarsi che costituisce espressione di orientamento giurisprudenziale consolidato quello secondo cui il condono si applica al cumulo materiale delle pene e solo successivamente è possibile applicare il criterio moderatore di cui all'articolo 78 cod. penumero cfr. Sez. 1, numero 32017 del 17/05/2013, Giuliano, Rv. 256296 . Ne discende che, nel caso di specie, il giudice dell'esecuzione disattendeva correttamente l'istanza difensiva tendente a ottenere l'applicazione del condono sulla pena determinata per effetto del cumulo dopo l'applicazione dei criterio moderatore previsto dall'articolo 78 cod. penumero , conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «In tema di indulto, la regola stabilita nell'articolo 174, comma secondo, cod. penumero - secondo la quale, nel concorso di reati, l'indulto si applica una volta sola, dopo cumulate le pene, secondo le norme concernenti il concorso di reati - opera solo alla condizione che tutte le pene siano condonabili, per cui, ove tale situazione non ricorra, bisogna separare le pene condonabili da quelle non condonabili e, quindi, unificare queste ultime con la parte delle prime che sia eventualmente residuata dopo l'applicazione del beneficio indulgenziale e, infine, se del caso, operare la riduzione prevista dall'articolo 78 cod. penumero » cfr. Sez. 1, numero 8552 del 23/01/2013, Piccolo, Rv. 254929 . Queste ragioni impongono di ritenere infondata la doglianza difensiva in esame. 3. Per queste ragioni, il ricorso proposto da G.D. deve essere rigettato, con la sua condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.