Rinuncia al mandato. L'avvocato ha diritto all'onorario

Il convincimento del giudice di pace, basato sul fatto che non sia stata arbitraria o illegittima la rinuncia da parte del difensore al mandato, comunque espletato, non è censurabile in sede di legittimità, trattandosi di una pronuncia secondo equità.

Il convincimento del giudice di pace, basato sul fatto che non sia stata arbitraria o illegittima la rinuncia da parte del difensore al mandato, comunque espletato, non è censurabile in sede di legittimità, trattandosi di una sentenza pronunciata secondo equità. Ad affermarlo è la Seconda sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 13098, depositata il 15 giugno.La fattispecie. Un uomo proponeva opposizione contro il decreto ingiuntivo, con cui gli veniva intimato il pagamento di circa 550,00 euro dovuti all'avvocato, per le prestazioni professionali rese nell'ambito di una causa civile, lamentando l'illegittimità e l'arbitrarietà della rinuncia al mandato da parte del legale, che non avrebbe così espletato l'attività difensionale nel rispetto del mandato ricevuto. Il giudice di pace adito respingeva l'opposizione poiché la rinuncia al mandato non richiedeva alcuna giustificazione ed anzi appariva fondata sul fatto che la prestazione professionale era stata effettivamente svolta. Contro questa decisione a nulla vale ricorrere per cassazione.Il giudice di pace decide secondo equità le cause il cui valore non superi i 1.100,00 euro. Al riguardo, la Suprema Corte osserva l'articolo 339, comma 3, c.p.c., nella dizione anteriore della riforma del d.lgs. numero 40/2006, che trova applicazione nel caso di specie, vista l'epoca di introduzione del giudizio, afferma che sono inappellabili le sentenze del giudice di pace pronunciate secondo equità. Il giudice di pace, nel pronunciare secondo equità, non è vincolato al rispetto dei principi generali della materia secondo il criterio introdotto nell'articolo 113, comma 2, c.p.c. dall'articolo 3, l. numero 339/1984 ed eliminato dall'articolo 21, l. numero 1374/1991 , con la conseguenza che la pronuncia equitativa deve ritenersi legittima ancorchè in contrasto con tali principi. Tuttavia, essa comunque soggiace al divieto di violare principi diversi e fondamentali. Se così non fosse il sindacato di legittimità sarebbe privo di ogni significato.Violazione della legge sostanziale o vizi di motivazione quali limiti al sindacato di legittimità? Nel caso di ricorso proposto per violazione di legge, il sindacato di legittimità deve ritenersi ristretto all'accertamento dell'osservanza delle norme di rango costituzionale e quelle di diritto comunitario, cui il giudice di pace deve conformarsi essendo poste da una fonte di livello superiore a quella della legge ordinaria che prevede il giudizio equitativo, nonché ai principi generali dell'ordinamento invece, prosegue la Suprema Corte, i vizi di motivazione del giudizio equitativo in senso stretto sono deducibili ai sensi sia dell'articolo 360, numero 4, c.p.c. in caso di inesistenza di qualsiasi motivazione, sia del numero 5 in caso di motivazione meramente apparente o affetta da radicale ed insanabile contraddittorietà su un punto decisivo della controversia.Le censure relative alla sufficienza ed alla correttezza della motivazione non sono deducibili tout court nei confronti di sentenze pronunciate secondo equità. Alla luce di tali riflessioni, osserva la S.C. che, poiché nel ricorso viene dedotto sia il vizio di motivazione del giudizio equitativo sia la violazione di norme di rango costituzionale, il convincimento del giudice di pace, basato sulla premessa di fatto che nel caso di specie non sia stata arbitraria o illegittima la rinuncia al mandato per essere stato lo stesso espletato, attiene ad una questione che non è censurabile in sede di legittimità.