Il comportamento del lavoratore che, animato da finalità giocose o scherzose, consapevolmente danneggia o manomette il materiale dell’azienda può configurarsi come grave inadempimento agli obblighi di diligenza e correttezza e giustificare il licenziamento.
Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 2904/15, depositata il 13 febbraio. Il caso. La Corte d’appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento intimato ad un lavoratore addetto alla linea di assemblaggio di sedili per auto che inseriva materiale di scarto nei medesimi al solo fine di prendersi gioco della collega addetta al controllo, condotta protrattasi per un lungo periodo di tempo. La società datrice di lavoro, condannata alla reintegra del lavoratore e al risarcimento, impugna la sentenza innanzi alla Corte di Cassazione. La ricorrente lamenta la violazione delle norme in tema di licenziamento, nonché la consolidata giurisprudenza, in quanto, nonostante i giudici di merito avessero accertato i fatti contestati al lavoratore, ritenevano sproporzionata la sanzione disciplinare del licenziamento, riconducendo il comportamento ad un mero scherzo nei confronti della collega. La rilevanza disciplinare come violazione dei doveri di diligenza e correttezza. La Corte di Cassazione ritiene erronea e contraddittoria tale motivazione. Considerando che le condotte contestate si erano protratte per un lungo arco di tempo ed erano potenzialmente idonee a creare un grave danno all’immagine della società, laddove l’addetta ai controlli non si fosse accorta del materiale di scarto inserito dal lavoratore nei sedili, tali comportamenti devono necessariamente qualificarsi come grave inadempimento degli obblighi di diligenza e correttezza gravanti sul lavoratore subordinato. La riconducibilità della condotta alle previsioni del c.c.numero l Inoltre viene rilevata l’omessa considerazione circa la possibilità di ricondurre le condotte contestate alla legittima causa di licenziamento prevista dall’articolo 10, lett. b del c.c.numero l. applicabile, dove vengono in rilievo le ipotesi di danneggiamento volontario al materiale dell’azienda, consistente anche nella manipolazione o svilimento dello stesso, fatto tanto più grave quanto più ripetuto nel tempo. Per questi motivi la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Torino.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 10 dicembre 2014 – 13 febbraio 2015, numero 2904 Presidente Stile – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo Con ricorso al Tribunale di Torino in funzione di giudice del lavoro, O.F. evocava in giudizio l'ex datore di lavoro Proma s.r.l., chiedendo di dichiarare illegittimo, in quanto privo di giusta causa e comunque di giustificato motivo, il licenziamento disciplinare intimatogli il 19.1.10 per avere, sulla linea di assemblaggio dello schienale anteriore dell'Alfa Mito, volutamente inserito nei tubi “Protech” carte ed altro materiale di risulta e per l'effetto condannare la società convenuta a reintegrarlo nel proprio posto di lavoro, nonché al versamento di un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto pari ad Euro 1.633,75 mensili dal giorno dell'illegittimo licenziamento sino alla reintegrazione, oltre interessi e rivalutazione, ed altresì al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali in via subordinata, nell'eventualità che il licenziamento fosse ritenuto legittimo, condannare la società al pagamento dell'indennità di mancato preavviso prevista dal CCNL Industria Metalmeccanica. Si costituiva in giudizio la società convenuta, chiedendo il rigetto della domanda e proponendo riconvenzionale volta ad ottenere la condanna del ricorrente al versamento della somma di Euro 600,00 a titolo di risarcimento del danno derivato dalla sua condotta. Il Tribunale, con sentenza del 29.10.10, respingeva la domanda principale, accoglieva la subordinata e convertiva il licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo respingeva la domanda riconvenzionale. Avverso la sentenza, interponeva appello l'O. chiedendone la riforma, con il favore delle spese dei due gradi. Resisteva la società, proponendo appello incidentale circa la conversione del licenziamento operata dal primo giudice. Con sentenza depositata il 17 ottobre 2011, la Corte d'appello di Torino dichiarava l'illegittimità del licenziamento in questione, condannando la società alla reintegra dell'Odono nel suo posto di lavoro ed al risarcimento del danno ex articolo 18 L. numero 300/70 così come richiesto in primo grado, oltre al pagamento delle spese del doppio grado. Riteneva la Corte di merito che, pur essendo emersa la prova dei fatti contestati all'O. , la sanzione del licenziamento risultava sproporzionata rispetto a questi ultimi. Per la cassazione propone ricorso la società Proma s.p.a. già Proma s.r.l. , affidato a tre motivi. Resiste l'O. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Motivi della decisione Deve pregiudizialmente respingersi l'eccezione di inammissibilità del ricorso ex articolo 360 bis c.p.c., sollevata dal controricorrente, posto che, come di seguito chiarito, la sentenza impugnata non risulta affatto aver deciso la causa in conformità alla giurisprudenza di questa Corte. 1.- Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2119 c.c., in relazione agli articolo 2094, 2104, 1175, 1176, 1375 e 2106 c.c. articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta che la sentenza impugnata, in contrasto con le norme citate e la giurisprudenza su di esse formatasi, pur accertati i fatti contestati, nonché la loro reiterazione, ritenne tuttavia insussistente un - non necessario - animus nocendi, quanto piuttosto un pur non encomiabile animus iocandi, stante l'evidenza delle carte di risulta inserite nei tubi, ben visibili ed estraibili dall'addetta ai controlli. Il motivo è fondato. 1.1- La sentenza impugnata, infatti, non solo ha accertato la sussistenza dei fatti e la commissione di essi ad opera del lavoratore, ma ha anzi accertato che fatti identici a quelli contestati peraltro non solo l'inserimento di carte ma anche di rifiuti, pag. 13 fossero stati più volte commessi da questi in passato quasi tutti i giorni per più di sei mesi, secondo la testimonianza T. , pag. 12 sentenza impugnata , ritenendo tuttavia difettare la proporzione tra i fatti contestati e la massima sanzione, opinando che essi fossero da imputare a scherzi compiuti sovrattutto nei confronti dell'addetta ai controlli T. , evidenziando inoltre che tale comportamento non rientrava in alcuna delle ipotesi previste dal c.c.numero l. quali causa di licenziamento. 2.2- La motivazione della sentenza risulta erronea e contraddittoria. Ed invero essa per un verso ha accertato quello che, anche per il suo notevole prolungarsi della condotta, non può che qualificarsi come un grave inadempimento degli obblighi di diligenza e correttezza gravanti sul lavoratore subordinato d'altro canto ha escluso la legittimità della massima sanzione qualificando i fatti come un presunto gioco o scherzo perpetrato nei confronti dell'addetta ai controlli, che comunque tale, stante l'intollerabile reiterazione nel tempo, non poteva ritenersi, tanto più che la stessa Corte di merito ha accertato che ad un certo punto la T. decise di portare l'O. dal direttore e riferire quanto accadeva da tempo. Deve ancora considerarsi che nella lettera di contestazione venne imputato all'O. anche un grave atto di insubordinazione, consistente nel fatto che il lavoratore, allorquando gli venne prospettato dalla T. di portare a conoscenza dei fatti il Direttore ciò che risulta in aperto contrasto col presunto animus iocandi , rispose tanto il Direttore non può farmi niente oggi parto per le Filippine . 2.3- D'altro canto la sentenza impugnata non ha adeguatamente considerato che nell'ipotesi di danneggiamento volontario al materiale dell'azienda o al materiale di lavorazione, legittimante il licenziamento ai sensi della lettera b dell'articolo 10 del c.c.numero l. di categoria, richiamato dall'azienda, non può rientrare solo il fatto illecito di provocare consapevolmente un danno permanente al materiale di lavorazione la sentenza impugnata esclude infatti che vi sia stata una modificazione strutturale della cosa o un deterioramento di sufficiente consistenza, pag. 14 , ma anche un danno immateriale, consistente nella manipolazione e svilimento del materiale aziendale, tanto più grave in quanto, ripetuto per lunghissimo tempo, era idoneo a rendere quel materiale inaccettabile dai clienti dell'azienda, esponendola ad una seria lesione della propria immagine presso la clientela qualora l'addetta al controllo non si fosse accorta della manipolazione ed i sedili fossero stati in conseguenza recapitati all'ordinante riempiti di cartacce , così come osservato dal Tribunale pag. 8 sentenza impugnata . Tale comportamento risulta dunque poter concretare anche quel grave nocumento morale o materiale per l'azienda, pacificamente previsto dall'articolo 10 del c.c.numero l. quale giusta causa di licenziamento. Il ricorso deve pertanto accogliersi, restando assorbiti gli ulteriori motivi il secondo esplicitamente subordinato, ed il terzo inerente il vizio di motivazione già esaminato . La sentenza impugnata deve dunque cassarsi con rinvio ad altro giudice, in dispositivo indicato, per un nuovo esame della controversia, oltre che per la regolamentazione delle spese, ivi compreso il presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Torino in diversa composizione.