Il soggetto impossibilitato a sottoscrivere può comunque stipulare un atto di compravendita

La sottoscrizione di un atto dinanzi al notaio può essere sostituita dalla verbalizzazione della volontà di sottoscrivere - espressa dalla parte al notaio - unitamente all'indicazione dei motivi che impediscono la sottoscrizione.

L'articolo 49, L. numero 89/1913 non impone al notaio di verificare con certezza assoluta l'identità delle parti che sottoscrivono l'atto ma si limita a prevedere un controllo particolarmente serio e libero - nelle sue modalità - che non è mai garanzia di corrispondenza tra identità dichiarata ed identità effettiva. L'azione generale di rescissione per lesione, presuppone la sussistenza simultanea di 1 eccedenza tra prestazione e controprestazione di oltre la metà, 2 stato di bisogno del soggetto svantaggiato, inteso come difficoltà economica, anche temporanea, tale da incidere sulla libera determinazione a contrattare, 3 la controparte deve avere, effettivamente e consapevolmente, tratto vantaggio dall'altrui stato di bisogno. Il caso . Con atto di vendita stipulato dinanzi ad un notaio, un soggetto analfabeta, vendeva un immobile. Detto atto risultava privo della sottoscrizione del venditore e munito della dichiarazione con cui il notaio riportava la volontà del venditore di cedere l'immobile ed accertava l'incapacità dello stesso a sottoscrivere. La cessione avveniva ad un prezzo corrispondente al valore attualizzato della rendita catastale. Successivamente, parte venditrice impugnava l'atto e chiedeva che fosse accertata e dichiarata la nullità dello stesso per vizio del consenso derivante dalla mancata sottoscrizione del contratto e per essere stata indotta alla cessione dall'acquirente nipote in subordine, chiedeva la rescissione del contratto per inadeguatezza del prezzo e, in via ancora gradata, la risoluzione del contratto per mancato versamento del prezzo. Il tribunale e la corte territoriale respingevano tutte le domande, quindi, parte attrice depositava ricorso per cassazione. Il notaio deve essere certo dell'identità delle parti. Parte attrice, eccepisce l'illecita condotta del notaio che, a suo dire, non avrebbe regolarmente acquisito il consenso della parte venditrice. L'articolo 49, L. numero 89/1913, statuisce che il notaio, al momento dell'attestazione, deve essere certo della identità delle parti, a tal fine può utilizzare e valutare qualsiasi atto o modalità, potendo avvalersi anche di due testimoni. Detta norma, osserva la corte, non impone al notaio di verificare con certezza assoluta l'identità delle parti ma si limita a prevedere un controllo particolarmente serio e libero nelle sue modalità che non è mai garanzia di corrispondenza tra identità dichiarata ed identità effettiva. Le predette modalità di verifica devono essere tali da qualificare come prudente apprezzamento la condotta del rogante. In tal prospettiva, la sottoscrizione è certamente requisito indispensabile pena la nullità dell'atto e rappresenta la formalizzazione del percorso di esternazione della volontà. Nel caso in cui il soggetto è impossibilitato ad apporre la sottoscrizione, questa può essere sostituita dalla dichiarazione rilasciata in favore del notaio e dallo stessa verbalizzata in atto, con cui si documenta la volontà del soggetto di concludere l'affare e, contestualmente, i motivi che impediscono la sottoscrizione. Tale logica normativa impone al giudice di accertare, caso per caso, la volontà e l'identità del soggetto sottoscrittore, in esso compreso il soggetto inabile a sottoscrivere. Nel caso di specie, rileva la S.C., è stato accertato che il notaio rogante ha verificato l'identità del venditore mediante documento d'identità ed anche attraverso il riconoscimento operato dall'acquirente che dichiarava di essere nipote della venditrice. Inoltre, nel corso del processo era stato accertato che, al momento della sottoscrizione, il notaio aveva invitato parte cedente a sottoscrivere ma ella aveva dichiarato di essere illetterata e mostrato, tramite prove pratiche, di non essere in condizioni di apporre alcuna sottoscrizione. Pertanto, rilevato che nell'atto il notaio accertava e riportava la volontà del venditore di cedere l'immobile e l'incapacità dello stesso a sottoscrivere, l'atto risulta sottoscritto secondo legge. L'errore quale vizio essenziale del consenso. Per essere tale deve aver impedito alla parte di comprendere con consapevolezza gli effetti giuridici essenziali del contratto che ha concluso. Nel caso in commento, non può essere individuato errore di tal sorta, sia perché la parte risultava essere dedita a compiere transazioni commerciali - se pure di altro genere, sia perché non è stata esibita alcuna prova utile a documentare l'errata formazione della volontà. L'azione generale di rescissione per lesione. Questa presuppone la sussistenza simultanea di tre requisiti 1 eccedenza tra prestazione e controprestazione di oltre la metà, 2 stato di bisogno del soggetto svantaggiato, inteso come difficoltà economica tale da incidere sulla libera determinazione a contrattare, 3 la controparte deve avere, effettivamente e consapevolmente, tratto vantaggio dall'altrui stato di bisogno. Quanto al primo requisito, esso non può essere provato eccependo semplicemente il mancato versamento del prezzo pattuito, essendo, invece, necessaria una particolare e puntuale quantificazione delle rispettive prestazioni, utile ad individuare la sproporzione. A tal pro, appare non sufficiente il semplice richiamo al prezzo di mercato attribuibile al bene ceduto. In riferimento al secondo punto, la corte ha chiarito che lo stato di bisogno consiste in una, anche temporanea, mancanza di denaro liquido, tale da impedire alla parte la libera ed autonoma cognizione e partecipazione alla negoziazione dell'affare. La S.C. rigetta anche tale doglianza, non si esprime sul terzo requisito, atteso che l'accoglimento dell'azione di rescissione presuppone la simultanea presenza dei tre requisiti sopra indicati. Risoluzione del contratto per inadempimento. Parte ricorrente ritiene che, nei precedenti gradi del giudizio, non siano state correttamente valutate le prove esibite a dimostrazione del mancato versamento del prezzo da parte dell'acquirente, mentre, altre prove non sono state ammesse. La Cassazione, nel rimarcare che il suo controllo è limitato alla legittimità degli atti e non al merito della vicenda, rigetta l'istanza, osserva anche che la corte territoriale aveva rigettato l'impugnazione correttamente motivando, ovvero, richiamando la dichiarazione, contenuta nell'atto di vendita, con cui la venditrice aveva dato atto della corresponsione del prezzo, confermata dall'esistenza di un libretto postale cointestato alla venditrice ed all'acquirente, aperto con il versamento di una somma sostanzialmente corrispondente al prezzo pattuito. In definitiva, la S.C. ha rigettato il ricorso e condannato parte ricorrente al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 25 settembre - 16 novembre 2012, numero 20209 Presidente Nuzzo – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 26 ottobre 1993 M.A.A. evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Cassino, G R. chiedendo che venisse dichiarata la nullità del contratto, stipulato con atto pubblico in data 9.11.1992, con il quale aveva trasferito alla convenuta la nuda proprietà dell'appartamento sito in Roma, via Tiburtina numero 180, per mancanza del consenso, come emergeva dalla circostanza di non avere sottoscritto il contratto in subordine, chiedeva che il contratto venisse annullato per errore sulla natura e sull'oggetto dello stesso, nel quale era stata indotta dal comportamento della nipote e, comunque, per limitata capacità di agire ex articolo 1425 e 428 c.c. chiedeva, altresì, la rescissione del contratto per lesione ultra dimidium alla stregua della inadeguatezza del prezzo rispetto all'effettivo valore di mercato del bene e della difficile situazione economica nella quale versava, traendo i propri mezzi di sostentamento esclusivamente da una modesta pensione in via ulteriormente subordinata chiedeva che il contratto fosse risolto per inadempimento dell'acquirente che non le aveva versato il prezzo pari a L. 33.000.000 indicato nell'atto e corrispondente all'importo della rendita catastale rivalutata del bene. Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, costituitasi nel corso del giudizio I B. quale erede dell'attrice, nel frattempo deceduta, all'esito dell'istruzione della causa, il Tribunale adito rigettava la domanda attorea. In virtù di rituale appello interposto dalla B. , con il quale censurava il valore attribuito dal giudice di prime cure ad un preteso stato emotivo della M. per giustificare la mancata sottoscrizione dell'atto notarile e la violazione delle norme di cui agli articolo 28, 49 e 51 legge numero 89/1913, nonché la mancata vantazione dell'effettivo valore di mercato del bene ai fini della domanda di rescissione, unitamente allo stato di bisogno ex articolo 1448 c.c. e la valenza probatoria attribuita dal primo giudice al libretto postale relativamente al pagamento del prezzo, la Corte di Appello di Roma, nella resistenza della appellata, rigettava integralmente l'appello. A sostegno dell'adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che le doglianze della appellante quanto ai vizi della volontà denunciati, dalle risultanze acquisite nel corso del giudizio risultava che la stessa venditrice aveva dichiarato di essere illetterata , ossia nei termini riportati dal notaio nell'atto pubblico, per cui era irrilevante lo stato emotivo della M. , che comunque non deponeva per una sua temporanea incapacità. Aggiungeva che doveva escludersi anche la sussistenza della asserita violazione dell'articolo 49 della legge notarile perché la certezza circa l'identità della venditrice poteva essere acquisita fino al momento della stipulazione ed in proposito il notaio è autorizzato ad avvalersi di tutti gli elementi idonei, nella specie la conoscenza da parte del professionista della R. ed il rapporto di parentela esistente tra quest'ultima e la venditrice. La M. , inoltre, non era incorsa in alcun errore circa la natura dell'atto che stava compiendo proprio in considerazione della linea difensiva assunta circa la ragione della mancata sottoscrizione del contratto. Infine priva di pregio era la doglianza sulla errata valutazione della insussistenza dello stato di bisogno, non essendo stati contestati dalla venditrice gli elementi di giudizio posti a fondamento del rigetto l'essere beneficiaria di una pensione e proprietaria di altro immobile , nonché della contestazione circa il mancato pagamento del prezzo, ai fini della risoluzione del contratto, non essendo stato offerto alcun elemento a sostegno di una diversa provenienza del denaro di cui al libretto postale prodotto dalla appellata, cointestato alla venditrice. Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso per cassazione la B. , che risulta articolato su cinque motivi, al quale ha resistito la R. con controricorso. Fissata pubblica udienza il 22.9.2011, veniva rinviata a nuovo ruolo per difetto di comunicazione della data di udienza a parte ricorrente del pari la causa veniva rinviata nuova udienza nella pubblica udienza del 12.1.2012 per mancanza dell'istanza ex articolo 26 legge numero 183 del 2011 vigente all'epoca . Entrambe le parti hanno presentato memoria illustrativa. Motivi della decisione Con il primo motivo del ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 28, 47, 49, 51 e 58 della legge notarile, nonché degli articolo 1418 e 1325 numero 1 c.c., anche per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione ex articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c., per non avere la corte di merito rilevato che il notaio aveva proceduto,violando la legge professionale sia nell'identificazione della venditrice sia nella acquisizione della prova inerente il presunto fatto impeditivo della sottoscrizione del rogito da parte della M. . Il pubblico ufficiale avrebbe, infatti, dovuto dedurre dalla dichiarazione dell'alienante di essere analfabeta, circostanza certamente menzognera, la mancanza di una valida volontà contrattuale di concludere l'atto di vendita. In altri termini, il notaio non avrebbe compiuto alcun accertamento per una valida acquisizione del consenso in mancanza di firma. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione falsa applicazione dell'articolo 1418 in relazione all'articolo 1325 numero 1 c.c. per mancanza del consenso, giacché la fantasiosa interpretazione contenuta nella sentenza impugnata in ordine ai motivi di ordine psicologico per i quali la M. non avrebbe sottoscritto l'atto sono inidonei a superare l'indiscutibile circostanza che il rogito non rechi la firma della venditrice. I motivi, che per connessione - vertendo entrambi sulle modalità di manifestazione del consenso - si esaminano congiuntamente, sono infondati. Premesso che la materia dell'identificazione delle parti ad opera del notaio è regolata dall'articolo 49 legge numero 89 del 1913 come modificato dall'articolo 1 legge numero 333 del 1976, secondo tale norma il notaio deve essere certo dell'identità personale delle parti e può raggiungere questa certezza, anche al momento dell'attestazione, valutando tutti gli elementi atti a formare il suo convincimento in caso contrario può avvalersi di due fidefadenti da lui conosciuti . La norma richiede la certezza del notaio sulla identità personale delle parti, consentendo che sia raggiunta al momento dell'attestazione secondo modalità non vincolate, affidate al prudente apprezzamento del notaio. La certezza non esprime una realtà ontologica necessariamente corrispondente all'identità vera ed è una convinzione raggiunta attraverso elementi anche estranei al rapporto interpersonale parte - notaio. Facendo riferimento al convincimento, la norma esclude una equiparazione tra certezza e verità, sicché prescinde dalla necessaria corrispondenza della persona comparsa innanzi al notaio a quella apparente indicata nell'atto. In sostanza, quando attesta di essere certo dell'identità delle parti, il notaio esprime un convincimento che può anche non corrispondere alla realtà. Questo sistema flessibile realizza le esigenze dei traffici moderni in una visione dell'economia e dei mercati che supera addirittura l'ambito Europeistico. La norma non indica gli elementi idonei alla formazione del convincimento del notaio in considerazione dell'affidamento, che il rogito notarile è destinato a creare, richiede, tuttavia, una particolare serietà dell'accertamento dell'identità delle parti che, pur svincolato dalla conoscenza pregressa, non si esaurisce nel riscontro di elementi predeterminati, ma deve risultare da prudente valutazione. In detto quadro normativo, la sottoscrizione delle parti nei rogiti notarili, ai sensi dell'ari 51 numero 10 della legge 16.11.1913 numero 89, si configura come requisito essenziale per la validità dell'atto, che in caso di carenza è da considerare senz'altro nullo cfr., in tal senso, Cass. 8 novembre 1974 numero 3424 , e, però accedendo ad atto che è del pubblico ufficiale che lo redige articolo 2699 c.c. , e non delle parti che vi intervengono, assume valenza e significato non già di strumento indispensabile di appropriazione della dichiarazione documentata e di presupposto della validità di questa, ma di elemento di completamento dell'iter procedimentale finalizzato alla formazione dell'atto, che, come tale, nell'ambito di detto iter, è surrogabile, in particolare, dalla dichiarazione che la parte renda formalmente al notaio, e che da costui venga espressamente menzionata nel rogito, dell'esistenza di una impossibilità o di una seria e grave difficoltà a sottoscrivere. La funzione surrogatoria della sottoscrizione normativamente riconosciuta alla dichiarazione di impedimento a firmare della parte, con la menzione di tale dichiarazione nell'atto da parte del notaio, tuttavia si applica incondizionatamente soltanto nella riscontrata effettiva esistenza della causa impeditiva, integrando la falsità della relativa prospettazione un elemento ben suscettibile, da solo, o più spesso in concorso con altri, di evidenziare la mancanza nel dichiarante di un'effettiva volontà di negoziare corrispondente alla manifestazione di intento resa al notaio e un sostanziale diniego di approvare il contenuto del documento da questo formato cfr., per riferimenti Cass. 27 luglio 1950 numero 2101 Cass. 15 novembre 1968 numero 535 Cass. 22 maggio 1969 numero 1809 Cass. 23 maggio 1978 numero 4781 Cass. 5 novembre 1990 numero 10605 Cass. 11 novembre 1992 numero 1073 Cass. 6 novembre 1996 numero 9674 Cass. 30 gennaio 1998 numero 950 Cass. 10 agosto 2004 numero 15424, tutte riguardanti vertenze relative a validità di testamenti pubblici . Di conseguenza, allorché venga contestata la veridicità della cennata dichiarazione di impedimento a sottoscrivere, il giudice non può ritenere, ed affermare, l'indiscutibile validità dell'atto pubblico che detta dichiarazione contiene e, soprattutto, dei negozi nello stesso documentati sulla base del solo dato della formale presenza nell'atto medesimo del cennato surrogato della sottoscrizione, ma deve accertare in concreto, sulla base delle prove offerte dalle parti interessate, se la dedotta falsità della causa impeditiva sussista, se la stessa costituisca, di per sé sola o in concorso con altre circostanze, indice di un rifiuto di approvare il contenuto negoziale del documento, estendendo l'indagine alla verifica di ogni ulteriore elemento ricavabile dalle peculiarità della fattispecie che possa rivelare l'esistenza, o l'insussistenza, di quel rifiuto, stabilire, infine, se ed in quali limiti la falsità della dichiarazione contestata sia opponibile alla controparte e possa determinare l'invalidità degli accordi con questa conclusi. All'indicato principio si è uniformata la corte territoriale, la quale ha ritenuto che il notaio è pervenuto al convincimento di certezza circa l'identità della venditrice in base al documento di identità personale ed al fatto che le parti avessero dichiarato di conoscersi, essendo l'acquirente nipote dell'alienante, fornendo di ciò appagante motivazione scevra da errori logico - giuridici. Eguali considerazioni valgono con riferimento all'omessa sottoscrizione dell'atto pubblico da parte della M. sostituita dalla dichiarazione di impedimento a firmare da parte del notaio rogante la corte territoriale ha dato conto che la dichiarazione di essere illetterata della alienante è stata accompagnata dai tentativi della parte di apporre la propria firma, all'esito dei quali il pubblico ufficiale, preso atto dell'impossibilità di ottenere un segno grafico utilizzabile come sottoscrizione, ha fatto menzione nell'atto dell'impedimento. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1428 c.c. in relazione all'articolo 1429 c.c. per errore sull'oggetto del contratto, anche in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c. per avere entrambi i giudici di merito, con motivazione contraddittoria, ritenuto che la venditrice fosse consapevole dell'atto che andava a concludere. Anche detto motivo è infondato. A norma degli articolo 1428 e 1429, numero 1, c.c. la parte che deduce, come nella specie, l'errore - di fatto - della propria dichiarazione sulla natura di un contratto patrimoniale tra vivi errore ostativo , ha l'onere, per dimostrarne la essenzialità, come determinante per la manifestazione di volontà secondo una valutazione oggettiva, sì da avere impedito alla parte di avere consapevolezza degli effetti giuridici essenziali del contratto che ha concluso. Spetta al giudice di merito accertare, ai fini dell'essenzialità, quale altro contratto intendeva concludere, in modo da ricondurre la dichiarazione alla volontà della parte che l'ha espressa. La prova dell'essenzialità dell'errore incombe su colui che invoca la tutela dell'annullamento del contratto. Altro requisito indispensabile per domandare detta tutela è la riconoscibilità dell'errore e cioè la possibilità che la controparte ha di rilevarlo usando la normale diligenza, avuto riguardo al contenuto, alle circostanze del negozio, alla qualità delle persone che vi partecipano articolo 1431 c.c. . Anche l'esistenza di questo requisito deve esser dimostrata dalla parte che agisce per l'annullamento del contratto. I giudici di appello si sono attenuti a tutti tali principi evidenziando che nessuno dei requisiti indispensabili per la fondatezza della domanda di annullamento per errore era stato provato dalla B. , in quanto la M. - diversamente da quanto assunto - era pienamente consapevole degli effetti dispositivi dell'atto che si accingeva a concludere, non essendo peraltro nuova al compimento di transazioni commerciali. Del resto neanche in questa sede la ricorrente ha indicato, a sostegno dell' error in negotio , puntuali censure al ragionamento dei giudici di merito, invocando, a sostegno di tale errore, l'erroneità della valutazione della vicenda e le argomentazioni addotte a sostegno dell'errore in cui sarebbe incorsa nel prestare il non consenso sono state esaminate anche sotto altri profili, con il medesimo risultato. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1448 c.c., anche in relazione al numero 5 dell'articolo 360 cpc. per avere il giudice di secondo grado, recependo supinamente la motivazione del giudice di primo grado , affermando che non erano state specificamente contestate dall'appellante le circostanze di essere beneficiaria di pensione e proprietaria di altro immobile, senza tenere in alcun conto il valore dell'immobile, non disposta alcuna consulenza tecnica estimativa. Il motivo non merita accoglimento, integrando una censura di merito non evidenziante alcuna effettiva carenza o illogicità della motivazione, con la quale i giudici di appello hanno dato adeguato conto delle ragioni di conferma della decisione impugnata ai fini delle determinazioni circa i presupposti per la lesione rilevante ex articolo 1448 c.c., con argomentazioni supportate da riscontri fattuali, in risposta alle osservazioni critiche di parte appellante. Infatti questa corte ha ripetutamente affermato che l'azione generale di rescissione per lesione prevista dall'articolo 1448 c.c., richiede la simultanea ricorrenza di tre requisiti, e cioè l'eccedenza di oltre la meta della prestazione rispetto alla controprestazione, l'esistenza di uno stato di bisogno, inteso non come assoluta indigenza ma come una situazione di difficoltà economica che incide sulla libera determinazione a contrattare e funzioni, cioè come motivo della accettazione della sproporzione fra le prestazioni da parte del contraente danneggiato ed, infine, l'avere il contraente avvantaggiato tratto profitto dall'altrui stato di bisogno del quale era consapevole v., in tal senso, Cass. 19 agosto 2003 numero 12116 Cass. 5 settembre 1991 numero 9374 Cass. 29 gennaio 1990 numero 531 . Nel caso concreto la corte di appello in ordine al primo requisito ha accertato che B. non aveva neppure prospettato in che cosa consistesse la sproporzione tra le due prestazioni offerte dalle parti e la ricorrente ha impugnato questa ratio decidendi assumendo che la lesione ultra dimidium derivava proprio dal fatto che la R. non avesse adempiuto ad alcuna obbligazione o che comunque il prezzo asseritamente versato non corrispondesse al prezzo di mercato, senza valutare la insussistenza dell'ulteriore requisito dello stato di bisogno per essere la M. beneficiarla di una pensione e proprietaria di altro immobile, statuizione questa che non è stata impugnata dalla ricorrente, per cui è preclusa qualsiasi indagine al riguardo in questa sede. E poiché fra i tre elementi predetti dell'azione di rescissione non intercede alcun rapporto di subordinazione od alcun ordine di priorità o precedenza, una volta accertata la mancata dimostrazione dell'esistenza di uno o di taluno dei tre elementi, diviene superflua l'indagine circa la sussistenza dell'altro o degli altri, e l'azione deve essere senz'altro respinta. Si deve aggiungere per completezza che la nozione di stato di bisogno, secondo la dottrina e la giurisprudenza, ricorre quando il soggetto che subisce il contratto si trovi, anche per cause transitorie, in obiettive difficoltà economiche cagionate da temporanea mancanza di denaro liquido, in quanto aventi riflesso sulla sua libertà di negoziazione e, quindi, suscettibili di determinarlo con rapporto di causa ad effetto, ad accettare un corrispettivo non proporzionato alla sua prestazione. Nel caso, invece, non soltanto siffatta circostanza non è stata neppure dedotta dalla ricorrente, ma per quanto suesposto la corte territoriale ha accertato, con motivazione adeguata e non specificamente contestata, che la M. quale fruitrice di una pensione non versava in una situazione economica difficile e,pertanto diversi erano i motivi che l'avevano indotta al compimento della transazione. Con il quinto ed ultimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c., nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia per avere entrambi i giudici di merito immotivatamente ritenuto versato il prezzo di acquisto indicato nel rogito. Infine, la B. , deducendo violazione dell'articolo 1453 c.c. e dell'articolo 116 c.p.c., addebita alla sentenza impugnata di aver erroneamente valutato le prove in merito al preteso adempimento della R. all'obbligazione del pagamento del prezzo, come dimostravano dalla mancata ammissione delle prove richieste dall'attrice in primo grado. Questa censura è in parte inammissibile ed in parte infondata. Nella sentenza impugnata, infatti, vi è una congrua e logica motivazione a sulle risultanze istruttorie da cui era stato tratto il convincimento dell'adempienza della R. , costituite soprattutto dall'esistenza di libretto postale cointestato alla M. , aperto con il versamento di una somma sostanzialmente corrispondente al prezzo della compravendita b sulla interpretazione e sul contenuto dell'atto pubblico di vendita laddove la stessa M. aveva dato conto della corresponsione del prezzo. Non è riscontrabile, quindi, la lamentata valutazione parziale delle risultanze istruttorie, e neppure la incomprensibilità od insufficienza di motivazione lamentata dalla ricorrente mentre le diverse valutazioni in fatto prospettate con la doglianza non possono trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità, perché spetta soltanto al giudice del merito di individuare le fonti del proprio convincimento e all'uopo valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute più idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvi i casi tassativamente previsti per la legge. D'altra parte le valutazioni operate da detto giudice dei fatti e delle risultanze probatorie non sono censurabili, ove il convincimento dello stesso giudice sia - come nel caso di specie - sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. Per quanto attiene alla mancata ammissione di istanze istruttorie va ribadito il principio secondo cui la parte che, in sede di ricorso per cassazione, addebiti a vizio della sentenza impugnata la mancata ammissione di prove richieste nel giudizio di merito, ha l'onere almeno di indicare in modo esaustivo le circostanze di fatto che formavano oggetto della disattesa istanza istruttoria, in quanto il ricorso deve contenere in sé tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della pronuncia impugnata, non essendo sufficiente un generico rinvio agli atti difensivi del pregresso giudizio di merito tra le varie, cfr. Cass. 25 ottobre 2004 numero 20700 Cass. 1 ottobre 1997 numero 9558 . Nella specie non sono avvenute né la trascrizione, né le indicazione citate, sicché la questione si manifesta inammissibile. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con condanna della ricorrente a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione, come liquidate nel dispositivo. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro. 2.300,00, di cui Euro 100,00 per esborsi.