Contestazione a catena: la prova della desumibilità dagli atti del fatto oggetto della ordinanza successiva è onere di chi invoca la retrodatazione

Perché si possa parlare di contestazione a catena e, quindi, possa trovare applicazione la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare occorre che i delitti oggetto dell’ordinanza cautelare successiva siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione dell’ordinanza emessa per prima.

La Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sul caldo tema delle cd. contestazioni a catena sent. numero 822/2016, depositata il 12 gennaio . La vicenda. La sentenza prende le mosse da una situazione intricata, in quanto un italiano veniva tratto in arresto in flagranza del reato di traffico di sostanze stupefacenti e, per tale delitto, veniva poi attinto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nel gennaio 2009 per tale reato, l’uomo subiva una condanna, divenuta irrevocabile nel 2011. Per i medesimi fatti, qualche mese dopo, venivano emesse altre due ordinanze nei confronti di due coimputati. Nell’anno 2013, lo stesso italiano, poi, era nuovamente destinatario di altra ordinanza di custodia cautelare, questa volta per associazione a delinquere – perpetrata sempre unitamente agli altri due soggetti -, che temporalmente si collocava nell’arco antecedente all’arresto del 2009. Le difese. Il difensore del prevenuto, propone istanza al Gip per ottenere la declaratoria di inefficacia della seconda ordinanza, invocando l’effetto estensivo delle ordinanze già pronunciate a favore degli altri due prevenuti, i quali si erano visti retrodatare la decorrenza dei termini massimi di durata delle rispettive misure applicate, con conseguente inefficacia – ex articolo 303 lett. a numero 3 c.p.p. – dei titoli disponenti la carcerazione. L’istanza veniva rigettata e, conseguentemente, la difesa proponeva appello de libertate. Il gravame veniva respinto sulla base delle seguenti argomentazioni i fatti oggetto della prima ordinanza avevano comportato la condanna dell’imputato, divenuta irrevocabile nel 2011 il successivo provvedimento custodiale del 2013 veniva emesso per traffico di stupefacenti avvenuto antecedentemente alla prima ordinanza, oltre che per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito, commessa sino alla data dell’arresto, risalente al 2009, quindi in epoca coincidente con l’emissione della prima misura. In particolare, poi, si afferma la non applicabilità dell’istituto di cui all’articolo 297 comma 3 c.p.p., in quanto all’epoca del rinvio a giudizio per i fatti di cui alla prima ordinanza non erano desumibili gravi indizi di colpevolezza in ordine ai fatti delittuosi oggetto dell’ordinanza successiva. Inoltre, la posizione dell’appellante – ancorché sovrapponibile a quella dei due soggetti aventi beneficiato della retrodatazione – era stata in concreto caratterizzata da un iter processuale differente, per cui andava esclusa la desumibilità degli elementi idonei all’emissione della nuova ordinanza sino all’epoca del primo rinvio a giudizio. La difesa, non soddisfatta da tali argomenti, propone ricorso alla Suprema Corte di legittimità, denunciando il vizio di violazione di legge in relazione agli articolo 125, comma 3, e 587 c.p.p. per aver ritenuto inapplicabile l’estensione delle retrodatazione concessa agli altri due prevenuti e agli articoli 125, comma 3, e 297, comma 3, c.p.p. per aver eluso l’applicazione della retrodatazione del termine custodiale massimo alla prima ordinanza emanata, dal momento che già allora sarebbero stati desumibili gli indizi riguardanti i fatti oggetto dell’ordinanza successiva . Contestazione a catena. Gli Ermellini hanno modo di fare chiarezza sull’istituto di cui all’articolo 297 comma 3 c.p.p. esso sarebbe la codificazione legislativa di una regola elaborata dalla giurisprudenza, statuente una deroga al principio della decorrenza autonoma dei termini di durata massima della custodia carceraria in relazione a ciascun titolo cautelare. La ratio sottesa a tale norma è evitare la diluizione nel tempo della carcerazione provvisoria, attuata tramite l’emissione, in tempi successivi ma nei confronti della medesima persona, di più provvedimenti coercitivi concernenti lo stesso fatto, anche se diversamente qualificato, oppure concernenti fatti diversi ma connessi. Tuttavia, perché l’istituto in parola trovi applicazione e avvenga la cd. retrodatazione, occorre che i delitti posti a fondamento della seconda ordinanza siano stati perpetrati antecedentemente alla data di emissione di altra ordinanza anteriore. Il caso concreto. Ad avviso della Corte, la situazione concreta è sì riconducibile nell’alveo del comma 3 dell’articolo 297 c.p.p. in quanto tra i fatti oggetto delle due ordinanze sussiste una connessione qualificata , ma occorre anche tenere conto dell’intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per il delitto oggetto del provvedimento coercitivo anteriore culminato poi nella sentenza di condanna divenuta irrevocabile . Per costante giurisprudenza, infatti, la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con successive ordinanze opera solamente se gli accadimenti oggetto dei provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto rinvio a giudizio per i fatti posti alla base della prima ordinanza. Nei fatti, va escluso che nel tempo in cui fu emessa il primo provvedimento coercitivo si potessero, altresì, ricavare gravi indizi di colpevolezza circa i fatti aventi legittimato l’emanazione della seconda ordinanza. Il concetto di desumibilità. Nel dettaglio, la Cassazione specifica che la nozione di “desumibilità” non va confusa con quella di mera “conoscibilità” perché sia rilevante ai fini dell’articolo 297 comma 3 c.p.p., la “desumibilità” deve essere individuata nella conoscenza – da un determinato compendio documentale o dichiarativo – degli elementi relativi a un determinato fatto di reato, aventi ex se una specifica pregnanza processuale. Nel caso concreto, la Corte avalla la motivazione enucleata dal Tribunale del Riesame al momento di emissione della prima ordinanza relativa al reato di traffico illecito e ancora sino alla richiesta di rinvio a giudizio non erano desumibili dagli atti a disposizione del PM elementi atti a giustificare l’emissione della successiva ordinanza cautelare relativa al delitto di associazione a delinquere e ciò anche alla luce del fatto che i provvedimenti che hanno attinto gli altri coimputati sono successivi non soltanto alla primordiale ordinanza emessa nei confronti del ricorrente, ma anche al suo rinvio a giudizio. Per queste ragioni, la III sezione della Suprema Corte ha rigettato il ricorso, condannando al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, Sez. III Penale, sentenza 20 novembre 2015 – 12 gennaio 2016, numero 822 Presidente Fiale – Relatore De Masi Ritenuto in fatto La Corte di Appello Brescia, adita ex articolo 310 c.p.p., con ordinanza del 29/7/2015 rigettava l'istanza del 27/7/2015, con cui B.M. aveva chiesto la declaratoria di inefficacia della misura cautelare della custodia in carcere disposta dai G.I.P. del Tribunale di Brescia nei suoi confronti - e nei confronti di BL.Ma. e M.D. - con ordinanza dell'8/4/2013, invocando l'effetto estensivo delle ordinanze pronunciate, in data 10-12/6/2014, dal Tribunale del Riesame di Brescia e, in data 6/8/2014, dal Tribunale di Brescia Sezione Feriale, a favore dei due predetti coimputati, i quali si erano visti così retrodatare, rispettivamente, al 18/6/2009 e al 28/10/2009, date di emissione delle ordinanze coercitive, la decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate, con conseguente declaratoria ex articolo 303, lett. a numero 3, c.p.p. di inefficacia dei titoli di carcerazione. Accadeva, che il G.I.P. del Tribunale di Brescia, con ordinanza del 22/1/2009, aveva disposto, nei confronti del B. , la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti aggravato e, per gli stessi fatti, con ordinanze del 18/6/2009 e del 28/10/2009, aveva adottato analoga misura cautelare nei confronti dei coimputati BL. e M. . Tuttavia, mentre il B. era stato tratto in arresto, unitamente al corriere C.I. , in flagranza del delitto di cui all'articolo 73 legge stupefacenti, l'esecuzione dell'arresto del BL. e del M. era stato ritardato dal P.M. bresciano, ai sensi dell'articolo 98 stessa legge, per il completamento delle attività d'indagine, con provvedimento datato 23/1/2009. Il difensore del B. , con ricorso del 7/9/2015, impugnava innanzi al Tribunale del Riesame di Brescia la decisione della Corte territoriale, deducendo che i fatti contestati al proprio assistito erano del tutto sovrapponibili a quelli contestati ai coimputati BL. e M. , e che l'associazione a delinquere di cui ai capo 10 dell'imputazione era contestata al B. solo fino alla data del suo arresto, avvenuto il 22/1/2009, per cui si trattava di fatti tutti commessi in epoca anteriore all'emissione della prima ordinanza di custodia in carcere, quella appunto del 22/1/2009, per il traffico illecito di sostanze stupefacenti. Il Tribunale del Riesame, nel respingere l'appello, osservava che, per i fatti di cui all'ordinanza cautelare del 22/1/2009, il B. era stato condannato alla pena di anni sei di reclusione, giusta sentenza del 26/6/2009, irrevocabile il 9/6/2011 che la successiva ordinanza cautelare dell'8/4/2013 era stata adottata nei confronti dell'imputato, per traffico di stupefacenti capo 2 dell'imputazione , fatti temporalmente antecedenti rispetto a quelli oggetto della prima ordinanza di custodia in carcere, in quanto risalenti all'11/11/2008, nonché per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti capo 10 dell'imputazione , fatti commessi sino alla data dell'arresto, risalente appunto al 22/1/2009, e dunque coincidenti con la data di adozione della prima misura, tutti giudicati con la sentenza di primo grado, appellata dall'imputato, con cui era stato condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione che non ricorrevano i presupposti dell'operatività dell'istituto della contestazione a catena di cui all'articolo 297, c.3., c.p.p., in quanto all'epoca - aprile 2009 - del rinvio a giudizio del prevenuto per i fatti di cui alla prima ordinanza cautelare, non erano desumibili gravi indizi di colpevolezza in ordine ai fatti di reato oggetto della successiva ordinanza custodiale che non era applicabile la retrodatazione dei termini di custodia cautelare alla data della prima ordinanza, con conseguente declaratoria di inefficacia della misura, in quanto la posizione processuale del B. , ancorché sovrapponibile a quella dei coimputati BL. e M. , era stata caratterizzata da un iter processuale diversificato ed andava esclusa la desumibilità degli elementi per emettere la nuova ordinanza sino all'epoca del primo rinvio a giudizio. Il B. ricorre per cassazione, tramite il difensore fiduciario, denunciando, con il primo motivo di doglianza, violazione di legge e vizio motivazionale dell'impugnata ordinanza, ai sensi dell'articolo 606, c.1, lett. b e lett. e , c.p.p., in relazione all'articolo 125, comma 3, c.p.p. e all'articolo 587 c.p.p., per aver il Tribunale del Riesame ritenuto inapplicabile l'estensione, giusta ordinanze del medesimo Tribunale nei confronti dei coimputati BL. e M. , della retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, a nulla rilevando, ai fini qui considerati, la discrezionalità del giudice nella valutazione delle singole posizioni processuali o la diversità dell'iter procedimentale che aveva riguardato gli imputati e, con il secondo motivo, violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606, c.1, lett. b e lett. e , c.p.p., relazione all'articolo 125, comma 3, c.p.p. e all'articolo 297, c.3, c.p.p., per aver il Tribunale del Riesame escluso l'applicabilità della retrodatazione del termine massimo di custodia cautelare prevista dalla richiamata disposizione, con motivazione apparente, contraddittoriamente affermando che la posizione del ricorrente è del tutto sovrapponibile a quella dei coimputati ma che cionondimeno non fossero desumibili i fatti reato oggetto della seconda ordinanza cautelare già al tempo della emissione della prima misura. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va respinto. Con l'articolo 297 c.p.p., comma 3, disciplinante l'istituto cosiddetto della contestazione a catena , il Legislatore ha voluto codificare la regula iuris, frutto dell'elaborazione giurisprudenziale formatasi sotto la vigenza del previgente codice di rito, con la quale si era stabilita una deroga al principio della decorrenza autonoma dei termini di durata massima della custodia in relazione a ciascun titolo cautelare, all'evidente fine di evitare il fenomeno della diluizione nel tempo della carcerazione provvisoria , attuata mediante l'emissione, in momenti diversi, nei confronti della stessa persona di più provvedimenti coercitivi concernenti il medesimo fatto, diversamente qualificato o circostanziato, ovvero riguardanti fatti di reato diversi ma connessi tra loro. Seguendo il percorso argomentativo fissato dalle Sezioni Unite con due decisioni Sez. U, numero 14535/07 del 19/12/2006, Librato, Rv. 235909-10-11 Sez. U, numero 21957 del 22/03/2005, P.M. in procomma Rahulia ed altri, Rv. 231057-8-9 , con riguardo alla contestazione di reati diversi, variamente collegabili tra loro, è possibile riconoscere distinte situazioni, alle quali corrispondono altrettante, distinte regole operative. In tutti i casi Sez. 2, numero 13021 del 10/3/2015, Rv. 262933 è necessario, perché si possa parlare di contestazione a catena e perché possa eventualmente trovare applicazione la disciplina della retrodatazione della decorrenza del termine di durata massima della custodia cautelare, che i delitti oggetto della ordinanza cautelare cronologicamente posteriore siano stati commessi in data anteriore a quella di emissione della ordinanza cautelare cronologicamente anteriore in questo senso, ex plurimis, Sez. 6, numero 31441 del 24/4/2012, Rv. 253237 Sez. 6, numero 15821, del 3/4/2014 Rv 259771 . Il presupposto della anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all'emissione della prima non ricorre - ma questa ipotesi nel caso di specie non rileva – allorché il provvedimento successivo riguarda un reato di associazione e la condotta di partecipazione si sia protratto dopo l'emissione della prima ordinanza. Il G.I.P. del Tribunale di Brescia ha disposto la custodia cautelare in carcere del B. , con una prima ordinanza, quella del 22/1/2009, per il reato di traffico illecito di sostanze stupefacenti culminato nell'arresto in flagranza e, con una seconda ordinanza, quella dell'8/4/2013, per traffico di stupefacenti capo 2 dell'imputazione , nonché per il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti capo 10 dell'imputazione , fatti commessi sino alla data dell'arresto. Il prevenuto è stato poi rinviato a giudizio, nell'aprile del 2009, per i fatti di cui alla prima ordinanza cautelare e condannato, con sentenza del 9/6/2010, irrevocabile il 22/12/2011, alla pena di anni sei di reclusione. Siffatta situazione è riconducibile a quella contemplata nel secondo periodo dell'articolo 297 c.p.p., comma 3, in quanto presuppone l'accertata esistenza, tra i fatti oggetto delle plurime ordinanze cautelari, di una delle tre forme di connessione qualificata previste dalla norma – che non è qui in contestazione - ma è caratterizzata dall'intervenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio per i fatti oggetto del primo provvedimento coercitivo. Tale ipotesi presuppone, ovviamente, che le due o più ordinanze siano state emesse in distinti procedimenti, ma come hanno chiarito le Sezioni unite nelle più volte richiamate sentenze è irrilevante che gli stessi siano gemmazione di un unico procedimento, vale a dire siano la conseguenza di una separazione delle indagini per taluni fatti, oppure che i due procedimenti abbiano avuto autonome origini Sez. 2, numero 13021/2015, citata . Trovando applicazione la regola dettata dal secondo periodo dell'articolo 297 c.p.p., comma 3, la retrodatazione della decorrenza dei termini di durata massima delle misure applicate con la successiva o le successive ordinanze opera solo se i fatti oggetto di tali provvedimenti erano desumibili dagli atti già prima del momento in cui è intervenuto il rinvio a giudizio per i fatti oggetto della prima ordinanza Cass. numero 42442 del 26/9/2013 Rv. 257380, numero 50128 del 21/11/2013 Rv. 258500, numero 17918 del 3/4/2014 Rv. 259713 . Il Tribunale del Riesame ha affrontato la questione negli esatti termini di cui all'indirizzo giurisprudenziale sopra ricordato ed ha escluso che pur trattandosi degli stessi fatti storici, si potessero ricavare dalle vicende processuali riguardanti i coimputati BL. e M. , già all'epoca della prima ordinanza e del rinvio a giudizio del B. , gravi indizi di colpevolezza articolo 273 c.p.p. in ordine ai fatti di reato posti a fondamento della seconda ordinanza cautelare adottata nei confronti del ricorrente. Questa Corte ha affermato che, in tema di retrodatazione della decorrenza dei termini di custodia cautelare, la nozione di anteriore desumibilità delle fonti indiziarie, poste a fondamento dell'ordinanza cautelare successiva, dagli atti inerenti la prima ordinanza cautelare, non va confusa con quella di semplice conoscenza o conoscibilità di determinate evenienze fattuali. Infatti, la desumibilità, per essere rilevante ai fini del meccanismo di cui all’articolo 297 c.p.p., comma 3, deve essere individuata nella condizione di conoscenza, da un determinato compendio documentale o dichiarativo, degli elementi relativi ad un determinato fatto-reato che abbiano in sé una specifica significanza processuale così, Sez. 3, numero 18671 del 1571/2015, Rv. 263511 . Ciò si verifica allorquando il pubblico ministero procedente sia nella reale condizione di avvalersi di un quadro sufficientemente compiuto ed esauriente, sebbene modificabile nel prosieguo delle indagini, del panorama indiziario, tale da consentirgli di esprimere un meditato apprezzamento prognostico della concludenza e gravità delle fonti indiziarie, suscettibili di dare luogo - in presenza di concrete esigenze cautelari - alla richiesta ed all'adozione di una misura cautelare Sez. 4, numero 15451 del 14/03/2012, Rv. 253509 Sez. 6, numero 11807 del 11/02/2013, Rv. 255722 . Ne consegue che del tutto correttamente, nella esaminata fattispecie, è stata escluso che la desumibilità allo stato degli atti, al momento dell'emissione della prima ordinanza, potesse ricavarsi dal decreto, in data 23/1/2009, di ritardata esecuzione dell'arresto dei coimputati BL. e M. allegato in copia la ricorso di legittimità , per il solo riferimento, nel provvedimento, ad un'ipotesi investigativa concernente l'esistenza di un sodalizio criminoso finalizzato in modo continuativo al traffico all'ingrosso di sostanze stupefacenti nonché in ordine al modus operandi di detta associazione, all'individuazione dei canali di importazione dall'estero dello stupefacente, di eventuali nascondigli della sostanza citata, dei mezzi utilizzati per riciclare il provento dell'illecita attività , dovendosi anche considerare la rilevata esigenza di completamento della attività d'indagine al fine di acquisire rilevanti e decisivi elementi probatori in ordine all'esistenza dell'ipotizzato sodalizio criminoso , contenuta nella parte dispositiva. Sotto tale profilo quindi non è ravvisabile alcuna contraddittorietà tra omogeneità delle posizioni processuali e diversità dell'iter processuale, ove la affermazione si intenda riferita alla evoluzione diacronica del quadro indiziario della ipotizzata partecipazione all'associazione di ciascuno degli imputati. Ne è superfluo evidenziare che in materia di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, come costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, la commissione di ripetuti reati di spaccio ex articolo 73 D.P.R. numero 309/1990, non può da sola costituire prova dell'integrazione del reato associativo, rappresentando al più indice sintomatico dell'esistenza dell'associazione, che va accertata con riferimento all'accordo tra i sodali, alla struttura organizzativa ed all’ affectio societatis Sez. 6, numero 24379 del 4/2/2015, Rv. 264177 . Il Tribunale del Riesame in conclusione ha adeguatamente chiarito come, al momento dell'emissione della prima delle due ordinanze cautelari adottate nei confronti del ricorrente, ed ancora sino all'epoca della richiesta di rinvio a giudizio, non fossero desumibili dagli atti a disposizione del P.M. elementi che potessero giustificare la richiesta di emissione della seconda ordinanza cautelare, considerato che le date 18/6/2009 e 28/10/2009 delle ordinanze custodiali emesse nei confronti dei coimputati, cui pure è stata riportata la decorrenza dei termini di durata massima delle misure loro applicate, sono comunque successive sia alla prima ordinanza cautelare 22/1/2009 , che al rinvio al giudizio dell'odierno ricorrente aprile 2009 . Ed in tema di contestazioni a catena , è onere della parte, che invoca la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare, provare la desumibilità dagli atti, del fatto di reato oggetto dell'ordinanza successiva Sez. numero 18671 del 15/1/2015, Rv. 263511, numero 6374 del 28/1/2015, Rv. 262577 . Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.